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Assi di bastoni

Fox F1- lettura 10 minuti

L’ultimo pit-stop della regular season nella ICE Hockey League. Quello decisivo.

Dove è ancora possibile correggere le strategie.

Per ottenere il piazzamento più soddisfacente possibile. A salvare i programmi, gli investimenti e la stagione.

the best FOR the teamlettura 15 minuti

Quando i veri campioni hanno le spalle al muro, e la schiena piegata sotto il peso delle responsabilità, sanno di avere una sola possibilità di uscire vivi e vegeti da quell’impasse.

Stringersi saldamente tra di loro, fino a formare un sol uomo, cercare il contorno dell’anima negli occhi di ciascun compagno, infine dar fondo a tutte le proprie residue energie, fisiche e nervose.

“La differenza che distingue un hockeista da un vero giocatore di hockey”, come ama ricordare un grande interprete biancorosso del passato.

Come Gaetes Orlando...

Ci eravamo lasciati dopo lo spettacolare derby col Pusteria, quello del tanto decantato sold out al Palaonda, con la sobria convinzione che l’Armata Biancorossa avesse imboccato con l’abbrivio ideale il lunghissimo rush che porta al traguardo volante di fine stagione regolare.

Cadendo in errore.

Questa edizione della Ice Hockey League si sta rivelando molto più mossa ed equilibrata delle precedenti. Con un livellamento verso l’alto. Figlio sia del ritmo incessante imposto dal calendario che degli accorgimenti adottati dai singoli staff tecnici, delle tredici franchigie in competizione tra loro, protèsi a conservare quanta più batteria possibile. In vista del gran finale.

Fehérvár e Bolzano, il duopolio sul quale è vissuta la prima parte della stagione, nel loro duello ciclopico per la conquista della Terra di Mezzo, sono ora minacciate da vicino da due concorrenti che non hanno bisogno di particolari presentazioni: KAC e Salzburgo.

Dopo essersi liberate dal giogo supplementare della Champions Hockey League, le due corazzate austriache hanno focalizzato i loro sonar sulle fuggitive ed ora, soprattutto le Rotjacken, sono in asse con la loro scia.

Dopo l’importante 4-1 speso ad ammansire l’orda di lupi gialloneri, le Volpi biancorosse hanno compiuto due consecutivi viaggi a vuoto.

Il primo a Graz, quello successivo a Villach.

Al Merkur Eisstadion i biancorossi hanno letteralmente gettato il primo periodo alle ortiche. Scendendo sul ghiaccio con la stessa vérve di un’immersione tra il pubblico di un Family Day al Palaonda. Lasciando un vantaggio impossibile da trascurare nelle mani di Harry Lange, l’head coach di Graz. Il quale, non si è fatto pregare più di tanto. Amministrandolo in modo che i biancorossi non potessero più nuocere.

A poco o nulla, nel primo intervallo, è servita la scossa inferta alla squadra da un Glen Hanlon alquanto perplesso. La cui sola attenuante era rappresentata dalla contemporanea assenza per infortunio di Adam Helewka e Brad McClure.Sam cartolina

Appena rimessi i pattini sul ghiaccio, la squadra ha saputo offrire una tardiva reazione d’orgoglio. Togliendo il respiro ai 99ers ed accorciando con Dustin Gazley. Ma nell’ultimo periodo, nonostante un’iniziale superiorità numerica di quattro minuti effettivi per un 2’+2’ inflitti giustamente a Frank Hora, il Bolzano ha dovuto nuovamente ringraziare Sam se ha potuto lottare per il pareggio fino all’ultimo decimo di secondo prima della sirena finale.

La lezione subita in Stiria non è stata capitalizzata dai biancorossi in Carinzia, nel turno successivo, alla Stadthalle di Villach.

Ad un ottimo primo periodo, chiuso meritatamente in vantaggio grazie alla staffilata dalla blu di un redivivo Cole Hults, sono seguiti venti minuti di sofferenza per il Bolzano. A causa di improvvide amnesie difensive. Al cospetto della linea più pericolosa della Lega. Quella composta da Max Rebernig, Kevin Hancock e John Hughes.

Sotto di due reti, in avvio di terzo periodo i biancorossi hanno spinto immediatamente sull’acceleratore. Ma sono stati subito costretti a rivedere le loro strategie. A causa della loro stessa indisciplina.

Quattro penalità minori, diluite in quella che avrebbe potuto essere la frazione del riscatto, sono state decisive invece perché al Villach venissero conferiti i tre preziosi punti in palio lungo le rive del Wörthersee.

Con le spalle al muro, tornando al nostro incipit, i Foxes si sono ritrovati al Palaonda per preparare una delle partite più delicate della loro regular season. Il secondo match casalingo, terzo complessivo della stagione, contro i Red Bull. L’unica franchigia in grado di averli sempre superati, nei match precedenti.

Ma coach Hanlon non doveva fare altro.

Il condottiero di Vancouver ha scacciato dalla sua mente ogni perplessità. Che sarebbe stata avventata nella circostanza.

A doppia mandata, ha chiuso in un cassetto della memoria anche i dubbi emersi a Graz. Quelli sulla effettiva tenuta mentale del suo collettivo.

Un potenziale tormento che l’uomo della Provvidenza ha scacciato con una delle dosi di fiducia che ogni tecnico che si rispetti deve avere nel suo equipaggiamento.

Quella che si ripone sia nei propri mezzi. Che in quelli della squadra.

Ed ha lasciato che fossero i suoi ragazzi a trovare dentro sè stessi le giuste motivazioni alla vigilia della Madre di tutte le Battaglie. Quella che viene benedetta anche dal board della Ice Hockey League. Perché rappresenta uno di quei momenti in cui gli interessi del grande bacino di utenti ed appassionati di questo lembo d’Europa si focalizzano all’unisono. E generano i grandi numeri dello share della passione. Quelli che tengono in piedi anche organizzazioni come la ICE.

Foxes Bolzano - Red Bull Salzburgo è e rimane LA Partita.

Il resto è solo contorno. A cingere il boccone più saporito.

Hockeytown queste dinamiche le conosce bene. Ci è abituata da quasi un secolo.

In ogni occasione non ha mai avuto timori reverenziali. Affrontando con coraggio e saggezza anche i confronti fuori dalla sua portata.

È in questo modo che il suo DNA vincente si è modellato nel tempo. Strutturandosi gradualmente.

Io non perdo mai... O vinco, o imparo.

Dalla Notte dei Tempi.

Proprio quella in cui è contenuto anche il seguente, straordinario racconto...

15 gennaio 1933

Nella sua seconda apparizione ufficiale in serie A, il Bolzano-Renon (denominazione d’origine controllata che, in quell’epoca, unì il luogo di provenienza della squadra con la struttura sull’altipiano che la ospitò abitualmente) si giocò l’accesso alla semifinale ad Ortisei.

Proprio contro i gardenesi.

Il vincitore avrebbe trovato l’Hockey Club Milano ad attenderlo.

-

HCB 1933


Guido Menestrina,Ernst Ebner, Robert Lux, Siegfried Menestrina e Hans Lux

Ortisei - Bolzano-Renon 0-5

Ortisei: R. Schmalzl, Noflaner, Walpoth, Moroder, F. Schmalzl, Prinoth, Obletter.

Bolzano-Renon: Ruedl, Mech, Drescher, G. Menestrina, Ebner, Lux, Gamper, Moser.

Reti: Mech 2, G. Menestrina 2, autorete R. Schmalzl.

-

Dopo il match di Ortisei, i biancorossi ebbero a disposizione solamente tre giorni per preparare la proibitiva trasferta a Milano. La scelta del mezzo di locomozione ricadde sul treno. Un viaggio che si rivelò allucinante.

I posti a sedere, su quel maledetto convoglio per la Stazione Garibaldi, erano tutti occupati. 

Menestrina e Lux provarono a mettersi seduti a terra, schiena contro schiena. Ebner e Mech si sdraiarono sui borsoni dei materiali. Addirittura ci fu chi tentò di infilarsi sulle cappelliere sopra ai finestrini. Condizioni estreme. Impossibili da mantenere per tutto il viaggio.

Qualcuno, più sobriamente, se lo sciroppò totalmente in piedi. Da Bolzano a Milano.

Al loro arrivo alla Stazione Garibaldi, in clamoroso ritardo, i Nostri Eroi riuscirono a raggiungere l’impianto di via Piranesi dopo una corsa assassina.

Si cambiarono in quattro e quattr’otto. E si ritrovarono catapultati sul ghiaccio, ad incrociar le stecche contro le mitologiche maglie nere dell’Hockey Club Milano.

Senza riposare dopo quell’odissea. E senza rifocillarsi. 

Quella notte finì malissimo.Milano 1932 33

-

H.C. Milano - Bolzano-Renon 11-0 (2-0, 5-0, 4-0)

H.C. Milano: Gerosa, Trovati, Baroni, Venosta, Scotti, Dionisi, Medri, Mussi, De Mazzeri.

Bolzano-Renon: Ruedl, Mech, Menestrina, Ebner, H.Lux, Moser, Gamper, Drescher.

Reti: Venosta e Mussi nel primo tempo; 2 Trovati, 2 Scotti e Mussi nel secondo; 3 Venosta e Scotti nel terzo.

-

 

All’alba, i giocatori bolzanini salirono le scalette del treno rapido che li avrebbe riportati a casa.

Quelli milanesi furono invece costretti a scendere nuovamente sul ghiaccio di Porta Vittoria, per affrontare in amichevole i maestri dei Massachusetts Rangers,Massachusetts Rangers la prima squadra statunitense a giocare in Italia. Un evento di livello assoluto.

Un ottimo allenamento (finito 8-0 per loro). Dopo il quale, i bostoniani raggiunsero Praga, per partecipare al Campionato del Mondo. Indossando la maglia degli Stati Uniti d’America.

Altro evento che entrò nella Leggenda dell’Hockey.

Perché, per la prima volta nella storia, il Canada (rappresentato dai Toronto Nationals) mancò la conquista del titolo mondiale. Battuto in finale per 2-1, proprio dai sorprendenti Rangers.

Ma questa è un’altra storia...

Le sfide impossibili alle milanesi negli anni Trenta, gli highlanders che resero immortali i duelli con il Cortina per un trentennio, i derby infuocati degli anni Ottanta, l’asse milanese ed il Volga Express degli anni Novanta, l’ingresso nel nuovo Millennio affidato ai cavallini ed infine l’intuizione del Dottore che ci ha proiettati al presente. Con un occhio costantemente proiettato verso il futuro.

HCB vs RBS
Foxes - Red Bull è probabilmente la sintesi perfetta di tutte le colossali rivalità vissute da Hockeytown. A cavallo tra i due secoli.

Ed il nuovo capitolo vissuto mercoledì scorso è stato recepito dalle quattromila anime raccoltesi in via Galvani come un atto decisivo dei playoff. Tanto è stato intenso, emozionante, equilibrato. E combattuto.


I biancorossi hanno saputo scendere sul ghiaccio come un sol uomo. E hanno lottato per la vittoria, in ogni decimo di secondo del match. Lungo ogni centimetro di ghiaccio presente al PalaOnda. Al bando ogni amnesia, ogni passaggio a vuoto. Il target era il dominio sul puck. Peggio per l’avversario, se ne fosse stato malauguratamente in possesso.

Una certa teoria sostiene che questo sia l’atteggiamento migliore da tenere quando dall’altra parte della linea rossa ci sono proprio i salisburghesi di Oliver David.

Massima aggressività nel terzo difensivo, supremazia territoriale in zona neutra, dinamismo perpetuo ed accentuata imprevedibilità negli assalti portati ad Atte Tolvanen.Tolvanen

Il resto lo sbrigherà il solito monumentale Sam .

Salzburgo ha dovuto accettare i termini della sfida. E lo spettacolo è stato decisamente all’altezza delle aspettative. Riportando l’Armata Biancorossa ai fasti dove i suoi supporters vorrebbero sempre vederla.

Dustin Gazley deve alzare bandiera bianca a causa di un serio e dolorosissimo infortunio alla mano. Pascal Brunner entra sullo scacchiere al suo posto. A lottare assieme alla squadra anche per lui. Le perdite sono una conseguenza della battaglia. E questa volta a pagare dazio è il Bolzano. 

Con il passare dei minuti sono Tolvanen ed a vestire i panni degli attori protagonisti e non vi era alcun dubbio in merito. Ma l’occasione capitale del primo periodo arriva sulla spatola di Adam Helewka. Il portiere dei Red Bull ci mette le ali, salvando il risultato.

Anche il secondo atto della sfida è vissuto sulla falsariga dei primi venti minuti. Le squadre pattinano tantissimo e quando davanti a Lewington si spalanca la porta della panca puniti è il Bolzano ad avere la chance. Gli special team salisburghesi sono quanto di meglio ha da offrire in materia questa Lega. Ed il tabellone resta ancorato sullo 0-0.

Il prezzo del biglietto viene poi ulteriormente ammortizzato dalla ruvida parentesi pugilistica offerta da Matt Bradley e Troy Bourke. Matt si aggancia a due mani alla spalliera dell’avversario. E quando vede luce tra il suo destro e la mascella di Troy, gli piazza il colpo del kappaò.

Anche le balaustre del vecchio caro PalaOnda si prendono la loro fetta di gloria nello spettacolo. Dopo aver catapultato Mario Hubera testa in giù, in corrispondenza dei pattini di un divertito Brad McClure, avvolgono nelle loro spire anche il Wimmermalcapitato Philipp Wimmer. Bloccato nel plexiglas dopo una carica chiusagli in faccia da Michele Marchetti.

È esattamente il tipo di battaglia che i quattromila avevano pregustato oltrepassando i tornelli delle casse. Ed il meglio doveva ancora venire.

L’ultimo periodo non delude le aspettative. Forse solo quelle di Scott Valentine. Quando viene colpito in modo sporco dal solito Peter Hochkofler.

L’indisciplina di qualche suo interprete costa cara ai Red Bull.

Salzburgo viene ancora salvata da Tolvanen sul terzo powerplay biancorosso. Ma quando è Lukas Thaler a dare il cambio ad Hochkofler dietro la lavagna, l’incarico di far crollare il fortino austriaco viene affidato a Tony Salinitri, implacabile nello spolverare l’incrocio dei pali alla sinistra del goalie finnico. Un gol meraviglioso. Che fa esplodere finalmente il Palaonda.

Il match si infiamma ancor più. Ma non esiste calore che possa intaccare la glaciale presenza agonistica di Sam , strepitoso nel togliere a Benjamin Nissner una colossale opportunità avuta sotto la Curva dei Figli di Bolzano. L’ovazione rivolta in direzione del Guardiano del Regno è un ulteriore brivido di piacere.

I Foxes beneficiano dell’ultima leggerezza della serata di un Lukas Thaler alquanto falloso. Ma questa volta l’uomo in più non viene sfruttato a dovere dai biancorossi.

Salzburgo toglie Tolvanen per inserire il sesto uomo di movimento. È la mossa della disperazione. Che Matt Bradley stava aspettando per chiudere il match. La precisione balistica del numero 67 è l’ideale timbro sulla pratica. Quella che il Bolzano non era ancora riuscito a chiudere in questa regular season. I primi tre punti della stagione, trovati all’interno delle Lattine di Red Bull.

L’emblematico gesto finale di Sam , al momento di raccogliere il meritato tributo della platea per il suo ennesimo Sam fine RBSshutout, resterà probabilmente la copertina più bella dell’evento.

La porta ribaltata sul ghiaccio. E quel gesto a voler dire: “Da qui non si passa!” è roba da mandare in visibilio anche le anime meno sensibili.

Con la consapevolezza di aver ritrovato se stessi, proprio nello scontro diretto con Salzburgo, i Foxes sono risaliti sul pullman venerdì scorso. Per raggiungere Klagenfurt.

Quando il torpedone ha accarezzato nuovamente le sponde carinziane del Wörthersee, gli umori del sol uomo erano già in fibrillazione.

Vista la classifica, lo spessore dell’avversario e l’importanza dei tre punti in palio, Kirk Furey e Glen Hanlon avevano una sola raccomandazione da rivolgere ai propri giocatori prima di scendere sul ghiaccio della Heidi Horten Arena: massima prudenza.

Coach Furey, in particolare, sapeva in cuor suo che arrivare ai supplementari poteva essere un’idea accettabile per entrambe. Perché mai come in questa fase del campionato, anche il singolo punto in più in classifica potrebbe generare la più sostanziale delle differenze.

Andare all’overtime contro questo Bolzano, però, è un rischio che bisogna saper calcolare a fondo. Perché, sempre che le statistiche siano ancora la chiave del linguaggio universale dello sport, i biancorossi detengono attualmente il record continentale del saldo vittorie-sconfitte nei prolungamenti: sette vinte e zero perse.

Ad agitare la vigilia, neanche se ne fosse sentita una particolare necessità, ci ha pensato la stessa società ospitante. Prendendo una decisione totalmente impopolare. Ovvero mettere in vendita ai propri sostenitori anche i tagliandi riservati al settore ospite. Una stupidaggine vera e propria. Che non rappresenta purtroppo una novità. Già nella EBEL prima, che nella Ice adesso, questa pratica è ancora usuale. Specialmente nelle piazze più calde. Quelle che non hanno mai nascosto una certa insofferenza nei confronti di tutto ciò che non sia rigorosamente autoctono. Giusto per rendere l’idea. Provate a pensare cosa succederebbe se accadesse al Palaonda?

L’avvio del match, tornando coi piedi sul ghiaccio, è l’esatta coniugazione del verbo con il quale i due tecnici hanno indottrinato i propri giocatori. In zona neutra l’affollamento di uomini è evidente. Nessuna delle due ha intenzione di scoprire troppo il proprio terzo difensivo.

Nel primo periodo Bolzano vede la porta meglio dei padroni di casa. Ma, dall’alto dei suoi 37 anni, Sebastian Dahm sa destreggiarsi nel traffico davanti al suo slot con la stessa eleganza con la quale passeggia lungo il Nyhavn della sua Copenhagen.

Il computo dei tiri della prima frazione è emblematico: 14-7 per i biancorossi. Ma viene totalmente ribaltato nel periodo centrale. Complice una pesante penalità inflitta a Matt Bradley (2’+2’+10’), a causa di un colpo di bastone inferto sui polsi di Nick Petersen, le Rotjacken abbandonano ogni tattica conservativa. Portando l’assalto alla baionetta verso la gabbia di Sam.Sam 2

I biancorossi resistono annullando la pressione KAC con un penalty killing magistrale. Ed è straordinario il riflesso con il quale ipnotizza Matt Fraser allo scadere dei primi 40’.

Nel terzo periodo il canovaccio della prudenza riappare sul ghiaccio. Le squadre tornano a studiarsi con molta più attenzione. Ed è il Bolzano ad avere le occasioni più nitide. Con Brad McClure prima, Brad Christoffer poi, e soprattutto Chris DiGiacinto quasi allo scadere.

Si entra nel ginepraio dell’overtime. Ciò che coach Furey avrebbe probabilmente voluto evitare, in cuor suo. In questa fase, il Bolzano si dimostra ancora una volta molto più a suo agio di qualsiasi altro avversario. Quando arriva la mano dei penalty, il jolly lo calano i biancorossi con lo specialista Matt Bradley. E Nick Pastujov completa l’album delle brutte figure KAC della serata scivolando come un principiante prima di ingaggiare lo slot di Sam .

La chiusura di una nuova settimana di fuoco per i colori biancorossi era in programma domenica pomeriggio a Linz. La trasferta che le Volpi odiano più di qualsiasi altra. Neanche dovessero mettersi in fila dal dentista per l’estrazione dei denti del giudizio.

I motivi sono noti da oltre un decennio. I supporters delle Black Wings sanno gravare sul collo dell’avversario meglio che in qualsiasi altra piazza della Ice. E questo aspetto genera disagio.

Ambiente ostile, o meno, il sol uomo se ne frega quando è focalizzato sull’importanza della posta in palio. I padroni di casa sono in lotta con Graz e Villach per una poltrona nelle Top Six. Ma i biancorossi devono provare ad accorciare su un Fehérvár più lontano del solito.

Il match è già di per sè complicato sulla scacchiera di Glen Hanlon. Che non può contare su due alfieri di sicuro affidamento. Come il lungodegente Dustin Gazley ed un infortunato eccellente dell’ultimo minuto, Tony Salinitri.

È Rasmus Tirronen a dover evadere nel primo periodo molte più situazioni di imbarazzo rispetto al suo collega. Ma l’occasione più nitida e solare capita sulla spatola di Niklas Würschl proprio allo scadere del primo periodo. Si va al riposo sullo 0-0 ma è evidente che il Bolzano abbia tutta l’intenzione di non lasciarsi abbindolare. Nè dal clima rovente, nè dall’avversario.

Alla ripresa del gioco, infatti, le occasioni fioccano per i biancorossi. Prima Mike Halmo serve l’assist perfetto in direzione di Brad McClure. Molti supporters sono già in piedi davanti alle tivù, pronti ad esultare, ma ancora Tirronen si salva in qualche modo. Poi è Adam Helewka a non avere fortuna su un tiro a colpo sicuro che incoccia la base della porta.

L’equilibrio del match viene rotto solamente dall’episodio estemporaneo. Si era già capito.

È il Linz a fare bingo con Greg Moro, il quale libera dalla blu un tiro di polso che supera di un nulla il gambale esposto da , battuto dopo oltre 180’ di gioco effettivo.

Nel periodo conclusivo il Bolzano getta ancor più lontano il cuore oltre l’ostacolo. Il duello Tirronen-McClure viene vinto ancora una volta dal goalie. Ma l’errore decisivo, purtroppo, lo compie Dylan Di Perna. Ken Ograjensek è bravo a fuggire col disco verso la porta biancorossa ed a servire un cioccolatino in direzione di Luka Maver.67 e Torronen

2-0, ma non è finita. Bolzano ha a disposizione un powerplay per gentile concessione di Greg Moro. Le soluzioni non sono ancora dell’efficacia necessaria. Ma a 45 secondi dalla fine Luca Frigo risolve la solita furibonda mischia davanti a Tirronen ed apre uno spiraglio dove anche il pullman biancorosso ci si butta con tutti gli pneumatici.

Gli ultimi secondi ammutoliscono anche il riottoso popolo di Linz e dintorni. Bolzano ha il sesto uomo di movimento sul ghiaccio ed un’occasione clamorosa con Matt Bradley per pareggiare, proprio sulla sirena. Rasmus Tirronen compie però, con la pinza, totalmente proteso verso il palo lontano cercato dall’avversario, la parata della vita.

Linz può tornare a respirare. Ma questo Bolzano mai domo, nella sua Eis Arena, lo ricorderà a lungo, senza alcun dubbio. Soprattutto se i destini delle due squadre dovessero ancora una volta incrociarsi durante i prossimi playoff.

Assi di Bastoni #20: Le leggende della Spengler Cup e la beffa della Siberia   tempo di lettura 15 minuti

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Assi di bastoni, capitolo 18 - La Genesi e la Linea dei Sogni

8 minuti di lettura

Nel libro della Genesi è scritto a chiare lettere, inequivocabili.

Nostro Signore impiegò sei distinti periodi di tempo per creare ogni elemento naturale che ci circonda. Quella singola parentesi temporale, Lui la qualificò come “giorno”.

Dopo aver dato vita ai cieli e alle terre, il settimo giorno l’Altissimo si fermò per recuperare le energie, profuse durante la Creazione. Necessario fu il sollievo procurato da quel momento di pace e riflessione. Tanto che Iddio lo santificò.

È per questo motivo che, noi comuni mortali, abbiamo appreso attraverso la Bibbia che la domenica altro non è se non il cosiddetto “Giorno del Signore”. Quello in cui si riposò.

 

Ora, fate attenzione. Con uno spericolato esercizio di fantasia, utilizzando effetti speciali mai provati prima d’ora, senza alcuna intenzione di scadere nella più banale delle blasfemie, provo ad immaginare il momento in cui l’Immenso si trovò a dover concepire le creature adatte ad abitare il luogo che le sacre scritture definirono come Paradiso Terrestre. E che noi oggi, più prosaicamente, conosciamo come Globo Terrestre. Diventato, ahimè, col passare dei millenni, un po’ meno paradisiaco rispetto al passato...

creazione

Forse, quest’idea così astrusa e paradossale, mi sarà probabilmente venuta in sogno. Ma provate a fantasticare - e di immaginazione ce ne vuole davvero molta, lo ammetto - il momento in cui possa essere possibile utilizzare il Sacro Canovaccio della Genesi su qualche aspetto della nostra vita quotidiana. A noi particolarmente usuale.

Trattengo il respiro ed azzardo...

Dopo essersi dedicato con il suo staff per sei distinti periodi di tempo, che molto più sobriamente loro definirono decadi, il coach dei Foxes - Glen Hanlon - riuscì nel suo auspicato intento di generare la Linea dei Sogni, col materiale umano a sua disposizione.

Fin dall’alba della stagione, sul ghiaccio di Corvara, l’uomo di Vancouver aveva posato gli occhi su di loro. Però, come insegnano suoi esimi e stimati colleghi, l’affiatamento e l’armonia di una linea d’attacco la potrai anche studiare a tavolino. Ma sarà sempre il ghiaccio ad emettere la sentenza definitiva.

Loro, la parte in causa, altri non sono se non i tre componenti della prima linea offensiva dell’Armata Biancorossa. Quella che sta facendo sognare anche il più pessimista dei tifosi biancorossi. Sulla quale si stanno già esaurendo aggettivi e paragoni. E che, sull’altro lato della linea orografica di confine, sta procurando più di qualche semplice sonno agitato a tutto l’ambiente d’Oltralpe, coinvolto nella Ice Hockey League.

Torniamo coi piedi per terra. Ed ammettiamolo, senza più alcun volo pindarico.

Zarr Orla Topa

 Per Matt Bradley, Adam Helewka ed Anthony Salinitri si può anche arrivare a scomodare qualche eroico terzetto del passato. Non siamo ancora ai livelli, presumibilmente, di Gates, Bruno e Lucio. Sempre nel non voler essere tacciati di blasfemia.

Orlando, Zarrillo e Topatigh hanno scritto pagine fondamentali dell’archivio storico dell’Hockey Club Bolzano. Tracce indelebili della loro coesistenza, che resteranno per sempre a dimostrare quanto quei tre ragazzi fossero unici e complementari. Che contribuirono, con il loro talento, a rendere solide le fragili esistenze dei comuni mortali, assiepati sulle gradinate del Palaghiaccio di via Roma, prima. E del Palaonda, poi.

 

Matt, Adam ed Anthony rappresentano il luminoso presente. Ma dietro di loro stanno germogliando intese altrettanto pregne di efficacia. Come quella da applausi tra Dustin, Brad e Chris.

Oppure, già certificata, tra Daniel e Luca. Sui quali il coach sta lavorando per trovare il giusto compromesso. Per affiancare loro (l’altro Daniel, il capitano, sembra essere ancora il prospetto ideale), un compagno di linea con le giuste caratteristiche, perché anche questo blocco possa aprire definitivamente le ali.

E volare sul ghiaccio, almeno fino alla prossima primavera.

Dietro di loro, non certo gli ultimi arrivati, ma solo in attesa di adeguato collocamento nelle rotazioni, troviamo Giordano, Michele e Braden.

Un discorso a parte, invece, meritano Mike e Pascal.

Il primo viene centellinato dal coaching staff. Come il corredo buono in occasione proprio del Settimo Giorno. Guai a chi lo sciupa, a chi non ne ha cura. Mike ha bisogno del ghiaccio come del pane quotidiano. Per tornare ad essere il giocatore, o buona parte di esso, che abbiamo tutti potuto ammirare nelle tante stagioni di appartenenza e militanza tra le mura del Palaonda.

Credo che il disegno, sul suo conto, sia chiaro. Portarlo a marzo nel massimo dell’integrità fisica e della condizione. Per poter contare, nell’assalto al titolo, sia sul 91 che sul suo carisma.

Per quanto riguarda Pascal, oramai l’ambiente biancorosso non dovrebbe più avere segreti reconditi per il granatiere in maglia 77. Il giovane Brunner ha compiuto a giugno i suoi 22 anni. È sempre sul punto di esplodere, e di affermarsi. Poi, però, per una ragione o per l’altra, perde aderenza - nel concetto di squadra voluto dallo staff tecnico -. E finisce, immancabilmente, per scivolare indietro nelle gerarchie. Fino a prova contraria, il ragazzo va supportato ed incoraggiato, a cercare anche dentro di sè il cambiamento. Perché il team avrebbe davvero bisogno anche della sua forza. Come della sua esplosività.44 e 27

Il gruppo non esisterebbe se non ci fossero anche i sette guastatori del reparto difensivo.

Jason ha lavorato moltissimo, e bene, fino a meritarsi i galloni di appartenenza al primo blocco. Al suo fianco “Valentrain” viaggia sempre spedito ed in perfetto orario. In caso di malaugurate sbavature nello svolgimento del lavoro sul ghiaccio, Jason è sempre stato un valido supporto per Scott. E viceversa.

Dylan oramai lo si conosce come le nostre tasche. Ha acquisito la mentalità. È perfettamente fidelizzato. Ha saputo sempre coniugare le prestazioni con la fedeltà ai nostri colori. Personalmente, non lo vorremmo mai veder languire sul pancone o in tribuna. Anche se, nelle logiche del turnover, qualche meritata pausa Dylan se la può finalmente concedere.

Un discorso un po’ diverso lo si può invece fare su Cole. Il giocatore non è assolutamente in discussione. Sta rialzando la testa dopo un periodo un filo nebuloso. Ed è progressivamente in rimonta nelle fiducie di coloro che si piazzano alle sue spalle, sul pancone. Forse Cole, una qualche nostalgia di suo fratello Mitch la nutre ancora. È davvero inutile e prematuro parlarne ora. Ma quei sussurri che girano in tribuna, sulla remota possibilità di un loro ricongiungimento, rappresentano solo un banale chiacchiericcio? Oppure qualcosa di sostanziale (e sostanzioso) bolle per davvero nel calderone dei Foxes?

Peter e Simon, per continuare nella nostra analisi di metà stagione, sembrano davvero essere stati separati alla nascita delle loro carriere sul ghiaccio. Viaggiano oramai con sincronismi a dir poco impeccabili. Anche loro, come è umano, possono cadere nel trappolone dello svarione improvviso. Ma oramai il loro affiatamento sembra essere arrivato al massimo del fondo scala dell’affidabilità.

Alle loro spalle, ma solo nel senso di essere stato l’ultimo ad entrare (o meglio, tornare) finalmente nel roster dei Foxes, c’è Enrico.

È mancato, e non poco, a tutto il gruppo. Aver recuperato la sua personalità, la presenza edificante in spogliatoio e la simpatia che lo contraddistinguono, rappresentano tutte insieme un altro grande vantaggio per il club. E naturalmente per la squadra.

Il capitolo dedicato unicamente ai guardiani solitari dei Bastioni del Regno è inevitabilmente denso di superlativi. Mentre lo scorso anno eravamo scossi e preoccupati per le prestazioni altalenanti di Niklas Svedberg, certamente non da considerare l’unico responsabile del disastro di inizio della scorsa stagione, oggi la realtà ci ha regalato consapevolezza. Di poter vedere, indifferentemente, o Sam o Gianluca, a capo della gestione dell’estrema difesa. Perché la loro prestazione sarà sempre da

considerare quanto di più solido ed auspicabile potremmo attenderci da loro.

Linea sogni

da roster HCB foto Vanna Antonello

Ma, ritorniamo alle origini della nostra anamnesi biancorossa. E tiriamo nuovamente in ballo i “Tre dell’Ave Maria”, la Linea dei Sogni, come ci siamo permessi di definirla. Col dovuto rispetto per tutti gli altri componenti del roster.

Il gol del 2-0 realizzato contro l’Olimpia Lubiana, dalla prima linea del Bolzano, è uno dei più belli realizzati nella Lega, in questa stagione. 

Recupero del disco nel terzo difensivo, l’appoggio su Salinitri che sale sulla sinistra del fronte d’attacco, il duetto con Bradley, mentre Helewka recupera la posizione sui compagni, a grandi falcate. Per andare ad attendere, sul secondo palo, l’appuntamento con l’assist scodellato perfettamente da Tony. Un gol stra-to-sfe-ri-co!

Una ciliegina sulla torta sfornata la scorsa settimana. E preparata per festeggiare adeguatamente le 500 presenze in maglia biancorossa di Luca Frigo, sempre più encomiabile per la naturalezza con la quale riesce ad onorare la maglia.

Oramai, il 93 Red and White è atterrato anch’egli nei libri che raccolgono, e raccoglieranno in futuro, le gesta dei nostri amati campioni.

 

“L’onore per lui esserci” si è trasformato col passare delle stagioni con “l’onore per noi averlo”.

Nei giorni scorsi c’è stato ovviamente modo e tempo per celebrare anche la pietra miliare collocata dal Bolzano lungo il suo cammino in questa Lega transfrontaliera.

Un traguardo volante, che segna un preciso spartiacque. Le 400 vittorie, raccolte in 12 stagioni.

La sceneggiatura sulla vita di Hockeytown è - e resterà sempre - in continua evoluzione.

Mentre la società del Dottor Key procede a piccoli passi verso il centenario, c’è una pagina bianca della sua storia che dal 2018 attende di essere riempita.

Dopo Tom Pokel e Kai Suikkanen, il prossimo sarà proprio Glen Hanlon?

To be continued... 400

Un'occasione particolare per aprire la valigia dei ricordi e delle emozioni per raccontare di un amico e di una cara persona, parlando, come sempre, di hockey. Questo è Assi di bastoni 19º episodio 10 minuti di lettura


volpeVespa

 

 

 

 

 

 

 

 

 14 minuti di lettura 

Nel grande appartamento di via Orazio, al piano attico del palazzo posto esattamente in perpendicolare con via Amba Alagi, la mia famiglia visse per oltre 20 anni - dopo il trasloco da Venezia a Bolzano, avvenuto nell’agosto del 1968 .

Alla vista di parenti ed amici, la pulizia ed il perfetto ordine della zona giorno, ospitale ed elegante, mettevano sempre in risalto le qualità e le caratteristiche di mamma Gisella. Casalinga vecchio stampo. Di una meticolosità quasi leggendaria. Ed un’encomiabile fantasia culinaria.

Unico néo di quella casa, a pensarci bene, fu il nuovo arredo del soggiorno. Molto poco consono ad un nucleo familiare proveniente dalla Serenissima.

La causa fu totalmente attribuibile a mio padre. Che non lasciò alcun margine di trattativa alla sua sposa, quando decise arbitrariamente che i mobili dell’elegante locale attiguo alla cucina dovevano essere perfettamente in linea con le osterie ed i gasthof del centro, che lui amava frequentare con i colleghi giornalisti.

Fu così che, giunta da un noto mobilificio altoatesino - specializzato in linee d’arredamento alquanto rustiche - fece il suo ingresso nella nostra vita una stube in perfetto stile tirolese.

Ebbene, anche se non ammise mai il suo disappunto, mia madre elesse comunque quell’ambiente come il suo preferito. Dove trascorse la maggior parte delle sue giornate.

Tralasciando i dettagli di alcuni dei suoi banali passatempi, come la briscola o la Settimana Enigmistica, la vera passione della mia adorabile mamma fu lo sport. Seguito rigorosamente in tivù, e categoricamente da sola, su un’ampia e comoda sedia a sdraio, in legno, con poggiagambe estensibile, in voga negli anni Settanta. Collocata sotto le finestre del soggiorno.

Lo sport che mamma Gisella amò di più fu il ciclismo.Gimondi

Quando nel settembre del 1973, a Barcellona, Felice Gimondi battè allo sprint il favoritissimo Freddy Maertens, laureandosi campione iridato, mamma perse totalmente il suo apprezzabile aplomb. Lanciando un urlo poderoso.

Io e mio fratello Ivan non udimmo mai una cosa analoga durante i suoi proverbiali cazziatoni. Che, probabilmente, arrivò anche ai tifosi assiepati lungo il circuito di Montjuich.

Anche le Olimpiadi le piacevano molto, soprattutto l’atletica leggera, al pari della Coppa Rimet di calcio. E del Mondiale di Formula Uno.

Un giorno scrisse addirittura ad Enzo Ferrari, per ottenere l’autorizzazione a visitare gli stabilimenti di Maranello assieme ai membri del club C.B. Bolzano (il gruppo di radioamatori su banda cittadina, di cui i miei genitori facevano parte con i “nickname” di Gisella e Anonimo Veneziano). 

Il Drake, come veniva soprannominato Enzo Ferrari, rispose a mia madre.

Purtroppo non potè acconsentire alla sua richiesta. Ma si complimentò per la competenza e la passione per il Cavallino che trasparivano dalla sua lettera.

Quando colse in me le sue stesse attitudini, mi incoraggiò a frequentare gli ambienti sportivi. A patto che non trascurassi lo studio. Un accordo che ruppi davvero molto presto. Quando decisi di lasciare la scuola per guadagnarmi i primi soldini, lavorando a tempo pieno per le radio libere.

Resterà scolpita - per sempre - nella mia mente, una serata di campionato di serie A di hockey su ghiaccio. Durante la stagione a cavallo tra il 1982 ed il 1983. 

A quell’epoca stavo trascorrendo l’anno di naja. Alle caserme Huber, di viale Druso. In fureria. E, tra le mie mansioni, c’era anche la stesura delle licenze di coloro che facevano parte della memorabile squadra di hockey del IV Corpo d’Armata.

L’alto ufficiale Arnaldi era lo storico capo delegazione di quel team. Che venne allenato per molti anni da Giuliano Frigo. Una delle “Legends”, che conquistarono nel ‘63 il primo scudetto biancorosso della sua storia.

Tano Miglioranzi, Sergio Liberatore, Claudio Rier, Marco Scapinello...

Così, giusto per ricordare qualche componente di quella squadra.

Radio BZ DolomitiIn accordo con il direttore artistico di Radio Bolzano Dolomiti, Carlo Dalle Luche, quella fatidica serata di campionato mi liberai con un permessino dalla ferma militare. Allo scopo di salire sul torpedone dei tifosi, in partenza dal marciapiede di fronte al Palaghiaccio di via Roma. Destinazione: Ortisei.

Il match: un derby di fuoco, Gardena-Bolzano.

In palio, punti pesantissimi per la classifica della poule scudetto.

L’unico obiettivo utile dell’H.C. Bolzano: vincere. Come sempre.

Per veder spianata, sotto i suoi pattini, la trionfale e solitaria corsa verso il suo settimo scudetto.

Mamma Gisella, perfettamente conscia del mio dovere di salire in orario su quel pullman, per essere puntuale al palazzo del ghiaccio di Ortisei a preparare la mia radiocronaca, colta da un rigurgito di premurosità volle comunque preparare una lauta cena in luogo di un pasto veloce, che agevolasse le mie necessità.

Quella cena, la ingurgitai alla stessa velocità della celeberrima colazione fuori tempo massimo del ragionier Ugo Fantozzi. Prima di prendere la critica decisione di lanciarsi al volo, dal poggiolo di casa, sul tetto del 77 barrato. L’autobus che transitava ogni mattina lungo la tangenziale, proprio sotto la dozzinale palazzina di casa sua.

Purtroppo per me, non riuscii nello stesso intento di Paolo Villaggio.

Uscii di casa, a stomaco pieno. Imprecando. Lanciandomi in una corsa assassina.

Dopo l’incrocio tra viale Druso e via Roma, vidi in lontananza l’inconfondibile sagoma del mio 77 barrato. In movimento, verso il semaforo davanti al Moretti.

La mia unica e remota speranza fu che quel semaforo diventasse rosso. E vi restasse a lungo. Per tentare il gesto oramai disperato di raggiungerlo.

Poi... capitò l’imprevedibile.

Davanti al bar Internazionale, calò il buio. Nel termine più schietto della parola. Quello sforzo, al limite del sovrumano, mi oscurò letteralmente la vista.

Riuscii a sedermi su un muretto. Con la ferma volontà di riprendermi da quell’impasse.

Passarono minuti lunghissimi. Ma, un po’ alla volta, la vista tornò. E gradualmente, si fece sempre più nitida.

Mi alzai lentamente, da quel muretto. Per andare a riprendermi dallo spavento, proprio al bar Internazionale. Venni accolto dalla signora Italia, altra madre premurosa, che me lo lesse in faccia. Suo figlio, altri non era se non un grande capitano biancorosso dal glorioso passato... Arnaldo Vattai.

Italia cambiò espressione e la sua voce si fece ancor più tranquillizzante.

“Stai male? Hai una brutta cera. Vuoi che ti faccia qualcosa di caldo?”.

Le risposi in modo affermativo. E mi misi a sedere. In attesa di una tazza di camomilla bollente. “Molto zuccherata! Ti farà sentire meglio...”.

Quando ripresi vigore, mi incamminai verso casa.

Prima ancora di trovare le parole giuste, per spiegare alla mia, di madre, cosa accadde in quei minuti abbastanza angoscianti, mi concentrai sul “come” avrei potuto raggiungere Ortisei, con un mezzo alternativo. Perché diventò prioritario.

In radio, Carlo aveva predisposto tutto per la diretta dell’incontro. Deludere le sue aspettative, pur raccontandogli l’accaduto in modo accorato, pensai non fosse una buona idea.

E fu in quell’istante che escogitai la cosa più folle mai fatta nella mia vita.

Arrivato a casa, evitai di raccontare la verità a mamma Gisella. Le dissi solo che non riuscii ad arrivare in tempo. E che il pullman partì senza di me.

“E adesso, cosa fai?”.Vespa blu

Mi misi addosso: un paio di maglioni, una giacca a vento e sopra ancora, un vecchio cappotto di mio padre. Presi la mia vecchia Vespa Sprint Veloce blu, come la notte. E partii per Ortisei.

Una clamorosa pazzia.

Ai lati della strada, due muri di neve riportata. Perché nevicò in abbondanza, proprio la sera prima. Pregai che la strada, lassù, non fosse ghiacciata.

Mi sentii sfiorare appena da quel gelo pungente, tanto fui focalizzato dalla volontà di arrivare a destinazione, ed ebbi solo un lieve sbandamento, prima di Pontives. Davanti a me, le luci delle prime abitazioni. Ero quasi in prossimità di Ortisei. Mi feci ulteriore coraggio.

Parcheggiai il mio folle bolide alternativo. Ed entrai al palazzo del ghiaccio, in zona Setil. Con una normalità che sapeva d’incoscienza.

Ma quella serata non poté essere considerata né banale, né normale. Non ancora, quantomeno.

In quel match decisivo, per l’esito del campionato, sul ghiaccio gardenese l’H.C. Bolzano prese subito il pieno controllo delle operazioni.

Ico Migliore
Nella stessa linea d’attacco del top scorer della Serie A, Ron Chipperfield, viaggiava in piena sintonia con l’ex stella NHL uno dei giocatori italiani - a mio parere - più talentuosi mai visti in quegli anni nel nostro campionato.

Lodovico Migliore, detto Ico.

Piemontese d’origine, sempre fiero e leale in partita, capace di mostrare anche sui pattini il suo stile elegante, molto sabaudo in verità, fece davvero la differenza in quella stagione trascorsa in biancorosso. Conquistando il suo secondo scudetto con la maglia dell’H.C. Bolzano, dopo quello vinto nel ‘78-‘79.

A dimostrazione del suo risaltante spessore umano, Ico Migliore, dopo quella trionfale stagione hockeistica, nel 1983 riuscì anche a coronare il sogno di laurearsi in Architettura, al Politecnico di Torino, assieme alla donna fatale della sua brillante esistenza.

Una compagna di studi, diventata in seguito anche quella di una vita intera: Margherita Servetto. Con la quale aprì successivamente uno degli studi di designer più rinomati ed apprezzati in Italia. Che collaborò, tra l’altro, alla realizzazione di infrastrutture dallo stile unico ed inconfondibile, installate in vari campi gara alle Olimpiadi invernali di Torino, nel 2006, fortemente volute proprio dalla poliedrica donna manager a capo dell’organizzazione: Evelina Christillin.

La radiocronaca, intanto, procedette spedita. Dalla cabina telefonica collocata proprio sopra le tribune, la visione del match dominato dall’Armata Biancorossa fu perfetta. Potei percepire la probabile soddisfazione con la quale Carlo, il mio direttore di Radio Bolzano Dolomiti, stava portando a casa una diretta studiata nei minimi particolari, in una serata dai contorni - per me - vagamente melodrammatici.

All’improvviso, proprio davanti ai miei occhi, alcuni tifosi gardenesi attaccarono a male parole un gruppo di supporters biancorossi. I quali, reagirono subito, scatenando un tafferuglio di proporzioni bibliche, proprio davanti alla mia cabina telefonica.

Costretto dalla diretta, continuai come se nulla stesse accadendo ad inserire gettoni telefonici nella fessura dell’apparecchio, ed a descrivere lo sviluppo delle azioni sia sul ghiaccio che sulle tribune. Quando, davanti a me, la situazione degenerò.                                     

Norbert Gasser e Guido PaurN. Gasser G. Paur

I due contendenti più facinorosi, sballottandosi a destra ed a manca, piombarono di peso sulle porticine basculanti della cabina. Uno dei due si schiantò proprio dentro di essa, schiacciandomi in un angolo. Il mio equipaggiamento, da incosciente cronista d’assalto, venne letteralmente fatto volare in aria. Gettoni, penna e taccuino.

Al marasma della lotta tra i due energumeni, si aggiunse un altro deficiente seriale. Che prese a scuotere la cabina dall’esterno. Fin quasi a farla collassare al suolo.

Miracolosamente, il box rimase in piedi. Ma il telefono andò in tilt, ingurgitando tutti i miei gettoni.

Per completare la radiocronaca dovetti cercare un’altra linea telefonica. E procacciarmi altri gettoni, con le ultime migliaia di lire del misero budget a mia disposizione. Le avevo riservate per fare il pieno alla Vespa. Mi augurai, a quel punto, che la mia vecchia due ruote non mi lasciasse a secco, lungo la strada verso casa.

Riuscii ad arrivare, per Grazia Ricevuta, fino a Ponte Gardena. Solcando a bassissima velocità le tracce lasciate sulla neve dagli pneumatici delle auto e del pullman dei tifosi.

Il più era fatto.

Arrivai nel cortile di casa con gli ultimi vapori di benzina rimasti nel serbatoio.

Non raccontai assolutamente nulla, di quella notte da tregenda, a quella santa donna di mia madre. Rimasta sveglia ad attendere il mio ritorno all’ovile. In uno stato di crescente apprensione.

E nemmeno a Carlo...

Accantoniamo ora ogni evento inattuale, veri e propri spartiacque della nostra rubrica per focalizzarci, come sempre, sul presente.

La settimana scorsa abbiamo tutti assistito a quella che considero l’ennesima storpiatura del calendario della Ice Hockey League. Una squadra, proprio quella dei nostri beniamini, obbligata a tre incontri in quattro giorni, due dei quali consecutivi.

Ritmi abituali nella NHL, qualcuno potrebbe obiettare.

Quell’universo, gli risponderei, rimane a noi lontano. E di parecchi anni luce.

Non basta emulare, per poter tranquillamente paragonare.

Credo sia un semplice esercizio di buon senso.

Comunque sia, anche se questo messaggio lo libero volentieri nell’etere del web, nella speranza che venga recepito dalle persone giuste, l’Hockey Club Bolzano ha risposto “presente!” anche all’ultimo tour de force.

Certamente non una passeggiata di salute.

Visto che, ai biancorossi, la bizzarria e la casualità del programma della Ice Hockey League ha proposto, in rapida successione, tre avversari particolarmente rognosi.

Come Villach, Klagenfurt e Graz.𝐹𝑜𝑡𝑜 𝑉𝑆𝑉𝐾𝑟𝑎𝑚𝑚𝑒𝑟

Ebbene, sette dei nove punti in palio sono stati messi in cascina dall’Armata Biancorossa. In risposta al severo banco di prova.

“Mandateci pure il Meglio della vostra Gioventù! Anche a distanza ravvicinata!”.

Potrebbe esclamare, idealmente e con orgoglio, il nostro stimato Dottor Key.

“Tanto noi il modo lo troveremo sempre”.

A Villach si è rivisto un “San” Harvey in versione stratosferica. Specialmente nel secondo periodo, il momento migliore della serata per i carinziani.


La nostra saracinesca ha vinto il duello a distanza con un ottimo Alexander Schmidt ed è uscita dal ghiaccio con una percentuale del 97,8%. Semplicemente mostruosa.

Oramai lo abbiamo capito un po’ tutti che tra gli uomini di movimento del Bolzano ci siano dei veri e propri fenomeni. Capaci di stabilire da soli il destino dei vari competitori.

Stiamo parlando di Matt Bradley ed Adam Helewka. Di Tony Salinitri e Chris DiGiacinto. Di Luca Frigo e Daniel Mantenuto. Di Brad McClure e Scott Valentine.10 67 15

Ma anche di Simon Bourque, sempre più a suo agio nel ruolo di playmaker, e dell’infinito “last but not least” Dustin Gazley.

Altri interpreti, invece, per il momento sono meno decisivi ed appariscenti. Anche se, in ogni uscita, non mancano mai di dare il proprio contributo, di “fare legna”. Come si userebbe dire in gergo.

Tornando al vibrante testa a testa della Stadthalle di Villach, guarda caso, è stato proprio Matt Bradley a spegnere le luci dell’impianto. Mandando tutti a casa con un rigore infilato con freddezza alle spalle di un eccellente Schmidt, accasciatosi letteralmente su se stesso quando il puck lo ha battuto alla sua sinistra.

Unico néo della serata in Carinzia, l’espulsione per una carica alla testa, che ha maculato la prestazione di Brad Christoffer. Atto che gli è costato una giusta squalifica di due giornate.

Anche a Bolzano, il nostro numero 3 sta confermando la sua fama di duro, quando è sul ghiaccio. Le sue stats sono chiare e limpide a riguardo.

Il gesto di cui si è macchiato, comunque, è certamente da biasimare. Ma se l’hockey resta sempre uno degli sport sconsigliati agli smidollati è anche vero che una quota di un certo tipo di giocatori è meglio averla in casa piuttosto che concederla sempre agli avversari.

Il passato, non troppo remoto, è sempre rimasto lì. A testimoniare questa teoria.

Passiamo adesso alla “48 ore” che abbiamo praticamente trascorso sulle tribune del Palaonda.

tifosa BRL’ho vissuta in parte con Laura, l’altra metà del mio cielo, donna capace di condividere anche ogni mia passione legata allo sport. Come sarebbe in grado di fare, se fosse ancora in vita, anche mamma Gisella.

Sono state due serate, quelle in cui Klagenfurt e Graz si sono presentate a Bolzano, nelle quali la presenza di Laura ha solleticato la mia curiosità. E sono andato in cerca, con lo sguardo, di altre moltissime donne (anziane, di mezza età o giovanissime: non mi hanno fatto alcuna differenza).

La riflessione che ne ho tratto ha lo stesso peso specifico di un granello di sabbia poggiata sul piatto di una bilancia. Ma resta importante.

La differenza di genere, quella stessa che proprio i deficienti seriali prendono a pretesto nelle sottomissioni di cui si macchiano, si annulla totalmente davanti alle comuni passioni. Anzi.

Le donne possono appassionarsi allo sport con trasporto. Quanto o meglio di un uomo.

Anche di una semplice partita di hockey.

Lo faranno sempre con molta più classe. Ed eleganza.

Guardavo ad esempio, accanto a me, le mogli di molti amici accomodati

in tribuna, scandagliare con lo sguardo anche il più semplice battito di ciglia dei loro figlioli. Alle prese con giochi condivisi con loro coetanei. Oppure con un cellulare. Magari un po’ prematuro, se in mano ad un bambino.

Ma quella premura è la stessa che fu di Gisella. O Laura.

Perché è insito nella loro natura. Per cui, rispettiamole. Sempre.

L’hockey giocato, quello visto venerdì sera in Bolzano-Klagenfurt ha rispolverato in molti di noi considerazioni oramai ataviche. Fredde come le mani di una statua. Ma che vengono riproposte ogni qual volta, nella terza squadra in campo, si presenta al cospetto del popolo biancorosso il solito arbitro. Quello che ama ergersi da protagonista.

Innanzitutto vorremmo sapere perché, ogni anno, debba sempre essere garantita la sua presenza quando dalla parte opposta delle barricate vi sono sempre Salzburgo e Klagenfurt.

Chi vi scrive si è sempre esposto abbastanza chiaramente sulle questioni arbitrali.

È lecito e naturale che anche la terza squadra in campo possa commettere degli errori.

La buona fede rimane comunque la principale attenuante che un uomo ha il diritto di accampare.

Ma qui, signori, siamo oramai davanti ad un’evidenza che è impossibile trascurare.

I fatti: Bolzano e Klagenfurt hanno dato vita al match che ciascuno si sarebbe atteso.

Ogni avversario oramai scende sul ghiaccio bolzanino come se non ci fosse un domani.

Ed il KAC non è stato da meno.goalie KAC

In avvio vengono giustamente applauditi i reintegri di Enrico Miglioranzi e Mike Halmo.

Bolzano macina gioco e crea pericoli. Ma Florian Vorauer fa subito intendere alle anime in tribuna che dovranno palpitare a lungo. Il portiere dei carinziani si erge da protagonista della serata. In un altro applaudito duello tra portieri. Che, in questa circostanza, coinvolge in prima persona Gianluca Vallini.

Un errore di Cole Hults spiana la strada ad un incredulo Nick Petersen. La mira del canadese è perfetta. Disco all’incrocio e Klagenfurt avanti.

La dinamica del match premia gli austriaci. Ancora in rete con Van Ee in apertura di secondo periodo. Vallini però è lucido e presente. E conserva il distacco in termini accettabili con eccellenti parate.

Ci vuole la solita giocata sopraffina di uno dei tenori biancorossi, Tony Salinitri, per accendere definitivamente il match. Assist al bacio per Matt Bradley e rete dell’1-2.

Proprio dal numero 67 nasce l’iniziativa del gol del pareggio. Slap nel traffico, deviato in rete da Pascal Brunner. E subito dopo è proprio Mike Halmo a trafiggere Vorauer. I carinziani spendono con saggezza uno dei “video review” a loro disposizione. Il gol viene annullato per fuorigioco di un’inezia.

SalinitriIl terzo periodo è un vero concentrato di emozioni. Il KAC trova ancora un vantaggio in powerplay con Fabian Hochegger. Il pugno di tifosi carinziani può liberare la propria gioia. Ma proprio sotto la loro tribuna, a 10’ dal termine, Tony Salinitri si affida ad un gesto tecnico che gli è oramai abituale. Tiro al volo fulmineo e preciso all’incrocio dei pali. E partita che torna nuovamente in bilico.

Attenzione ora.

Ultimi secondi di gioco. Bolzano è in powerplay. La scatola biancorossa prepara l’azione decisiva. Che viene finalizzata da Luca Frigo. È il gol del 4-3. A soli 7 secondi e 9 decimi dalla sirena finale. Il Palaonda è in piedi a spellarsi le mani. Ma il pancone KAC ordina una nuova review.

Sarebbe bello sapere cosa accade realmente in quelle circostanze nel gabbiotto dei cronometristi.

Anzi, non abbiamo alcun bisogno di saperlo.

Morale, i molteplici replay mettono in evidenza un colpo di spatola di Bradley sul blocker di Vorauer. Gli arbitri si attengono a quello. Mi domando come facciano a non vedere anche l’interferenza del difensore su Bradley. Motivo del danno cagionato al portiere.

Il Palaonda insorge. Mentre Nikolic si atteggia nella posa che ha il potere di irretire ulteriormente il pubblico bolzanino. Quella in cui poggia entrambe le mani sulle maniglie dell’amore. Come a voler dire: “E allora?”.

Sorvoliamo su considerazioni oramai stantie, come dicevamo prima.

L’overtime viene dominato dal Bolzano anche se è Daniel Obersteiner a gelare il sangue al Palaonda. Vallini ringrazia il palo alla sua destra. E Matt Bradley, ancora lui, punisce il KAC insaccando ancora una volta il rigore decisivo. Accompagnato dall’eloquente gesto che fa parte del repertorio arbitrale. Quello in cui il braccio indica il disco in rete. Segno inequivocabile della consapevolezza della situazione. Che anche i nuovi arrivati a Bolzano hanno già compreso.

La sera dopo, le scene che si possono desumere ricordano la brillante commedia: “Il Giorno della Marmotta”. In cui le situazioni si ripetono tutti i giorni, esattamente allo stesso modo.

C’è curiosità intorno al Bolzano. Atteso, chissà in quali condizioni, al difficile test con il Graz.

La risposta del ghiaccio è impietosa. I '99ers si portano subito in vantaggio con Marcus Vela.

Ma l’Armata Biancorossa riesce ancora una volta ad eludere qualsiasi ostacolo, qualsiasi critica e qualsiasi perplessità.

È primo in classifica. Dall’inizio della stagione. Ha un gruppo unito e coeso, come ogni “top team” che si rispetti. Ha grandi allenatori sul pancone ed altrettanti grandi giocatori sul ghiaccio.

Come insegna la più ovvia e banale delle strategie da tenere durante la stagione regolare, questa è la fase in cui è possibile sperimentare. Nella quale si possono giostrare uomini e schemi. Alla ricerca della Grande Bellezza. Quella che servirà quando le partite giocate a marzo verranno affrontate con tutt’altre prospettive.

Quindi spiace dover assistere settimanalmente allo sciame di giudizi inappropriati. Sollevati proprio da colui che invece dovrebbe sostenere la squadra. Ovvero il pubblico di casa.

Sappiate che il prezzo del biglietto potrebbe autorizzare le critiche rivolte in modo costruttivo. Non certamente quelle inappropriate e volgari che si possono leggere sulle solite chat ed i soliti social.

Fatevene una ragione, ragazzi. Date tempo al tempo. Una casa non viene costruita partendo dal tetto. Ma dalle fondamenta. Come stanno facendo tutte le squadre della ICE. Non solo il Bolzano.

Anche qui, non è stato il caso, ma i biancorossi hanno premuto sull’acceleratore immediatamente dopo aver subìto lo 0-1 di Vela. Ed ironia della sorte, non con uno bensì due brillanti powerplay finalizzati alla perfezione, hanno ribaltato il risultato con DiGia Balboa (come si sussurra venga appellato Chris DiGiacinto in spogliatoio...) e Brad McClure.

Tim Harnisch prova a pasticciare nel secondo periodo il clima di festa al Palaonda. Il Graz perviene al pareggio ma è costretto ad inseguire nuovamente quando, dopo appena 1 minuto dall’inizio dell’ultima frazione, Tony Salinitri si presenta in orario all’appuntamento con l’assist millimetrico di Matt Bradley.Harvey


Qui sale in cattedra, provvidenziale come un’assoluzione per un condannato a morte, l’aura onnipotente di Sam Harvey. Il portiere biancorosso ed il penalty killing orchestrato dai depositari della tattica che abbiamo sul pancone sono le carte vincenti della quinta vittoria consecutiva della Capolista.

Che non sarà impeccabile, come lamentano i puristi. Però intanto è là. In cima al mondo. A guardare tutti gli altri. Dall’alto al basso.

Così sia...