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Assi di bastoni

lettura 8 minuti      I due eserciti stranieri procedono praticamente appaiati.

eserciti Sulle aste sorrette dagli alfieri, in testa ai rispettivi battaglioni, sventolano colori ed effigi in contrapposizione.

Da un lato, mossj da una frizzante brezza quasi invernale, garriscono stendardi italici, dagli splendenti colori: il bianco ed il rosso. Dall’altro, lieve ma sostanziale difformità, quelli dei giganti ungarici: il bianco ed il blu.

Le marce dell’Armata Biancorossa e dell’Alba Volán, sul suolo nemico, non sono perfettamente sincronizzate. Ma lasciano margini all’alternanza, nell’andatura.

Questione di incollature. Manciate di centimetri che, per il momento, quando sono trascorse un terzo delle campagne in programma per questa stagione venatoria, creano una differenza quasi insignificante.

Ai margini del loro passaggio, in Stiria piuttosto che in Carinzia, nel Salisburghese piuttosto che in Tirolo, il popolo d’Austria - territorio eletto ad ospitare la tenzone - li vede sfilare, masticando soffusamente l’amaro boccone.

marcia RadetzkyNonostante in sottofondo si potrebbero percepire le eterne ed inconfondibili note di una melodia così cara a queste latitudini, quelle della Marcia di Radetzky, opera gloriosa di Johann Baptist Strauss, non sono austriaci gli uomini al comando delle operazioni.

Un dettaglio, ma importante. Allo stato attuale delle cose.

“Solo Clemente di Metternich saprebbe come opporsi a queste mire espansionistiche...”.

Non basta evocare il più grande statista austriaco di ogni tempo, Metternichcapace di soffocare l’ambizione imperialista del giovane Napoleone Bonaparte, con la sola forza della diplomazia.

Al momento, la Lega mitteleuropea sorta da tempo nel Regno dell’Est, nella quale le delegazioni di quattro stati lottano da mesi per la supremazia, è in pugno agli stranieri.

E questa realtà non può essere tollerata a lungo dal board della Ice Hockey League.

Alle spalle delle due lepri in fuga, la muta dei cani al loro inseguimento si sta riorganizzando. Studiando le strategie vincenti. Che potrebbero ribaltare la situazione, quando marzo arriverà.

Dopo il break imposto dalle Nazionali, la ripartenza migliore è stata quella del Linz.

Durante questa pausa Philipp Lukas, leggendario ex giocatore ed ora head coach delle Black Wings, deve aver torchiato per benino le sue Ali Nere. Perché il loro avvio è stato esplosivo. Quattro vittorie consecutive, una più del solito altalenante Graz e due del Salzburgo. Quest’ultimo distratto dal consumo di energie profuse - anche molto bene, direi... - in CHL. Al quale, va comunque il merito di aver fatto suo anche il secondo scontro diretto con i Foxes, prima sconfitta esterna per loro, dopo i primi 60 giorni di Ice. Giusto per quel dovere di cronaca che dovrebbe far riflettere l’emergente popolo degli incommentabili scettici.

A parte questa sconfitta con i salisburghesi, che rimarrà assieme all’altra dello scorso 25 ottobre, nell’ambito della stagione regolare (un altro vivere rispetto ai playoff, voi che tendete a dimenticarvene...), dopo la parentesi azzurra le nostre amate Volpi hanno incamerato sette punti in quattro incontri. Si sono sempre dovuti dannare, per veder maturare gli interessi dall’enorme saldo positivo delle occasioni da rete avuti. Ma non hanno perso di vista i loro obiettivi, il progetto originale messo in cantiere - con grandiSalinitri aspettative - nello scorso mese di agosto.

Dieci giorni fa, col Villach, è stata una vera e propria battaglia. Il secondo tempo dell’Armata Biancorossa sta diventando il momento del match dove riesce meglio a capitalizzare. Al netto dell’ampia differenza nei tiri in porta (38 a 20), nel confronto coi carinziani sono stati decisivi il fulmineo break imposto da Salinitri ed Helewka, nel periodo centrale, e soprattutto la splendida azione corale partita - a meno di 40 secondi dalla sirena finale - dall’impostazione di Valentine e Bourque, proseguita dal duetto tra Helewka e Gazley, e chiusa - con una perentoria stoccata finale nello slot - dal nuovo sceriffo di via Galvani: Chris DiGiacinto.

Guardatelo, se ancora non l’avete fatto. Perché quel gol racchiude il manuale dell’hockey.

Anche ad Innsbruck, venerdì scorso, la montagna biancorossa ha partorito il topolino.

46 tiri complessivi verso la porta difesa da un commovente Evan Buitenhuis. Gigantesco per 60 minuti effettivi. E piegato solamente dal talento di un giocatore che diventa straordinario, quando si struscia la lampada di Aladino che c’è in lui.

Vi basta esprimere il desiderio giusto. Ci pensa lui ad esaudirlo:

Brad MacClure.

Controllo del disco fuggito al controllo della linea difensiva, giravolta in velocità per inquadrare la porta, scelta dell’angolo da battezzare, gol pesante, anzi pesantissimo. Due secondi di sublime gesto atletico. Per due punti, che servono a mantenere la linea di galleggiamento.

Domenica scorsa, invece, il big match alla Salzburg EisArena è vissuto su momenti diametralmente opposti. Dopo il primo periodo, ammetto di essere stato attratto dal Lato Oscuro, ove si annida il popolo dei Perenni Insoddisfatti. Quelli che riuscirebbero a trovare dei difetti anche in Victoria Kjær Theilvig, la modella danese incoronata Miss Universo qualche giorno fa...

Bolzano troppo brutto ed inconcludente per essere vero. Sotto di tre gol dopo 20 effettivi.

Ma poi capace di sovvertire un destino che sembrava già segnato, con una convincente prova di carattere nel periodo centrale.

Matt Bradley rompe l’incantesimo con il solito gol d’autore. Che questo ragazzo riesce a dispensare, quando serve davvero.

Michele Marchetti potrebbe dare un’ulteriore accelerata alla rimonta.

Ma il suo siluro colpisce in pieno la traversa.

Che la partita sia stata completamente ribaltata, dal giusto atteggiamento sul ghiaccio tenuto dai biancorossi, lo capisce anche il deejay della EisArena.

L’assist al bacio, costruito sull’asse Adam Helewka-Simon Bourque, è splendido come Victoria.

Giordano Finoro lo raccoglie per castigare ancora e magistralmente Atte Tolvanen.

Gazley

 

Passano due minuti o poco più ed il ventinovenne portiere di Vihti, bucolica comunità alle porte di Helsinki, si ritrova davanti uno dei suoi giustizieri più temuti: Dustin Gazley.

Il nostro è di Novi, Michigan. Sobborgo di quel che resta della celeberrima Motown, ovvero Detroit, la città fantasma.

Ma gli spettri, sul ghiaccio di Salzburgo, li vede solo il povero Tolvanen, fiocinato da Dustin con un disco che suona come una marcia funebre per tutto il Volksgarten.

Si torna incredibilmente sul risultato di parità, quando in molti avevano già dato il Bolzano per morto.

Il terzo tempo è come la roulette russa del film “Il Cacciatore”.

L’unica pallottola potrebbe essere destinata alle Lattine.

Ma Bradley colpisce la traversa ed è ancora Gazley a seminare il terrore davanti a Tolvanen. Senza cogliere però lo spiraglio giusto per il vantaggio esterno. Che sarebbe stato, di per sé, clamoroso.

Purtroppo, il colpo in canna è per i biancorossi. Messi al tappeto da un altro grandissimo giocatore della Ice: Ryan Murphy.

Sollevarsi dal ghiaccio, per cercare una nuova via verso la redenzione, è l’unica possibilità rimasta al Bolzano. Capace di creare nitide occasioni. Ma incapace, ahinoi!, di finalizzarle.

L’ultimo minuto serve solo per rianimare completamente il pubblico ed il deejay della città di Mozart. Attraverso i due gol a porta vuota che danno un’entità al risultato abbastanza diversa dalla realtà emersa nel match.

Se si potessero scegliere, come dicevamo, le partite intermedie della stagione da lasciare agli avversari, quelle fin qui giocate contro Salzburgo farebbero certamente parte del pacchetto.

I confronti decisivi inizieranno con l’approssimarsi della primavera. Non prima...

Venendo a situazioni più consone all’attualità, non si può non parlare del ritorno al Palaonda dei biancorossi, giusto mercoledì sera. 

“Olimpià Olimpià”, come cantano i supporters del Lubiana, si è dimostrata ancora una volta degna di essere considerata squadra da Top Six.

Grandissimo avvio dei Draghi Verdi, privi del loro metronomo ed indimenticato ex Ziga Pance, con lunghi minuti di dominio territoriale, suggellato attraverso l’exploit di Miha Zajc.

Biancorossi invece in affanno, nell’inseguire il bandolo della matassa fatto girare vertiginosamente dagli sloveni, ma che ritrovano gli equilibri necessari quando finalmente riescono a ricomporsi. Horak

Come già accaduto di fronte al guardiano del Fehérvár: Dominik Horvath, ed a quello dell’Innsbruck: Evan Buitenhuis, anche al cospetto di Lukas Horak i biancorossi debbono arrendersi all’evidenza dei fatti. Sulla loro strada spesso incombono portieri baciati da veri e propri stati di grazia.

Ieri sera il ceko “che guarda le spalle alla porta di Lubiana” ha sfoderato la prestazione delle grandi occasioni. È molto probabile, e non sarà certo un caso. Contro il Bolzano la volontà degli avversari pare essere sempre quella di voler uscire a testa alta dal confronto.

Bolzano ha pazienza, nonostante bisticci parecchio con quel maledetto disco. Che proprio non vuole proprio saperne di fermarsi nella rete, alle spalle di Horak.

Ci vogliono ben 34 minuti prima che gli alfieri dell’Armata Biancorossa rialzino i vessilli sopra le loro teste. Ed il merito non è del solito fenomeno in attacco. Ma del giocatore solido, come un convoglio di vagoni blindati: Scott Valentine. Con una sagitta scagliata dalla lunga distanza.

Lubiana è altrettanto solida. E determinata. A riprendersi quei tre punti che i biancorossi andarono a strappar loro una manciata di settimane fa nella Tana del Drago, la Hala Tivoli.

gol ValentinePotrebbe anche riuscirci, se quel vecchio marpione di Sabolic non fallisse l’occasione del secolo.

Gli ultimi secondi del terzo periodo, in superiorità, Bolzano li gioca con determinazione. Ma forse è venuto il momento di farsene una ragione. I biancorossi vivono il paradosso di riuscire a trovare gli spazi laddove se ne troverebbero meno. Ovvero a ranghi completi. In cinque contro cinque.

Lasciamo, per il momento, che gli special team avversari non abbiano difficoltà ad uccidere le loro penalità. Poi vedremo. Se avranno veramente ragione quei pochi detrattori. Oppure no.

Si va ai rigori. E tra eccellenti parate sfoderate da “San” Harvey e Lukas Horak emerge, dopo ben venti tentativi andati a vuoto, il Tocco del Male di Adam Helewka.

Il rigore decisivo del Tredici è molto più di un semplice atto liberatorio. Per i giocatori ed il pubblico. Al quale assiste rigore Helewkaanche un graditissimo ospite al Palaonda: Bernd Haake. L’uomo che, proprio alla fine del secolo scorso, condusse una squadra imbottita di ragazzini affamati di vittoria, a ledere le certezze che volevano l’Asiago campione d’Italia.

Chi vi scrive ricorda ancora molto bene l’espressione con cui il coach dei campioni mancati, Pat Cortina, lasciò sconfitto il ghiaccio dell’Hockey Club Bolzano. Il capo chino, l’espressione incredula, mascherata dagli occhiali appannati dalla condensa.

La festa si sposta immancabilmente, alla fine, sotto la balaustra dei Figli di Bolzano.

Oramai, anche i giocatori che sono a Bolzano da pochi mesi soltanto, hanno compreso che per festeggiare una vittoria in casa, posto più bello non c’è...

Esultanza
sotto la curva

IMG 5371(lettura 7 minuti)   8 novembre 1953

È una domenica. Ma non una qualunque.

In via Roma, il fervore tipico dei grandi avvenimenti.

    10 min. lettura.

DivanoIl grande e spazioso divano di Igor e Thomas è il più comodo di tutta la Ice Hockey League.

Avevo sentito in giro la voce, tra noi amici storici di Piazza Matteotti, ma non avevo mai approfondito la questione. Nella circostanza, ovvero il derby tra Valpusteria e Bolzano, ho avuto la fortuna di testarlo. E vi garantisco che ciò che si dice su questo sofà corrisponde al vero.

Come vuole la tradizione, ogni invitato che arriva a casa di Igor e Thomas, deposita svariati generi di conforto sulla destra del tavolo del soggiorno, allestito di tutto punto per l’occasione. Lasciando rigorosamente libera la parte sinistra. All’imminente arrivo delle succulente pizze maxi, ordinate all’amico pizzaiolo del quartiere.

Nell’innocente confusione generata da Thomas e Martin, gli unici bimbi autorizzati a stazionare lungo il corridoio umanitario tra la tivù ed il canapè, ne approfitto per occupare l’ampio cuscino centrale del mega divano, quello che garantisce una visione ottimale sul maxischermo di ultima generazione. Dove già stanno scorrendo le immagini del catino della Intercable Arena, esaurito in ogni ordine di posti, prima che prenda vita la prevedibile battaglia - senza esclusione di colpi - tra le due storiche nemiche dell’hockey nostrano.

Il commento tecnico dell’attesissimo derby tra Foxes biancorosse e Lupi pusteresi, non è garantito solo da Laconi ed Hofer. Ma anche da Luca, uno degli amici di vecchia data della Piazza, grande appassionato di sport e noto praticante polivalente. Anche nell’ambiente dell’hockey.

Luca è stato un buon giocatore di football americano, costretto a togliersi l’armatura solo per sopraggiunti limiti d’età. Per contro, nell’hockey su ghiaccio ed inline, è considerato ancora idoneo ad indossare il corpetto di portiere amatoriale. E ciò gli permette di alimentare, chissà per quanto tempo ancora, la sua ciclopica fame di agonismo, nonostante i 50 li abbia superati da un pezzo.

Non appena il primo disco del match viene scodellato sul ghiaccio, Igor potrebbe tranquillamente azzerare il volume della tivù dal suo telecomando. Tanto ci penserà Luca a descrivere, alla sua maniera, ogni singola azione che si svilupperà sul ghiaccio. Uno spettacolo nello spettacolo.

Si capisce fin dai primi istanti che il match sarà vibrante, nervoso ed intenso. Non solo sul ghiaccio. Ma anche sulle contrapposte barricate delRienz Kurve.

Bolzano è alla ricerca della sua quinta vittoria consecutiva nell’arena gialla dei suoi ostici rivali. Che, per contro, intendono rafforzare il posto conquistato nella Top Six. Ed impedire, soprattutto, che la serie vincente dei biancorossi si allunghi.

I contrasti sulla balaustra ed in campo aperto sono subito bollenti. La curva giallonera si infiamma alla prima occasione pusterese, creata da Tyler Coulter. Ma è il Bolzano a passare con Matt Bradley, assistito nel traffico da Brad Christoffer. Il numero 67 è il più lesto ad ipnotizzare il disco in mischia. Ed a collocarlo in porta, tra i gambali di Andreas Bernard.

L’urlo che liberiamo in soggiorno è di quelli ampi ed improvvisi.

Anche i bimbi interrompono i loro giochi, nell’intento di capire cosa sia accaduto.

Un istante dopo, interpretando a modo suo l’Arcangelo Gabriele, Igor annuncia con malcelata soddisfazione l’imminente consegna delle maxi pizze.

Nel frattempo, il gioco all’Intercable Arena è ripreso. Con il Valpusteria fortemente determinato a non lasciar crogiolare troppo il nobile avversario sul suo vantaggio appena acquisito.

Alex Petan avrebbe anche l’occasione giusta per riagganciare la capolista. Ma Sam Harvey non ha esitazioni. Uscendo vincente dal primo di tanti duelli della serata.Bradley

Il secondo trancio di pizza che sto addentando rischia di andarmi di traverso quando, a metà del primo periodo, Matthias Mantinger si dimostra molto più furbo ed opportunista di Petan. Perché elude la difesa sul corto rebound del nostro eccelso guardiano, infilando il puck alla sua destra.

Il momento è catartico, come amava ricordare Flavio Oreglio a Zelig.

Subito dopo aver incassato il pareggio, il Bolzano può giocare il primo powerplay di questo derby. Anche i bimbi abbandonano le loro ludiche attività. Ma a parte un tentativo di Simon Bourque, nei minuti di superiorità i Foxes palesano ancora una volta i loro limiti.

Al momento l’Armata Biancorossa riesce a sprigionare tutto il potenziale solo quando le squadre sono in parità numerica. Ne dà una dimostrazione pratica Matt Bradley, poco prima dello scadere del primo periodo. Fuggendo tra le maglie della difesa, nel più classico dei breakaway.

Andreas Bernard spiana l’apertura alare, neutralizzando la favorevolissima occasione.

Il primo atto del derby va in archivio con un interrogativo. Dopo tutte le evidenti schermaglie e le minacce che si sono scambiati sul ghiaccio nei primi venti effettivi, tra tutti quelli che se le sono promesse, quali saranno i giocatori a suonarsele di santa ragione?

La prima sirena giunge opportuna. Perché ci regala alcuni momenti di relax. Durante i quali, sul tavolo del soggiorno, fanno la loro comparsa i dolci acquistati ad hoc per la nostra serata a base di hockey e consumata fratellanza.Pusteria Campione

Sul maxischermo continuano a scorrere immagini di repertorio. Che riempiono idealmente i minuti mancanti alla ripresa del gioco. Il volume dell’audio è impercettibile. Ma sono facilmente intuibili i commenti a margine. Perchè arriva un momento in cui viene riproposta la sintesi di quell’incredibile serie di finale di Alps tra Valpusteria ed Olimpia Lubiana, quella in cui i pusteresi stavano già pavesando di giallonero la gigantesca coppa del vincitore. Nella convinzione che il vantaggio acquisito sull’avversario fosse sufficiente per aggiudicarsi il primo titolo della loro storia.

Tanta sicurezza nei loro mezzi che ingannò anche il titolista del Giornale Alto Adige, a cui venne affidato il compito di chiudere la prima pagina con il richiamo lasciato libero per l’occasione. E che, per questione di tempi tecnici da rispettare, venne editato in sciagurato anticipo.

Morale: nonostante la Coppa fosse già stata esibita al pubblico osannante, il Valpusteria venne incredibilmente rimontato e battuto nei pochissimi minuti a disposizione dell’Olimpia Lubiana. Che compì un vero e proprio miracolo conquistando quella coppa che imprudentemente i pusteresi ritenevano già loro.

La doppia beffa per i Lupi si presentò il mattino seguente. Quando, nelle edicole della provincia - e non solo - il quotidiano Alto Adige esibì in prima il richiamo dell’hockey editato prima del dovuto.

“Il Valpusteria batte l’Olimpia e si aggiudica la Alps”.

Sono certo che i tifosi pusteresi non lo ammetteranno mai. Ma quella finale persa e soprattutto quel richiamo beffardo non li digeriranno nemmeno nelle loro prossime sette vite...

Il derby riprende ed il Bolzano prende con decisione le sue redini. Il primo a creare scompiglio è Tony Salinitri ma Andreas Bernard risponde “Presente!”.

A Brunico non sarà semplice scegliere il portiere titolare tra lui ed Eddie Pasquale.

Andreas vede alzarsi d’un soffio sopra la traversa il maligno rovescino di Brad McClure ma nulla può quando la fucilata in diagonale di Michele Marchetti sbuca all’improvviso davanti al suo slot trafiggendolo, per il nuovo vantaggio esterno.

Il Valpusteria rischia ancora su successivo episodio che ha Brad Christoffer per protagonista. Dall’altra parte Sam Harvey è sempre lucido ed attento.

La gara si fa molto più ruvida, gli equilibri si sono rotti al gol di Marchetti e gli effetti dei contrasti sul ghiaccio debordano dal tollerabile. Tanto che i due referees sono obbligati agli straordinari.

Filano per primi, in panca puniti, Mike Halmo e Mats Frycklund. Ma è solo l’inizio.

Chris DiGiacinto e Cedric Lacroix entrano per l’ennesima volta pesantemente a contatto. Gli arbitri ravvisano penalità per il pusterese. Ma nel parapiglia che si genera, il fighter biancorosso esce dalla lotta trascinando dietro di sè John Svedberg, stesso protocollo usato nei confronti di Paul Stapelfeldt, durante la battaglia persa al Palaonda con i Red Bull.

Svedberg e Stapelfeldt vantano alcune cose in comune: peso ed altezza. Entrambi superano comodamente i due metri d’altezza. E, sulla bilancia, sfiorano la quintalata.

Tutto questo sembra non importare più di tanto a Chris DiGiacinto. Fedele alla regola che: più grandi sono, più rumore fanno quando cadono sul ghiaccio.

A nove secondi dal termine del secondo periodo Chris e John si levano i guanti.

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In allungo Svedberg potrebbe avere un evidente vantaggio. Ma DiGia è un furetto difficile da inquadrare. Perché gli si para davanti a scatti. E la mascella del biancorosso, presa di mira un istante prima, scompare in quello dopo.

Quando è Chris a mettere nel mirino il volto del gigante giallonero, partono tre montanti che bruciano gli zigomi a Svedberg. Il quale incassa senza reagire. E, nello strattonamento successivo, collassa proprio sul suo avversario.

Prima di tornare in spogliatoio, DiGiacinto si rivolge alla curva biancorossa urlando e mostrando i pugni. Con tutta la grinta che oramai gli è riconosciuta. Un’immagine che è stata immortalata da qualcuno e che è già diventata virale sui social. Una foto che contiene anche altro. Sulla sinistra, il sorriso guascone di Brad McClure, rivolto al suo compagno. Sulla destra, la reazione non certo composta di un riconoscibile addetto di campo giallonero. Cose che si commentano da sole...Helewka

Proprio allo scadere del secondo infuocato periodo saltano i nervi anche ad Austin Osmanski. Colpo di bastone e Bolzano che avrà a disposizione un ghiotto 5 contro 3 al rientro delle squadre sul ghiaccio.

La doppia superiorità è un vantaggio che i biancorossi non possono scialare. Ed infatti, Adam Helewka, dopo appena un minuto, netta l’incrocio dei pali con un gran tiro che vale il doppio vantaggio. Bolzano non si rilassa ed è ancora lo sniper biancorosso a rendersi pericoloso sotto la curva giallonera. Ma il palo, questa volta, si sostituisce a Bernard.

I biancorossi subiscono la prima di ben quattro penalità consecutive accumulate nel terzo e decisivo periodo. Glen Hanlon non ha proprio nulla di cui compiacersi. Ma tant’è.

Ci vuole tutto il mestiere di Sam Harvey perché i biancorossi possano continuare ad amministrare il doppio vantaggio. Luca Frigo potrebbe chiudere i conti su assist di Daniel Mantenuto ma è ancora il palo a salvare Andreas Bernard.

Ad otto dal termine Scott Valentine entra sconsolato in panca puniti ed il Valpusteria la riapre con Tommy Purdeller. Un uomo che toglieremmo volentieri ai pusteresi. Capace di gettare sempre sul ghiaccio il fuoco dell’agonismo che alberga nel suo cuore.

L’assalto all’Ok Corral dell’Armata Biancorossa è quanto di più prevedibile possa accadere. Ma Sam Harvey è un muro invalicabile, anche quando il Bolzano è costretto a difendersi in quattro contro sei, per le ultime penalità della serata, a Christoffer e Mantenuto.

Con Andreas Bernard richiamato in panchina, il disco di platino che serve ai Foxes per chiudere in proprio favore il quinto derby consecutivo all’Intercable Arena capita sulla spatola di Luca Frigo. Il quale lo accarezza verso la porta vuota, per il 4-2 definitivo.

curva ospiti BZshakehands

Fa la sua comparsa un’ottima bottiglia di lambrusco rosè, presa di recente da Laura in un’azienda agricola mantovana. Un brindisi alla vittoria. Ed alla nostra trentennale amicizia.

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Il giorno dopo, alzarsi dal letto è un esercizio particolarmente difficoltoso.

Le ossa indolenzite, il naso chiuso, la voce di Amanda Lear.

Temo che anche i biancorossi abbiano più o meno le stesse difficoltà.

Non dev’essere facile scendere subito sul ghiaccio dopo aver bruciato, la sera precedente, una montagna di energie nervose. La risposta la darà come sempre il ghiaccio di via Galvani. Anche se un’idea a riguardo risulta abbastanza prevedibile.

In questo momento, il Fehérvár è il peggior avversario che possa capitarti. A testimonianza di ciò gli ungheresi vantano ben sette vittorie consecutive. Inanellate dopo lo 0-3 casalingo patito proprio dai Foxes, il 6 ottobre scorso. È molto probabile che diventino otto. Per i motivi di cui sopra.

Il match mette subito in evidenza il grado di condizione smagliante attraversato dai magiari. Gli ungheresi pattinano molto più dei biancorossi. Ed in attacco hanno soluzioni davvero brillanti.

Bolzano non è un esercito di soldatini di piombo. Non resta a guardare passivamente l’avversario anche se, qualche spazio di troppo glielo concede.

I biancorossi colpiscono il palo con Marchetti e si rendono pericolosi con Finoro, Christoffer e Frigo. Ma la difesa ungherese al momento è la migliore della Ice. E Dominik Horvath è davvero un brutto cliente per le linee d’attacco avversarie.

I Foxes potrebbero sbloccarla grazie ad una superiorità numerica. Il pattinaggio e la circolazione del disco non mancano. Ma le conclusioni verso la porta sono frutto di scelte inappropriate. E rese complicate dalla pressione del penalty killing.

Si va al primo riposo su uno 0-0 che lascia la sensazione della provvisorietà.HCB AV19

L’inizio del secondo periodo è ancor più emblematico.

Fehérvár è estremamente determinato e deciso nel volersi prendere il loggione più prestigioso nel teatro della Ice. Spodestando proprio i biancorossi. Per i quali, il drittel centrale, diventa un vero e proprio supplizio.

Gli ungheresi possono contare anche su episodi favorevoli. Come in occasione del gol che sblocca  l’incontro. Sul tiro di Janos Hari, il nostro portiere ribatte corto ma è sfortunato nel trascinare il disco in rete con il gambale sulla ribattuta a colpo sicuro dell’attaccante.

Fehérvár insiste, Bolzano insegue. Anche se il distacco sembra via via dilatarsi ad occhio nudo.

È Chris Brown ad infilare sotto la traversa della gabbia di Sam Harvey, quando siamo quasi al giro di boa dell’incontro.

Il momento topico del match cade proprio allo scadere del secondo periodo. Daniel Mantenuto viene vistosamente trattenuto quando è in prossimità di scaricare il tiro di polso verso Horvath. Il fallo non viene ravvisato. L’azione prosegue e Luca Frigo, a sua volta, viene invece punito per un’interferenza al limite del dubbio. Adam Helewka non riesce a trattenere il suo personale disappunto. Il referee è costretto a mostrargli la panca puniti a causa delle sue accese proteste.

In 5 contro 3, il team magiaro porta a tre le reti di vantaggio con Balazs Sebok quando manca solo 1”8 alla sirena, nonostante un Sam Harvey miracoloso in due circostanze.

Fehérvár procede alla posa della prima pietra. Sul quale potrà costruire il proprio successo nell’ultimo periodo.

Bolzano non è ancora al gancio. Anche se recuperare tre gol ad un avversario in simili condizioni di forma è davvero complicato. Ma i Foxes ci provano comunque. Le energie nervose stanno per accendere la fatidica spia rossa sul cruscotto. Tentare, non costa nulla.

L’Armata Biancorossa sa di non avere molta benzina nel serbatoio ma parte subito in quarta. Ed il Palaonda dimostra di gradire la forza di volontà dei padroni di casa. Di vendere a caro prezzo la propria pelle ed il proprio posto in prima fila.

Ci prova Brad Christoffer, poi Adam Helewka. Ma la gabbia di Dominik Horvath resta in piedi.

“Date il disco a Simon!”, sembra urlare Glen Hanlon al suo team.

In effetti è proprio Bourque a scuotere i compagni con efficaci uscite di zona. Venendo premiato al 6’44” con una conclusione che finalmente elude la rete protettiva costruita da Horvath intorno a sé.

Mike Halmo procede a passi veloci verso il completo recupero. È lui, assistito da McClure, a sfiorare la seconda marcatura.

Nessuno può aspettarsi ciò che accadrà negli ultimi minuti del match. Ma Bolzano è ancora sotto di due reti. Il fulmine cade però sulla testa dei magiari a meno di 6’ dal termine. Quando Tony Salinitri in powerplay - finalmente! - raccoglie l’assist di Matt Bradley fulminando Horvath.

La partita diventa improvvisamente intensa. Bellissima ed incerta.

Cameron Gaunce si rende protagonista di un fallo avventato, che potrebbe costare il risicato vantaggio Fehérvár.

Bolzano va vicinissimo al pareggio. Che gli viene negato in tre distinti tentativi da un Horvath davvero monumentale.

Ad un minuto dal termine, Hanlon toglie Harvey. Ma la mossa non paga. Perché Anze Kuralt colloca il disco nella porta vuota.

Sembra finita. Ma nove secondi dopo Luca Frigo rimette in gioco i biancorossi.

Negli ultimi 36 secondi Harvey ripiomba sul pancone, liberando il sesto uomo di movimento. Gesto disperato. Che nuovamente non paga. Perché Janos Hari fa calare il sipario. Su un finale dai contorni drammatici ed ampiamente spettacolari.

I biancorossi raccolgono comunque gli applausi che scendono dalle tribune. Anche se il primo posto ora è occupato dal Fehérvár.

Soffia un vento nuovo all’interno della Lega.

Alla prima sosta riservata alle Nazionali, infatti, nei primi cinque posti della classifica di austriaco c’è solo il Graz.

Salzburgo e Klagenfurt non danno continuità alle loro prestazioni.

Vienna, Villach e Linz galleggiano nel limbo tra il settimo ed il decimo posto.

Innsbruck e Vorarlberg anche quest’anno vinceranno il prossimo.

La stagione è solo al primo pit-stop.

Ma il Bolzano ha già individuato altri pretendenti al titolo.

La Signora del Mare e la Regina delle Dolomiti - Assi di bastoni #12 di Andrea Scolfaro (tempo di letture 10 minuti).

12 min. lettura

Adoro, nelle notti stellate, uscire sul grande terrazzo di casa. Alzare lo sguardo verso il cielo, prendendo ampie boccate di quell’aria che immagino libera dallo smog. Cercare le costellazioni più facili da individuare e restare lì. Ad osservarle, la testa libera dai pensieri.Stelle

Specialmente in estate, proprio sopra di me, il Grande Carro rimane sospeso, nel buio della notte, al suo solito posto. Quasi volesse stare lì ad aspettarmi.

Quel nitido, inconfondibile quadrilatero simmetrico di stelle, l’ho sempre associato alle quattro basi del diamante del baseball. Uno delle discipline sportive che amo di più, nella mia vita.

In fondo, per origine ed estrazione sociale, mazze e bastoni hanno molte similitudini...

Nel vortice di uno di quegli strani scherzi che ogni tanto il destino si diverte a disegnare, proprio nell’immediata vigilia delle World Series tra Los Angeles Dodgers e New York Yankees, martedì scorso è giunta la triste notizia della scomparsa di uno dei più grandi ed amati lanciatori nella storia del baseball: Fernando Valenzuela. El Toro. L’essere sovrannaturale. Perché in possesso, secondo dicerie create ad arte, del terzo occhio. Quello parietale. Come le iguane. Ricevuto in dono dall’Onnipotente, perché sul diamante potesse essere il Migliore. In grado di eliminare i corridori in base. Senza nemmeno voltare le spalle.

Valenzuela arrivò ai primordi degli anni ‘80 proprio a Los Angeles. Da Navojoa, sperduto paesino dello stato messicano di Sonora. Valenzuela

Gli scout dei Dodgers su di lui ebbero un fiuto straordinario. Che lui seppe ricompensare.

Quando Tommaso Lasorda, leggendario manager della franchigia della Città degli Angeli, lo associò al ricevitore Mike Scioscia, fece la sua fortuna. E quella dei Dodgers.

Quella straordinaria batteria, nel 1981 fu artefice del trionfo dei californiani nelle Series contro i New York Yankees.

Fernando e Mike, nonostante fossero poco più che esordienti, affrontarono quell’indimenticabile stagione sfoggiando una personalità totalmente fuori dal comune. E fecero la storia.

43 anni dopo, l’America rivive la stessa sfida galattica. Quella tra le due realtà più amate ed odiate nel baseball. Dodgers vs. Yankees.

Nelle prime due partite, giocate a LA, lo spettacolo è stato forse al di sopra delle più felici aspettative. Gara 1 è stata decisa da una giocata straordinaria di Freddie Freeman. Prima base dei Dodgers. Uno degli sluggers più temuti in Major League.

Al decimo inning Freeman è andato nel box di battuta per affrontare a duello Nestor Cortes, pitcher di NY. Essendo entrambi mancini, i vantaggi si sono annullati. Cortes ha scelto la palla veloce. E totalmente schiacciata sul filo del piatto. Un lancio davvero maligno. Che Freeman ha però mandato in Paradiso. Le basi erano piene. E la sua walk-off lungo quelle stesse basi è sembrata la passerella finale della star sul palcoscenico, al termine di una rappresentazione da sogno.

Un Grand Slam da 4 punti, che ha letteralmente ribaltato gli Yankees.

I disegni del destino, talvolta, combaciano. Ma non hanno, sempre, lo stesso risultato.

Gara 2 infatti è stata dominata da Yoshinobu Yamamoto, superlativo lanciatore dei Dodgers.World Series 2024

Ma Los Angeles, avanti 4-1 fino all’ultimo attacco newyorkese, ha perso la lettura sulla palla. Per troppa confidenza. Proprio nel momento topico del confronto.

Gli Yankees hanno riempito le basi nel nono ed ultimo inning, servendo a mani esperte un altro potenziale Grand Slam. Quelle di Jose Trevino, ricevitore texano, mai decisivo come Freeman ma in grado comunque di sprigionare esplosività nel suo giro di mazza.

Trevino ha cercato di pescare il jolly, cogliendo di sorpresa la batteria nemica. Ma il suo legno è risultato troppo corto. E solo uno dei suoi tre compagni è riuscito a portare il punto a casa.

Sul 2-0 Dodgers, la serie si è spostata a New York. E ieri notte si è giocato il primo dei 3 match in programma allo Yankees Stadium.

Freddie Freeman lo ha ammutolito subito, con l’ennesimo fuoricampo stagionale. Subito dopo Tommy Edman ha coperto la corsa sulle basi grazie a Shohei Ohtani e Mookie Betts, portando Los Angeles sul 2-0 al primo inning. Il lanciatore partente Walker Buehler, ed il campo interno dei californiani, hanno gestito benissimo questo vantaggio. Che l’attacco ha fatto ulteriormente lievitare. Fino al 4-0 con il quale i Dodgers hanno assorbito di mestiere la disperata fiammata finale degli Yankees, in chiusura di nono inning. 4-2 finale e 3-0 per LA nella serie.

Se l’esito delle World Series sarà ancora in bilico dopo cinque incontri, si tornerà a Los Angeles. Per gli ultimi due.

La concomitanza con le imminenti Elezioni americane hanno fatto sì che queste epiche Series oscurassero addirittura le ultime schermaglie tra Donald Trump e Kamala Harris. Uno dei quali, martedì prossimo, verrà scelto dal popolo statunitense come 47º Potus (President of the U.S. ndr) della storia.stecca e mazza

Dal baseball all’hockey, dalle mazze ai bastoni, giusto per rimanere in tema di amori.

Bolzano ha chiuso domenica le sue Series - cinque incontri in soli nove giorni - lasciando per strada solamente il match contro Salzburgo di venerdì scorso. E mandando in archivio il primo girone della stagione con un bilancio molto più che lusinghiero: 30 punti, frutto di 10 vittorie su 12 incontri, prima posizione in classifica, 5 punti di vantaggio su Graz, sua diretta inseguitrice.

Anche se in circolazione continuano ad imperversare, con i loro sproloqui, faziosi puristi capaci di storcere il naso per il mancato raggiungimento della perfezione assoluta, l’Armata Biancorossa occupa a pieno titolo la mattonella più pregiata della Lega.

Ci eravamo lasciati, nella scorsa rubrica, alla vigilia del pericoloso crocevia di Klagenfurt.

Finora il Bolzano versione export non ha mai fallito un appuntamento in trasferta. E la tradizione è proseguita anche sulla sponda orientale del Wörthersee.

In questo avvio di stagione, le Rotjacken si sono riflesse sulle acque del loro amato lago senza l’originale lucentezza che le ha sempre contraddistinte. KAC è sempre stato acronimo portatore di cattivi presagi. Ora però Klagenfurt viaggia con troppa incostanza rispetto al passato. Nonostante abbia azzeccato in pieno il colpo più fragoroso del mercato estivo: Mathias From. Il gigante danese che sembra uscito dal compendio del perfetto hockeista.

Certo, le fatiche della Champions hanno inciso negativamente. Ma la proverbiale solidità difensiva è solo un ricordo, allo stato attuale delle cose. foto:
KAC

EC-KAC/Florian Pessentheiner

Tempo per ricalcolare la rotta, Klagenfurt ne ha in abbondanza. Gli auguriamo che i suoi tifosi - ed il veterano Sebastian Dahm - non siano costretti ad attendere a lungo gli auspicati correttivi al reparto difensivo.

Oggi le “giubbe rosse” sono costrette ad usare il binocolo per vedere la vetta della classifica. Questo perché le volpi biancorosse si sono portate a casa tutti i punti in palio anche nel confronto diretto di una settimana fa. Un match che ha messo in risalto l’attuale differenza tra i due team. Il Bolzano ha chiuso infatti con 41 tiri contro i 19 dei padroni di casa. Cifre davvero impietose.

Comunque, il duello di Klagenfurt si è aperto allo stesso modo di quello di Graz. Padroni di casa in vantaggio con Matt Fraser ma biancorossi implacabili, nel loro lento e progressivo recupero del comando delle operazioni.

Benissimo Tony Salinitri, che ha definitivamente cancellato quel minimo dubbio che aveva accompagnato il suo arrivo a Bolzano. E grandissima la prestazione di squadra nel terzo periodo. Dove si sono distinti parecchi autori. Vedi Daniel Frank, Brad Christoffer, Brad McClure. E quel Chris DiGiacinto che sta sempre più diventando uno degli idoli della tifoseria.

Venerdì sera, invece, l’attesa del match contro le Lattine ha scosso le fondamenta del Palaonda.

A causa della composizione della quaterna arbitrale.

Quando si parla di lui si devono scindere due figure. Quella del ragazzo da quella dell’arbitro.

Il ragazzo merita tutto il nostro rispetto. A prescindere. Perché si legge dal suo volto quanto sia una persona di quasi 35 anni, assolutamente normale, pacifica, con una smodata passione per l’hockey su ghiaccio, la stessa che proviamo noi, mi sembra di poter dire.

L’arbitro invece ci obbliga a spendere alcuni perché. Oltre alla stessa dose di rispetto. Anche se parlare della sua figura di referee è una vera e propria prova di ardimento. Che vorremmo tentare di affrontare comunque. Anche se potrebbe essere molto facile scivolare nel banale.fratelli Nikolic

Nonostante la sua giovane età, ha già diretto in carriera oltre 500 match. Suddivisi tra Austria, Germania e Svizzera. Moltissimi dei quali assieme al suo gemello, Kristijan.

Ha iniziato a praticare da giovanissimo, nel 2006. E fa parte dal 2012 della terza squadra che scende sul ghiaccio ogni benedetta giornata di questa Lega mitteleuropea.

Ora, andiamo al sodo della questione.

Perché questo odio nei suoi confronti?

Che bisognerebbe estendere anche a suo fratello, a questo punto.

Da dove nasce? E perché, soprattutto, è diventato bilaterale?

Il rapporto tra i gemelli ed i biancorossi nasce in tempi non sospetti. Inizialmente era totalmente neutro. Poi, dal 2014 ad oggi, sono cominciate a fioccare le interpretazioni del regolamento che hanno gettato sul ghiaccio i primi ragionevoli dubbi sul loro operato. E sulla metodologia che, dietro le quinte, il board arbitrale della Lega allegava alle loro designazioni. Anche - e non solo, attenzione! - per le partite dell’Hockey Club Bolzano.

Con il passare delle stagioni agonistiche, la relationship tra quegli arbitri ed i biancorossi si è progressivamente incrinata. Fino a diventare irrecuperabile. Perché al Palaonda, gradualmente, si è generata col tempo quella che comunemente viene definita la “cultura del sospetto”. Non un malessere tipicamente italiano. Ma insita dell’essere umano.

Quando la squadra arbitrale della Lega comprendeva uno di loro, a Bolzano come altrove, emergeva il dubbio che dietro la designazione ci fosse un disegno preciso. E si sussurrasse, oramai in modo sempre più netto e frequente, che i vantaggi scaturiti dalle loro direzioni arbitrali fossero smaccatamente unilaterali. Indirizzati, se proprio lo dobbiamo dire, verso il team che alberga nella città di Mozart.

A corroborare questa teoria, che potrebbe sembrare avventata se non ci fossero numerosi indizi a sostenerla, prima della serie di finale dello scorso aprile tra Salzburgo e Klagenfurt, anche i bollettini che uscirono dall’ufficio stampa del Kac si auspicarono che l’operato del terzo team sul ghiaccio fosse il più neutrale possibile. Semplice casualità?

Torniamo al presente.

Se il nome di Manuel Nikolic esce casualmente dal setaccio del designatore, si può pacificamente osservare che i biancorossi siano poco fortunati nell’esito del sorteggio. Se, per quel che temiamo, sia preventiva, quando al Palaonda si esibiscono i salisburghesi, allora il discorso muta radicalmente nella sua sostanza.

La realtà delle cose dimostra inequivocabilmente che Manuel Nikolic e l’Hockey Club Bolzano non si ameranno mai. Troppe situazioni, più o meno dubbie, hanno creato il reciproco logorio. E molte volte il pubblico bolzanino ha manifestato senza equivoci il proprio disagio nei suoi confronti. 

HCB RBSIl peggio accade quando il ragazzo viene provocato, a causa di una chiamata dubbia. Perché cambia totalmente atteggiamento. E lo si può intuire abbastanza chiaramente.

Quando è infastidito, non ce la fa a nascondere del tutto la propria insofferenza, cercando di mascherarla con la supponenza, soprattutto sotto la balaustra dei Figli di Bolzano. Accompagnandola con una gestualità che ricorda il Marchese del Grillo. Quando rammenta, a chi non lo sta certamente osannando: “Io sò io. E voi...”.

Nonostante allo zebrato austriaco stia sulle palle la piazza bolzanina, Manuel Nikolic non ha arbitrato in modo malvagio. Per 30 minuti il match è stato incredibilmente spettacolare. Sembrava gara 7 dello scorso aprile. Per intensità ed agonismo. E lui non ha assolutamente inciso negativamente sul confronto.

Poi, nella testa dei biancorossi, è entrato un granellino di sabbia nel meccanismo della concentrazione. E sono sopraggiunti l’interferenza di Pascal Brunner ed il colpo di bastone di Cole Hults. Penalità ammesse dagli stessi giocatori.

Nikolic ha sorvolato poi su un paio di cariche al limite, distribuite equamente. È stato forse severo sulla trattenuta di Luca Frigo ma non ha potuto non vedere il fallo di Matt Bradley che neutralizzava quello appena commesso da Nikolaus Kraus.

L’ultima chiamata, quella su Scott Valentine, è costata al “Numero 22” una bella doccia di birra Forst, gentilmente offerta dalla curva. Ma, come ammesso anche da capitan Daniel Frank nel dopo-partita, le penalità ci stavano. Inutile recriminare contro di esse.

Salzburgo ha messo in cascina tre powerplay magistrali. Bolzano li ha bucati tutti e quattro.

Può essere questo un importante metro di giudizio, nel primo incrocio stagionale tra le due.

Bolzano all’inizio ha creato tanto, anzi tantissimo, in cinque contro cinque. Reggendo benissimo il confronto con lo storico avversario. Come dimostrano i 14 tiri a 5 del primo tempo. Ciò dovrebbe dare ulteriore consapevolezza allo staff tecnico ed alla squadra. Questo gruppo è superiore a tutte le altre avversarie della ICE. Come dimostrato analiticamente dai risultati.

Poi, quando le penalità hanno spezzato il ritmo alla regolarità, i valori sono emersi al contrario. Salzburgo ha messo sul ghiaccio un powerplay letale. Bolzano ha lasciato invece a desiderare. Ed ha pure trovato un David Kickert davvero superbo, in opposizione ai tentativi biancorossi.

Una lezione che potrebbe rivelarsi molto preziosa per il futuro. Se l’Armata Biancorossa saprà trasformare in virtù la sua devozione alla disciplina, non avrà problemi a mantenere l’attuale posizione di vertice. E non ci sarà alcun Nikolic che tenga. Questo è pressoché certo.

Domenica scorsa, infine, i Foxes sono scesi sul ghiaccio della Vorarlberg Halle di Feldkirch con una pesante pastrana sulle spalle. Non per il freddo. Ma per la statistiche da brivido.

Lo dice la storia. Quando il pullman biancorosso, da calendario, è stato costretto a dirigersi verso il lembo più occidentale dell’ex impero austroungarico, sovente ha riportato a casa una squadra affranta dalla sconfitta. Ma non in questo caso. Altro indizio di peso sulla bontà di questo team.

Da 32 anni, titolava il Giornale Alto Adige, il Bolzano non assaporava il dolce retrogusto della vittoria. Il nostro Alessandro, vero e proprio data base delle vicende biancorosse, è andato ben oltre. Ricordandoci come dal 1968, su 40 incontri in Vorarlberg, tra Feldkirch e Dornbirn, solo in 13 circostanze il sacco dell’Armata Biancorossa sia andato a buon fine.

Il match, ovviamente, ha ricalcato alla lettera il solito copione. Bolzano nettamente superiore nel computo totale dei tiri in porta (36 a 18) ma costretto agli straordinari per indurre alla ragione la sua proverbiale Bestia Nera.

La cronaca è emblematica, a riguardo.

Vallini vs PIV𝐹𝑜𝑡𝑜: 𝐷𝑜𝑟𝑛𝑒𝑟_𝑝𝑖𝑜𝑛𝑖𝑒𝑟𝑖.ℎ𝑜𝑐𝑘𝑒𝑦 

Glen Hanlon lascia le chiavi della porta a Gianluca Vallini. E Jonny ripaga la scelta del suo coach con una prestazione confortante. Arricchita da una sicurezza espressa attraverso il senso di posizione ed il ricorso all’estemporanea sostanza. Come accaduto in occasione della duplice occasione avuta da Josh Passolt nel primo tempo. La prima spedita sull’esterno della rete. La seconda, sugli sviluppi dell’azione, respinta in tuffo dal nostro portiere, con una parata a due mani, a neutralizzare il tiro a colpo sicuro dell’ala sinistra del Wisconsin, alla prima esperienza in Europa.

È sempre Toni Salinitri l’alfiere deputato a tenere alto il cencio biancorosso. Perché ancora una volta è il numero 71 ad indirizzare il match in apertura. Con un magico slash di polso sul quale David Madlener non può opporsi.

Bolzano si dimostra più disciplinato rispetto a due giorni prima, ma è sempre una superiorità numerica dell’avversario ad essere fatale ai biancorossi. Luca Frigo viene spedito in panca puniti per un’interferenza; 90 secondi dopo Vorarlberg pareggia.

Come a Klagenfurt, ed ancor prima a Graz e Lubiana, anche a Feldkirch i Foxes capitalizzano nel terzo periodo. Una caratteristica che evidenzia l’importanza di avere un roster molto profondo.

Il manometro dell’intensità di Vorarlberg è sempre spinto al massimo della capacità. Ma questa è ancora una volta la serata del Bolzano. La decima della stagione. La sesta consecutiva al di fuori delle mura della sua Arena di via Galvani.

Giordano Finoro veste i panni dell’assistman. E manda in estasi i suoi compagni di squadra. Prima manda in golMichele Marchetti, che riscrive a referto il gol annullatogli nel secondo tempo. Eppoi Adam Helewka, in situazione disuperiorità numerica per il Bolzano. L’unica delle quattro finalizzata positivamente. Ma nel momento decisivo del match, subito dopo la prodezza dello stesso Passolt, abile nel rimettere nuovamente allineati i piatti della bilancia.

Bolzano non espugnava Feldkirch dai tempi delle guerre puniche. Il sigillo porta la firma di Cole Hults, glacialenellospedire in fondo alla gabbia disadorna il puck della sentenza inappellabile.

MatildeProprio nel momento di chiudere il nuovo capitolo della nostra rubrica, giunge l’eco oscuro della tragica fatalità. La più grande promessa dello sci azzurro, Matilde Lorenzi, non ce l’ha fatta.

Nel cielo stellato, in cui amo perdermi alzando lo sguardo, la sua luce splenderà per sempre...

Assi di bastoni #11: Lubiana, il Drago ed il filo spinato... (tempo di lettura 8 minuti)