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Quando i veri campioni hanno le spalle al muro, e la schiena piegata sotto il peso delle responsabilità, sanno di avere una sola possibilità di uscire vivi e vegeti da quell’impasse.
Stringersi saldamente tra di loro, fino a formare un sol uomo, cercare il contorno dell’anima negli occhi di ciascun compagno, infine dar fondo a tutte le proprie residue energie, fisiche e nervose.
“La differenza che distingue un hockeista da un vero giocatore di hockey”, come ama ricordare un grande interprete biancorosso del passato.
Come Gaetes Orlando...
Ci eravamo lasciati dopo lo spettacolare derby col Pusteria, quello del tanto decantato sold out al Palaonda, con la sobria convinzione che l’Armata Biancorossa avesse imboccato con l’abbrivio ideale il lunghissimo rush che porta al traguardo volante di fine stagione regolare.
Cadendo in errore.
Questa edizione della Ice Hockey League si sta rivelando molto più mossa ed equilibrata delle precedenti. Con un livellamento verso l’alto. Figlio sia del ritmo incessante imposto dal calendario che degli accorgimenti adottati dai singoli staff tecnici, delle tredici franchigie in competizione tra loro, protèsi a conservare quanta più batteria possibile. In vista del gran finale.
Fehérvár e Bolzano, il duopolio sul quale è vissuta la prima parte della stagione, nel loro duello ciclopico per la conquista della Terra di Mezzo, sono ora minacciate da vicino da due concorrenti che non hanno bisogno di particolari presentazioni: KAC e Salzburgo.
Dopo essersi liberate dal giogo supplementare della Champions Hockey League, le due corazzate austriache hanno focalizzato i loro sonar sulle fuggitive ed ora, soprattutto le Rotjacken, sono in asse con la loro scia.
Dopo l’importante 4-1 speso ad ammansire l’orda di lupi gialloneri, le Volpi biancorosse hanno compiuto due consecutivi viaggi a vuoto.
Il primo a Graz, quello successivo a Villach.
Al Merkur Eisstadion i biancorossi hanno letteralmente gettato il primo periodo alle ortiche. Scendendo sul ghiaccio con la stessa vérve di un’immersione tra il pubblico di un Family Day al Palaonda. Lasciando un vantaggio impossibile da trascurare nelle mani di Harry Lange, l’head coach di Graz. Il quale, non si è fatto pregare più di tanto. Amministrandolo in modo che i biancorossi non potessero più nuocere.
A poco o nulla, nel primo intervallo, è servita la scossa inferta alla squadra da un Glen Hanlon alquanto perplesso. La cui sola attenuante era rappresentata dalla contemporanea assenza per infortunio di Adam Helewka e Brad McClure.
Appena rimessi i pattini sul ghiaccio, la squadra ha saputo offrire una tardiva reazione d’orgoglio. Togliendo il respiro ai 99ers ed accorciando con Dustin Gazley. Ma nell’ultimo periodo, nonostante un’iniziale superiorità numerica di quattro minuti effettivi per un 2’+2’ inflitti giustamente a Frank Hora, il Bolzano ha dovuto nuovamente ringraziare Sam se ha potuto lottare per il pareggio fino all’ultimo decimo di secondo prima della sirena finale.
La lezione subita in Stiria non è stata capitalizzata dai biancorossi in Carinzia, nel turno successivo, alla Stadthalle di Villach.
Ad un ottimo primo periodo, chiuso meritatamente in vantaggio grazie alla staffilata dalla blu di un redivivo Cole Hults, sono seguiti venti minuti di sofferenza per il Bolzano. A causa di improvvide amnesie difensive. Al cospetto della linea più pericolosa della Lega. Quella composta da Max Rebernig, Kevin Hancock e John Hughes.
Sotto di due reti, in avvio di terzo periodo i biancorossi hanno spinto immediatamente sull’acceleratore. Ma sono stati subito costretti a rivedere le loro strategie. A causa della loro stessa indisciplina.
Quattro penalità minori, diluite in quella che avrebbe potuto essere la frazione del riscatto, sono state decisive invece perché al Villach venissero conferiti i tre preziosi punti in palio lungo le rive del Wörthersee.
Con le spalle al muro, tornando al nostro incipit, i Foxes si sono ritrovati al Palaonda per preparare una delle partite più delicate della loro regular season. Il secondo match casalingo, terzo complessivo della stagione, contro i Red Bull. L’unica franchigia in grado di averli sempre superati, nei match precedenti.
Ma coach Hanlon non doveva fare altro.
Il condottiero di Vancouver ha scacciato dalla sua mente ogni perplessità. Che sarebbe stata avventata nella circostanza.
A doppia mandata, ha chiuso in un cassetto della memoria anche i dubbi emersi a Graz. Quelli sulla effettiva tenuta mentale del suo collettivo.
Un potenziale tormento che l’uomo della Provvidenza ha scacciato con una delle dosi di fiducia che ogni tecnico che si rispetti deve avere nel suo equipaggiamento.
Quella che si ripone sia nei propri mezzi. Che in quelli della squadra.
Ed ha lasciato che fossero i suoi ragazzi a trovare dentro sè stessi le giuste motivazioni alla vigilia della Madre di tutte le Battaglie. Quella che viene benedetta anche dal board della Ice Hockey League. Perché rappresenta uno di quei momenti in cui gli interessi del grande bacino di utenti ed appassionati di questo lembo d’Europa si focalizzano all’unisono. E generano i grandi numeri dello share della passione. Quelli che tengono in piedi anche organizzazioni come la ICE.
Foxes Bolzano - Red Bull Salzburgo è e rimane LA Partita.
Il resto è solo contorno. A cingere il boccone più saporito.
Hockeytown queste dinamiche le conosce bene. Ci è abituata da quasi un secolo.
In ogni occasione non ha mai avuto timori reverenziali. Affrontando con coraggio e saggezza anche i confronti fuori dalla sua portata.
È in questo modo che il suo DNA vincente si è modellato nel tempo. Strutturandosi gradualmente.
Io non perdo mai... O vinco, o imparo.
Dalla Notte dei Tempi.
Proprio quella in cui è contenuto anche il seguente, straordinario racconto...
15 gennaio 1933
Nella sua seconda apparizione ufficiale in serie A, il Bolzano-Renon (denominazione d’origine controllata che, in quell’epoca, unì il luogo di provenienza della squadra con la struttura sull’altipiano che la ospitò abitualmente) si giocò l’accesso alla semifinale ad Ortisei.
Proprio contro i gardenesi.
Il vincitore avrebbe trovato l’Hockey Club Milano ad attenderlo.
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Guido Menestrina,Ernst Ebner, Robert Lux, Siegfried Menestrina e Hans Lux
Ortisei - Bolzano-Renon 0-5
Ortisei: R. Schmalzl, Noflaner, Walpoth, Moroder, F. Schmalzl, Prinoth, Obletter.
Bolzano-Renon: Ruedl, Mech, Drescher, G. Menestrina, Ebner, Lux, Gamper, Moser.
Reti: Mech 2, G. Menestrina 2, autorete R. Schmalzl.
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Dopo il match di Ortisei, i biancorossi ebbero a disposizione solamente tre giorni per preparare la proibitiva trasferta a Milano. La scelta del mezzo di locomozione ricadde sul treno. Un viaggio che si rivelò allucinante.
I posti a sedere, su quel maledetto convoglio per la Stazione Garibaldi, erano tutti occupati.
Menestrina e Lux provarono a mettersi seduti a terra, schiena contro schiena. Ebner e Mech si sdraiarono sui borsoni dei materiali. Addirittura ci fu chi tentò di infilarsi sulle cappelliere sopra ai finestrini. Condizioni estreme. Impossibili da mantenere per tutto il viaggio.
Qualcuno, più sobriamente, se lo sciroppò totalmente in piedi. Da Bolzano a Milano.
Al loro arrivo alla Stazione Garibaldi, in clamoroso ritardo, i Nostri Eroi riuscirono a raggiungere l’impianto di via Piranesi dopo una corsa assassina.
Si cambiarono in quattro e quattr’otto. E si ritrovarono catapultati sul ghiaccio, ad incrociar le stecche contro le mitologiche maglie nere dell’Hockey Club Milano.
Senza riposare dopo quell’odissea. E senza rifocillarsi.
Quella notte finì malissimo.
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H.C. Milano - Bolzano-Renon 11-0 (2-0, 5-0, 4-0)
H.C. Milano: Gerosa, Trovati, Baroni, Venosta, Scotti, Dionisi, Medri, Mussi, De Mazzeri.
Bolzano-Renon: Ruedl, Mech, Menestrina, Ebner, H.Lux, Moser, Gamper, Drescher.
Reti: Venosta e Mussi nel primo tempo; 2 Trovati, 2 Scotti e Mussi nel secondo; 3 Venosta e Scotti nel terzo.
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All’alba, i giocatori bolzanini salirono le scalette del treno rapido che li avrebbe riportati a casa.
Quelli milanesi furono invece costretti a scendere nuovamente sul ghiaccio di Porta Vittoria, per affrontare in amichevole i maestri dei Massachusetts Rangers, la prima squadra statunitense a giocare in Italia. Un evento di livello assoluto.
Un ottimo allenamento (finito 8-0 per loro). Dopo il quale, i bostoniani raggiunsero Praga, per partecipare al Campionato del Mondo. Indossando la maglia degli Stati Uniti d’America.
Altro evento che entrò nella Leggenda dell’Hockey.
Perché, per la prima volta nella storia, il Canada (rappresentato dai Toronto Nationals) mancò la conquista del titolo mondiale. Battuto in finale per 2-1, proprio dai sorprendenti Rangers.
Ma questa è un’altra storia...
Le sfide impossibili alle milanesi negli anni Trenta, gli highlanders che resero immortali i duelli con il Cortina per un trentennio, i derby infuocati degli anni Ottanta, l’asse milanese ed il Volga Express degli anni Novanta, l’ingresso nel nuovo Millennio affidato ai cavallini ed infine l’intuizione del Dottore che ci ha proiettati al presente. Con un occhio costantemente proiettato verso il futuro.
Foxes - Red Bull è probabilmente la sintesi perfetta di tutte le colossali rivalità vissute da Hockeytown. A cavallo tra i due secoli.
Ed il nuovo capitolo vissuto mercoledì scorso è stato recepito dalle quattromila anime raccoltesi in via Galvani come un atto decisivo dei playoff. Tanto è stato intenso, emozionante, equilibrato. E combattuto.
I biancorossi hanno saputo scendere sul ghiaccio come un sol uomo. E hanno lottato per la vittoria, in ogni decimo di secondo del match. Lungo ogni centimetro di ghiaccio presente al PalaOnda. Al bando ogni amnesia, ogni passaggio a vuoto. Il target era il dominio sul puck. Peggio per l’avversario, se ne fosse stato malauguratamente in possesso.
Una certa teoria sostiene che questo sia l’atteggiamento migliore da tenere quando dall’altra parte della linea rossa ci sono proprio i salisburghesi di Oliver David.
Massima aggressività nel terzo difensivo, supremazia territoriale in zona neutra, dinamismo perpetuo ed accentuata imprevedibilità negli assalti portati ad Atte Tolvanen.
Il resto lo sbrigherà il solito monumentale Sam .
Salzburgo ha dovuto accettare i termini della sfida. E lo spettacolo è stato decisamente all’altezza delle aspettative. Riportando l’Armata Biancorossa ai fasti dove i suoi supporters vorrebbero sempre vederla.
Dustin Gazley deve alzare bandiera bianca a causa di un serio e dolorosissimo infortunio alla mano. Pascal Brunner entra sullo scacchiere al suo posto. A lottare assieme alla squadra anche per lui. Le perdite sono una conseguenza della battaglia. E questa volta a pagare dazio è il Bolzano.
Con il passare dei minuti sono Tolvanen ed a vestire i panni degli attori protagonisti e non vi era alcun dubbio in merito. Ma l’occasione capitale del primo periodo arriva sulla spatola di Adam Helewka. Il portiere dei Red Bull ci mette le ali, salvando il risultato.
Anche il secondo atto della sfida è vissuto sulla falsariga dei primi venti minuti. Le squadre pattinano tantissimo e quando davanti a Lewington si spalanca la porta della panca puniti è il Bolzano ad avere la chance. Gli special team salisburghesi sono quanto di meglio ha da offrire in materia questa Lega. Ed il tabellone resta ancorato sullo 0-0.
Il prezzo del biglietto viene poi ulteriormente ammortizzato dalla ruvida parentesi pugilistica offerta da Matt Bradley e Troy Bourke. Matt si aggancia a due mani alla spalliera dell’avversario. E quando vede luce tra il suo destro e la mascella di Troy, gli piazza il colpo del kappaò.
Anche le balaustre del vecchio caro PalaOnda si prendono la loro fetta di gloria nello spettacolo. Dopo aver catapultato Mario Hubera testa in giù, in corrispondenza dei pattini di un divertito Brad McClure, avvolgono nelle loro spire anche il malcapitato Philipp Wimmer. Bloccato nel plexiglas dopo una carica chiusagli in faccia da Michele Marchetti.
È esattamente il tipo di battaglia che i quattromila avevano pregustato oltrepassando i tornelli delle casse. Ed il meglio doveva ancora venire.
L’ultimo periodo non delude le aspettative. Forse solo quelle di Scott Valentine. Quando viene colpito in modo sporco dal solito Peter Hochkofler.
L’indisciplina di qualche suo interprete costa cara ai Red Bull.
Salzburgo viene ancora salvata da Tolvanen sul terzo powerplay biancorosso. Ma quando è Lukas Thaler a dare il cambio ad Hochkofler dietro la lavagna, l’incarico di far crollare il fortino austriaco viene affidato a Tony Salinitri, implacabile nello spolverare l’incrocio dei pali alla sinistra del goalie finnico. Un gol meraviglioso. Che fa esplodere finalmente il Palaonda.
Il match si infiamma ancor più. Ma non esiste calore che possa intaccare la glaciale presenza agonistica di Sam , strepitoso nel togliere a Benjamin Nissner una colossale opportunità avuta sotto la Curva dei Figli di Bolzano. L’ovazione rivolta in direzione del Guardiano del Regno è un ulteriore brivido di piacere.
I Foxes beneficiano dell’ultima leggerezza della serata di un Lukas Thaler alquanto falloso. Ma questa volta l’uomo in più non viene sfruttato a dovere dai biancorossi.
Salzburgo toglie Tolvanen per inserire il sesto uomo di movimento. È la mossa della disperazione. Che Matt Bradley stava aspettando per chiudere il match. La precisione balistica del numero 67 è l’ideale timbro sulla pratica. Quella che il Bolzano non era ancora riuscito a chiudere in questa regular season. I primi tre punti della stagione, trovati all’interno delle Lattine di Red Bull.
L’emblematico gesto finale di Sam , al momento di raccogliere il meritato tributo della platea per il suo ennesimo shutout, resterà probabilmente la copertina più bella dell’evento.
La porta ribaltata sul ghiaccio. E quel gesto a voler dire: “Da qui non si passa!” è roba da mandare in visibilio anche le anime meno sensibili.
Con la consapevolezza di aver ritrovato se stessi, proprio nello scontro diretto con Salzburgo, i Foxes sono risaliti sul pullman venerdì scorso. Per raggiungere Klagenfurt.
Quando il torpedone ha accarezzato nuovamente le sponde carinziane del Wörthersee, gli umori del sol uomo erano già in fibrillazione.
Vista la classifica, lo spessore dell’avversario e l’importanza dei tre punti in palio, Kirk Furey e Glen Hanlon avevano una sola raccomandazione da rivolgere ai propri giocatori prima di scendere sul ghiaccio della Heidi Horten Arena: massima prudenza.
Coach Furey, in particolare, sapeva in cuor suo che arrivare ai supplementari poteva essere un’idea accettabile per entrambe. Perché mai come in questa fase del campionato, anche il singolo punto in più in classifica potrebbe generare la più sostanziale delle differenze.
Andare all’overtime contro questo Bolzano, però, è un rischio che bisogna saper calcolare a fondo. Perché, sempre che le statistiche siano ancora la chiave del linguaggio universale dello sport, i biancorossi detengono attualmente il record continentale del saldo vittorie-sconfitte nei prolungamenti: sette vinte e zero perse.
Ad agitare la vigilia, neanche se ne fosse sentita una particolare necessità, ci ha pensato la stessa società ospitante. Prendendo una decisione totalmente impopolare. Ovvero mettere in vendita ai propri sostenitori anche i tagliandi riservati al settore ospite. Una stupidaggine vera e propria. Che non rappresenta purtroppo una novità. Già nella EBEL prima, che nella Ice adesso, questa pratica è ancora usuale. Specialmente nelle piazze più calde. Quelle che non hanno mai nascosto una certa insofferenza nei confronti di tutto ciò che non sia rigorosamente autoctono. Giusto per rendere l’idea. Provate a pensare cosa succederebbe se accadesse al Palaonda?
L’avvio del match, tornando coi piedi sul ghiaccio, è l’esatta coniugazione del verbo con il quale i due tecnici hanno indottrinato i propri giocatori. In zona neutra l’affollamento di uomini è evidente. Nessuna delle due ha intenzione di scoprire troppo il proprio terzo difensivo.
Nel primo periodo Bolzano vede la porta meglio dei padroni di casa. Ma, dall’alto dei suoi 37 anni, Sebastian Dahm sa destreggiarsi nel traffico davanti al suo slot con la stessa eleganza con la quale passeggia lungo il Nyhavn della sua Copenhagen.
Il computo dei tiri della prima frazione è emblematico: 14-7 per i biancorossi. Ma viene totalmente ribaltato nel periodo centrale. Complice una pesante penalità inflitta a Matt Bradley (2’+2’+10’), a causa di un colpo di bastone inferto sui polsi di Nick Petersen, le Rotjacken abbandonano ogni tattica conservativa. Portando l’assalto alla baionetta verso la gabbia di Sam.
I biancorossi resistono annullando la pressione KAC con un penalty killing magistrale. Ed è straordinario il riflesso con il quale ipnotizza Matt Fraser allo scadere dei primi 40’.
Nel terzo periodo il canovaccio della prudenza riappare sul ghiaccio. Le squadre tornano a studiarsi con molta più attenzione. Ed è il Bolzano ad avere le occasioni più nitide. Con Brad McClure prima, Brad Christoffer poi, e soprattutto Chris DiGiacinto quasi allo scadere.
Si entra nel ginepraio dell’overtime. Ciò che coach Furey avrebbe probabilmente voluto evitare, in cuor suo. In questa fase, il Bolzano si dimostra ancora una volta molto più a suo agio di qualsiasi altro avversario. Quando arriva la mano dei penalty, il jolly lo calano i biancorossi con lo specialista Matt Bradley. E Nick Pastujov completa l’album delle brutte figure KAC della serata scivolando come un principiante prima di ingaggiare lo slot di Sam .
La chiusura di una nuova settimana di fuoco per i colori biancorossi era in programma domenica pomeriggio a Linz. La trasferta che le Volpi odiano più di qualsiasi altra. Neanche dovessero mettersi in fila dal dentista per l’estrazione dei denti del giudizio.
I motivi sono noti da oltre un decennio. I supporters delle Black Wings sanno gravare sul collo dell’avversario meglio che in qualsiasi altra piazza della Ice. E questo aspetto genera disagio.
Ambiente ostile, o meno, il sol uomo se ne frega quando è focalizzato sull’importanza della posta in palio. I padroni di casa sono in lotta con Graz e Villach per una poltrona nelle Top Six. Ma i biancorossi devono provare ad accorciare su un Fehérvár più lontano del solito.
Il match è già di per sè complicato sulla scacchiera di Glen Hanlon. Che non può contare su due alfieri di sicuro affidamento. Come il lungodegente Dustin Gazley ed un infortunato eccellente dell’ultimo minuto, Tony Salinitri.
È Rasmus Tirronen a dover evadere nel primo periodo molte più situazioni di imbarazzo rispetto al suo collega. Ma l’occasione più nitida e solare capita sulla spatola di Niklas Würschl proprio allo scadere del primo periodo. Si va al riposo sullo 0-0 ma è evidente che il Bolzano abbia tutta l’intenzione di non lasciarsi abbindolare. Nè dal clima rovente, nè dall’avversario.
Alla ripresa del gioco, infatti, le occasioni fioccano per i biancorossi. Prima Mike Halmo serve l’assist perfetto in direzione di Brad McClure. Molti supporters sono già in piedi davanti alle tivù, pronti ad esultare, ma ancora Tirronen si salva in qualche modo. Poi è Adam Helewka a non avere fortuna su un tiro a colpo sicuro che incoccia la base della porta.
L’equilibrio del match viene rotto solamente dall’episodio estemporaneo. Si era già capito.
È il Linz a fare bingo con Greg Moro, il quale libera dalla blu un tiro di polso che supera di un nulla il gambale esposto da , battuto dopo oltre 180’ di gioco effettivo.
Nel periodo conclusivo il Bolzano getta ancor più lontano il cuore oltre l’ostacolo. Il duello Tirronen-McClure viene vinto ancora una volta dal goalie. Ma l’errore decisivo, purtroppo, lo compie Dylan Di Perna. Ken Ograjensek è bravo a fuggire col disco verso la porta biancorossa ed a servire un cioccolatino in direzione di Luka Maver.
2-0, ma non è finita. Bolzano ha a disposizione un powerplay per gentile concessione di Greg Moro. Le soluzioni non sono ancora dell’efficacia necessaria. Ma a 45 secondi dalla fine Luca Frigo risolve la solita furibonda mischia davanti a Tirronen ed apre uno spiraglio dove anche il pullman biancorosso ci si butta con tutti gli pneumatici.
Gli ultimi secondi ammutoliscono anche il riottoso popolo di Linz e dintorni. Bolzano ha il sesto uomo di movimento sul ghiaccio ed un’occasione clamorosa con Matt Bradley per pareggiare, proprio sulla sirena. Rasmus Tirronen compie però, con la pinza, totalmente proteso verso il palo lontano cercato dall’avversario, la parata della vita.
Linz può tornare a respirare. Ma questo Bolzano mai domo, nella sua Eis Arena, lo ricorderà a lungo, senza alcun dubbio. Soprattutto se i destini delle due squadre dovessero ancora una volta incrociarsi durante i prossimi playoff.