user_mobilelogo
CHL HCB

 

Assi di bastoni #37 (𝘥𝘪 𝘈𝘯𝘥𝘳𝘦𝘢 𝘚𝘤𝘰𝘭𝘧𝘢𝘳𝘰): parlando di Europa a tinte biancorosse e della ripresa del percorso in ICE Hockey League. Buona lettura.

  1928

9 gennaio 1927, ore 8 del mattino...

Un inusuale fermento sta animando l’Azienda di Soggiorno dell’Altipiano del Renon.

Il dottor Piccinini, direttore responsabile, è focalizzato già da un paio d’ore sui contenuti dei documenti impilati con ordine sopra la sua scrivania.

Dall’espressione, il suo staff comprende che il frutto di tanto lavoro è sul punto di essere raccolto. Una sensazione, che prende corpo solo qualche istante dopo.

“Benissimo signori! Ottimo lavoro!”

Mentre il direttore esprime il suo compiacimento, allo stesso tempo può percepire la frizzante ventata di sollievo che pervade l’ambiente.

“Ci vediamo questa sera allo stadio del ghiaccio di Collalbo. Siete tutti invitati!”

Immaginiamola così, l’inizio di quella memorabile giornata.

Allo scadere della quale, venne ratificata la costituzione del primo sodalizio hockeistico della provincia. Dal nome alquanto ridondante.

Circolo di pattinaggio ed hockey “Bolzano-Renon”.

Ragione sociale che definì sia la provenienza degli atleti che il loro domicilio agonistico.

Gli albori del primordiale “disco su ghiaccio” in Alto Adige.

Solo un anno prima, Piccinini tornò da un viaggio di piacere a Londra con alcuni bastoni da utilizzare in questa nuova disciplina sportiva. Che consegnò, suscitando il loro comprensibile stupore, nelle mani di due giovanissimi pattinatori bolzanini, assidui frequentatori del lago ghiacciato di Costalovara, durante i mesi invernali.

Ernst Ebner e Friedl Mech.EbnerMech

I pionieri, dai quali si propagò istantaneamente la passione per quello che noi tutti conosciamo ora come “hockey su ghiaccio”.

Preso dall’entusiasmo, e sfruttando le sue conoscenze, la prima figura di riferimento dell’Azienda di Soggiorno dell’altipiano si impegnò con quei ragazzi nel dare il suo contributo all’assemblaggio di un vero e proprio team. In assoluto, il primo sul nostro territorio.

I loro sforzi vennero felicemente premiati.

Nel ruolo di portiere si propose Leopold Magreiter e la zona difensiva venne occupata da Friedl Mech e Robert Hager. Davanti Guido MenestrinaGiovanni Luxavrebbero giostrato Ernst Ebner, Guido Menestrina ed Hans Lux. Con Hans Moser, invece, che avrebbe ricoperto il ruolo di “supplente”, come venivano denominate le riserve a quell’epoca, in attesa di perfezionare il pattinaggio e la tecnica di gioco.

Un anno dopo, proprio il 9 gennaio del 1927, fu questa l’ossatura della squadra di “disco su ghiaccio” che prese ufficialmente il nome del Circolo di Collalbo. E qui venne presentata, a giornalisti ed addetti ai lavori, con tutti gli onori di circostanza.

Il gruppo di uomini che rappresentò le fondamenta.

Sulle quali, sei anni più tardi, venne edificato l’Hockey Club Bolzano.

A ragion veduta, il primo direttore sportivo della storia biancorossa fu proprio il dottor Piccinini, che si appassionò alle vicende del “Bolzano-Renon” a tal punto da utilizzare il suo ufficio a mo’ di segreteria.

Un giorno, gli recapitarono una missiva proveniente da Cortina d’Ampezzo.

L’invito a partecipare ad un triangolare amichevole. Il primo nella storia del team, stando ai convenzionali archivi telematici riservati all’hockey su ghiaccio.

Il 31 dicembre 1928, allo stadio Apollonio, sulla pista in ghiaccio naturale di Revis, i padroni di casa del Cortina ospitarono i “futuri” biancorossi ed un’ospite internazionale di assoluto riguardo: i Klagenfurter AC.

Gli austriaci, già attivi dal 1923, erano considerati dei veri e propri maestri nell’ambiente. Alla stregua degli stessi ampezzani. Fatto sta che il primo impatto agonistico per il Circolo di pattinaggio ed hockey “Bolzano-Renon” finì secondo le previsioni.

Leopold Magreiter, il suo estremo difensore, fu costretto ad incassare dal KAC la bellezza di 16 gol. Otto dei quali dalla stella dei carinziani, Reinhold Egger.

Non finì certamente meglio il test con i campioni cortinesi.

Nonostante i pesanti passivi accumulati contro quelle inavvicinabili avversarie, Ebner e compagni non poterono comprendere - e nemmeno lontanamente immaginare - quanto importante sarebbe stato quel triangolare nell’economia e nello sviluppo dell’hockey per la loro, e la nostra, identità.

Perché in quei momenti, due basilari pietre miliari vennero posate sui libri di storia di questo meraviglioso sport.

Il primo impegno ufficiale, per una squadra di Bolzano.

E, quello che più ci riguarda da vicino in questo numero della nostra rubrica, dopo l’ultimo match speso a Luleå dai Foxes Bolzano nel girone di qualificazione dell’attuale Champions Hockey League, il primo confronto ufficiale con una realtà internazionale.

Un feeling, quello tra Bolzano e l’Europa, nato in tempi non sospetti.

Un’intesa che, oggi come allora, abbatte idealmente ogni frontiera. 

Fatidica e visionaria rispetto a qualsiasi trattato, che legittima la libera circolazione degli hockeisti all’interno dei Paesi aderenti alla Comunità Europea...

Tornando alle origini, con il passare delle stagioni si intensificarono gradualmente le relazioni tra realtà europee e l’Hockey Club Bolzano - denominazione che nel 1933 gli venne attribuita definitivamente, all’atto della sua fondazione.

Relazioni che si fecero incessanti agli inizi degli anni Cinquanta. Quando la società biancorossa riprese in pieno l’attività sul ghiaccio dopo i primi difficili anni dell’immediato Dopoguerra.

Prova ne è la lunga serie di partite amichevoli a carattere internazionale che il Bolzano sostenne proprio a partire dal 1950. La politica di ricostruzione del proprio organico puntò decisamente sulla scuola germanica (il primo fu Fritz Geiger, ai quali seguirono Specht, Lück, Hermann, Lödermann, Kapferer e Graf).

Furono gli anni di: 

Marco Biasi, portiere titolare dal 1945 al 1953, che smise la corazza per intraprendere una luminosa carriera come dirigente sia all’Hockey Club Bolzano che in ambito federale. bruno morlacchi

Bruno Morlacchi, vero e proprio granatiere della difesa, la cui mole ricorda le movenze e la possanza atletica di un altro grande interprete biancorosso: Norbert Gasser.

Bruno Stenico, roccioso e dinamico difensore, che a fine percorso optò per la carrieraBruno Stenico 8 8 922 arbitrale, diventando uno dei più apprezzati direttori di gara. Passione poi trasmessa al figlio Renzo.

Infine Armando Mencarelli, esuberante, veloce e grintoso. La giovane stella degli anni Cinquanta, prodotto della già allora qualificata leva giovanile biancorossa.

Oggi celebriamo il primo punto conquistato in Svezia dai biancorossi, nell’ambito della Champions Hockey League, strappato al Luleå, amena località ad un tiro di schioppo dal Circolo Polare Artico.

Ma fu proprio dagli anni Cinquanta che il Bolzano poté iniziare a confrontarsi conMencarelli regolarità a molte altre realtà continentali. E non sempre con esiti scontati.

Il 24 gennaio 1954, al palaghiaccio di via Roma, i biancorossi restituirono ai Klagenfurter AC la lezione patita nel 1928, travolgendo a loro volta le Rotjacken per 12-3 grazie alle strepitose prestazioni offerte da Giuliano “Ciccio” Ferraris a difesa della gabbia e da Carmine Tucci e Rick Frasco nelle proiezioni offensive.

Anche la scuola svizzera, in quel contesto storico molto più all’avanguardia rispetto a quella italiana, fu costretta ad inchinarsi alla determinazione che il Bolzano sapeva gettare sul ghiaccio. Prova ne sono i due successi maturati su Sankt Moritz (7-4) e soprattutto Davos (5-3).

Anche i tedeschi, in special modo Düsseldorf, esattamente il 21 febbraio 1957, vennero piegati in via Roma per 8-3.

FerrarisIn quel Bolzano, in particolare, si misero in mostra giocatori di grande valore. Come la coppia di oriundi di prima generazione composta da Bernardo Tomei e Derio Nicoli.Derio Nicoli

Il primo fu un vero e proprio beniamino per Hockeytown, un grande attaccante che sapeva sopperire con feroce determinazione alla sua non eccelsa statura fisica.

Il secondo restò una sola primavera a Bolzano ma importò in Italia il suo inedito bagaglio tecnico. In cui mise in risalto un gesto atletico praticamente sconosciuto all’epoca. Ovvero: il body-check.

Quando Nicoli fece suonare le balaustre del Padiglione 1 di via Roma, tramortendo gli avversari sul ghiaccio, mandò i supporters biancorossi letteralmente in visibilio.

Pure i team francesi, grazie alla potenza espressa sul ghiaccio dall’emergente attaccante Heini Oberdorfer ed alla grande carica agonistica trasmessa ai compagni da Gerry Hudson, il Rosso di Gananoque (Ontario), ala destra tanto altruista quanto efficace sotto porta, vennero sorpresi dal carattere e dall’organizzazione di squadra dell’Hockey Club Bolzano.

HudsonIl 22 e 23 marzo 1957, in tournèe sulle Alpi transalpine, i biancorossi quasi non fecero il colpaccio (5-6) contro una vera e propria potenza del passato. Come l’ACBB, le Tigri di Boulogne-Billancourt, sezione di una polisportiva di grande tradizione, che giusto nel 2024 è stata costretta ad abbandonare ogni attività a causa della chiusura della propria pista di pattinaggio, dopo una vita spesa in favore della divulgazione dell’hockey.

Dopo aver sfiorato un’impresa sensazionale contro le Tigri, il giorno dopo il Bolzano passò all’incasso contro Lione, superato per 10-8 grazie ad uno strepitoso primo periodo (5-1) durante il quale emersero giovani leve come Heini Bacher, Giuliano Frigo, Sigo Schlemmer e Franco De Vito.heini bacher

Il rispetto della concorrenza, l’Hockey Club Bolzano se lo guadagnò ulteriormente piegando per 7-2 anche gli svedesi dell’IK Viking di Hagfors, il 17 novembre del ‘57, nella contea di via Roma.

giuliano frigoE dieci giorni dopo, in Olanda, fu il team di La Haye a cadere sotto gli attacchi tambureggianti dell’Armata Biancorossa (4-9).

Di questo passo, entriamo negli anni Sessanta. Gli anni d’oro di Alfredo Coletti, lo sniper tascabile di Sault Saint Marie, che dal 1960 al ‘65, fece letteralmente impazzire i portieri avversari e le tribune del PalaFiera. E nella stagione 1962-‘63 contribuì, dall’alto di una superba intelligenza tattica, alla conquista del primo scudetto biancorosso.

In particolare, furono i due successi a Bolzano, nella Coppa Pavoni del ‘60 e del ‘62 appunto, a dare per la prima volta - in termini di prestigio - il giusto riconoscimento all’Hockey Club Bolzano.

Il 19 e 20 novembre del ‘60, Bolzano si impose dapprima in semifinale, addirittura sull’Ilves Tampere ed in modo alquanto netto (8-4, già 5-0 nel primo periodo). E poi si impose ancora sui Klagenfurter AC, al termine di un match incredibilmente adrenalinico, solo ai tiri di rigore, per 6-5.

Il 15 e 16 dicembre, nell’edizione della Coppa Pavoni del ‘62, i biancorossi trionfarono per l’ennesima volta in semifinale su KAC (8-4) e fecero accademia in finale, superando per 6-1 i Diavoli Milano.

Poi, nella finestra temporale che va dall’autunno del 1976 alla primavera del 1979, la storia narra che l’Hockey Club Bolzano rilanciò in modo energico le proprie ambizioni in campo internazionale. Grazie all’avvento in via Roma di altri personaggi straordinari.

JohanssonIl coach svedese Gösta “Lile Lule” Johansson, oltre 100 gettoni accumulati da giocatore nella Nazionale delle Tre Corone, l’allenatore che chiedeva, non ordinava. La cui moglie, Gundi Busch, si laureò proprio a Bolzano, nel 1953, campionessa europea di pattinaggio artistico.

Johansson fece volare i biancorossi con un sistema di gioco tipicamente scandinavo: velocità costante eRudi Hiti feroce pressione sull’avversario. Arrivarono così tre scudetti, uno attaccato all’altro. Anche perché, in cabina di regia, Lile Lule ebbe la fortuna di avere un grandissimo personaggio del passato: Rudi Hiti. Che, dopo due stagioni spese ad Alleghe, arrivò a Bolzano assieme al fratello Gorazd, attaccante dal pronunciato fiuto per il gol.

Tra i due fu subito evidente un’intesa fuori dal comune. E Bolzano impazzì letteralmente per loro.

Rudi era un vero e proprio funambolo, un infallibile metronomo, che sapeva condurre la squadra. Alternando giocate sostanziose con giochi di prestigio da assoluto fuoriclasse.

In un derby contro Merano prese il disco dietro la porta di Romeo Tigliani e si gettò in zona neutra. Un contrasto fece impennare il puck ma Hiti non lo perse di vista e lo uncinò al volo in vista della porta del Merano, facendolo rimbalzare sulla spatola come fosse una pallina da tennis.

Dalle tribune del PalaFiera partì l’ovazione e per un nonnulla Rudi Hiti non realizzò in questo modo una rete che sarebbe passata anch’essa alla storia.

Furono gli anni di Hubert e Norbert Gasser; di Jarda e Martine, dei fratelli Thomas, Michael e Bernhard Mair; dell’elegante Heini Bacher; di Gino, Rolly e Raimondo; e di due panzer come Jakob Ramoser e Nori Prünster.

Un Bolzano davvero stellare, all’epoca, davanti al quale si spalancarono immancabilmente anche le porte della Coppa Europa.

CSKANelle due edizioni comprese tra il 1982 ed il 1984, indimenticabili rimarranno i due doppi confronti al Palazzo di via Roma, con il CSKA Mosca. Identici i risultati in entrambe le occasioni (2-11 e 1-12), come se fossero stati teleguidati dal suo pancone dal leggendario tecnico Viktor Tichonov (13 titoli consecutivi nel campionato sovietico, dal 1978 al 1989; 8 mondiali, 3 ori ed un argento olimpici alla guida della Nazionale). 

Da una parte John Bellio e Ron Chipperfield, dall’altra il gotha dell’hockey sovietico: Vladimir Krutov, Sergei Makarov, Igor Larionov, Andrei Khomutov, Alexei Kasatonov, Viacheslav Fetisov, il goalie Vladislav Tretiak. Tra queste icone si mise in risalto anche Misha Vasilyev, tesserato da Selva Gardena nel 1990 ed in seguito a Varese, Chur, Yaroslavl e nuovamente a Bolzano nel 1994 per trascorrere due stagioni nell’Ev Bozen e ben cinque nei biancorossi.

Un aneddoto su tutti: giunti in Italia, i giocatori andarono letteralmente a caccia di souvenir. In entrambe le circostanze il CSKA venne accomodato all’hotel Schwefelbad, in zona San Maurizio. Un giorno, lo storico titolare Jakob Geier dovette contattare proprio Marco Biasi, per farsi restituire le chiavi delle stanze, saccheggiate in abbondanza dai componenti del team sovietico.

Nominando gli anni Novanta, invece, non si può non fare riferimento alla prestigiosa Alpenliga (molto vicina nella struttura e nell’organizzazione alla ICE Hockey League). Vinta dall’Armata Biancorossa nella stagione ‘93-‘94, la prima trascorsa al PalaOnda, battendo proprio in casa per 8-2 il Milan Hockey, in una finale senza storia.

Quella fu una delle epoche più felici della storia biancorossa.i 2 russi

Come pure del costante legame costruito nel tempo tra Bolzano e l’Europa.

Quattro scudetti consecutivi, costruiti tra il 1994 ed il 1998.

I magici anni di Sergej Vostrikov ed Igor Maslennikov, il mitico “Volga Express”, di Mike Rosati, Scott Beattie e Dave Pasin, del ritorno vincente di Lucio Topatigh, di coach Bob Manno, ma anche del rammarico per il dissidio con la società e lo staff tecnico che spinse Gino Pasqualotto ad abbandonare il “suo” Bolzano dopo avergli regalato dieci scudetti ed un miliardo di emozioni.

Momenti unici, vissuti a mille all’ora, lungo i quali è impossibile non fare riferimento alla brevissima parentesi temporale - nove giorni appena - che l’Uomo di Kladno poté concedersi in Italia, durante il famigerato lockout della NHL, giusto per dare il suo contributo, e che contributo, alla conquista del Trofeo delle Sei Nazioni, nel dicembre del 1994, per mano dell’Hockey Club Bolzano.jaromir jagr 1994 bolzano

Lui, JJ68, ovvero Jaromir Jagr.

Per fargli posto nel modo più adeguato, Bob Manno smontò e ridisegnò letteralmente il roster biancorosso. 

Martin Pavlu venne spostato in difesa. Rolly Ramoser fu promosso in prima linea con il Volga Express. In seconda, venne assemblato un inedito trio: Pasin, Bruno Zarrillo, Jagr. In terza: una rotazione tra Harald Zingerle, Reini Wieser, Rugge De Mio ed Enrico Laurati.

Dal 2 all’8 dicembre, Hockeytown venne totalmente deliziato dalle straordinarie giocate del ceko, in un contesto dove comunque la qualità collettiva debordava ai lati.

Dopo aver vinto il girone a quattro (contro Varese, Courmaosta e Villach) arrivò la finale d’andata a Rouen. In cui il Bolzano andò sotto per 4-2 dopo 40’. Poi, nel terzo periodo, Jagr cominciò a giocare un altro sport. Ed i biancorossi si imposero per 7-5.

Nel ritorno al PalaOnda, che registrò il tutto esaurito, per la gioia del cassiere (140 milioni delle vecchie lire), la festa cominciò molto prima dell’ultima sirena. 5-3 per il Bolzano e trofeo in cassaforte. Per Jagr 8 reti ed 8 assist nelle cinque partite in maglia biancorossa.

Gli ultimi quattro scudetti, e le due Coppa Italia del 2004 e del 2007, conquistati dal Bolzano nel clima di netta recessione vissuto dall’hockey italiano all’inizio del ventunesimo secolo, rappresentarono l’ideale spartiacque tra il vissuto e l’attualità.

HCB anni 90Quando il 26 giugno 2013 la FISG diede il proprio benestare al trasloco dell’Hockey Club Bolzano nella galassia della EBEL, i biancorossi riabbracciarono definitivamente quell’Europa che hanno sempre dimostrato di apprezzare.

Oltre la linea di confine del Brennero i Foxes non hanno mai nascosto di trovarsi molto più a loro agio, rispetto a quanto avrebbe da offrire loro il principale campionato nazionale.

Riflessione avvalorata dai due “Karl Nedwed Trophy” del 2014 e del 2018.

Questione di attitudine, di mentalità, estratte da un dna che affonda le sue radici, con ogni probabilità, in quella piastra ghiacciata del lago di Costalovara. Dove tutto ebbe origine.

Gli ultimi capoversi sono una dedica all’odierno e definitivo ritorno dell’Armata Biancorossa in ICE Hockey League, dopo la lunga e dispendiosa parentesi costituita dal girone di qualificazione della Champions Hockey League.

La vittoria all’overtime contro il Kometa Brno, campioni in carica dell’Extraliga, il trionfo di Rauma - Madre di tutte le Rivincite - ed il punto conquistato a Luleå, dopo aver annullato l’iniziale 0-2 interno, resteranno come fiori all’occhiello della stagione. 

Da oggi però, il Bolzano di Kurt Kleinendorst e Fabio Armani, si focalizzerà nuovamente sul campionato. E qui rimarrà, fino alla primavera 2026.HCB vs AV19 2024

Il primo “Saturday Night” della stagione (ore 19.45) vedrà i Foxes impegnati nel primo confronto stagionale con l’Alba Volàn Fèhèrvar, il team che lo scorso anno rimase a lungo a braccetto coi biancorossi in vetta alla classifica della regular season. Per poi scivolare inesorabilmente, un gradino alla volta, fino ai margini della soglia di qualificazione. E venire eliminato brutalmente ai quarti di finale dai plurititolati Red Bull.

Il bilancio della scorsa ICE si chiuse a vantaggio del Bolzano (3-1) che dovette registrare, per mano dei magiari, la sola sconfitta per 5-3 maturata al PalaOnda il 2 novembre dello scorso anno.

I Foxes vengono da quattro sconfitte consecutive, tra ICE e Champions, e sono a secco dal 4-2 all’Olimpija di due settimane fa.

Dopo la squalifica scontata in Europa, tornerà nei ranghi Mark Barberio. Mentre Philip Samuelsson non è certo possa fare il suo ritorno in squadra. Dylan Di Perna invece non ha ancora smaltito l’infortunio e seguirà la gara dietro le balaustre.

L’Alba Volàn arriva a Bolzano dopo il match di ieri sera ad Innsbruck. Il suo avvio di stagione non è stato contraddistinto dalla continuità. Coach Roland Kiss è ancora alla ricerca di equilibrio. E deve trovare i giusti correttivi per sbloccare la fase offensiva e gli special teams, fondamentali perché il suo team possa compiere un salto di qualità. Anche se la vittoria casalinga in extremis su Salisburgo, di domenica scorsa, ha galvanizzato l’ambiente. E non poco.

Bolzano per i tre punti. Fèhèrvar per la continuità.

Diamoci dentro, Foxes!