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Un'occasione particolare per aprire la valigia dei ricordi e delle emozioni per raccontare di un amico e di una cara persona, parlando, come sempre, di hockey. Questo è Assi di bastoni 19º episodio 10 minuti di lettura

 44

44 Quinquies...

Una cifra ed un distinto avverbio numerale.

Se Michele fosse ancora qui, oggi avrebbe potuto festeggiare il suo compleanno.

E noi, magari, avremmo potuto fare baldoria. Assieme a lui.

Per tutti, lui era - anzi, lui sarà per sempre -: il “Bolo”.

Colui che prese un preciso impegno con se stesso.

“Fino a quando lo stronzo continuerà a passeggiare dentro di me - era solito raccontare -, fermerò il tempo”.

Quando Michele nel 2020 capì la portata del problema, stabilì con rigore giuridico che il 19 dicembre avrebbe compiuto i suoi 44 anni Bis. Festeggiando finalmente i 45 solo a cose finite.

L’anno dopo, ci fu il tempo per celebrare il Ter.

Poi, ci fu spazio unicamente per quell’unico immenso abbraccio.

Con il quale tantissima gente si strinse a Dani. Ed ai ragazzi.

Il suo preferibile lascito spirituale - uno dei pochi aspetti positivi dei social - lo si può evincere dal profilo Facebook (ancora attivo, grazie al Cielo!), dove si possono attingere i tratti del carattere, la forte personalità, lo stile diretto ed a volte salace, la struttura ed anche l’umorismo con il quale Michele Bolognini sapeva trattare qualsiasi argomento.

Scrollando con calma i suoi post, si percepisce l’essenza della sua aura. Una luminosità che arriva pulita, al cuore. E rende fin piacevole l’esercizio di scavare nel suo passato. Alla ricerca di fatti o persone che riempirono la sua vita. O richiamarono la sua attenzione.

Tanto hockey, e come potrebbe essere diversamente? - ma anche tanti interni familiari. Momenti intimi, dei quali il “Bolo” ci fece omaggio, in tempi non sospetti.con Fabio

I mitologici duetti con coach Fabio, durante le celeberrime Rosengarten Hockey Night.

I podcast con autorevoli personaggi, della disciplina sportiva che amiamo di più.

Infine quell’urlo.

Che metterà sempre i brividi.

“Campioni, campioniii! Il Bolzano la riporta dopo quattro anni! Dopo quattro anni il Bolzano è di nuovo Campione! Di nuovo in casa del Salisburgo!”. 

La Madre di tutte le Esultanze. L’Armata Biancorossa che si concesse il Bis in Ebel, nel 2018. I momenti in cui Michele e coach Fabio mandarono il loro aplomb giustamente a farsi benedire. Dando origine ad un emozionale epilogo di telecronaca. Con tanto di bacio in fronte, rivolto da Fabio a Michele. Che rimarrà, con tutto il resto, anche nella storia dell’Hockey Club Bolzano.

In una sola circostanza, chi vi scrive ebbe il piacere di condividere con Michele una serata telematica. Un attimo speciale. In occasione di una reunion davvero emblematica.

Accadde il 15 aprile 2021.

Ed il racconto che segue è la radiografia di quell’incontro.

- Metti una sera all’ora di cena.

Hai appuntamento con otto persone. In particolare, con tre di esse. 

Alle quali puoi rivelare quanto siano state importanti, in un preciso momento della tua vita.

Sei emozionato, allo stesso modo. Come se loro fossero di nuovo in gioco, qualche istante prima di una delle mille battaglie condotte e vinte. Sul ghiaccio.

HCB 1989 90

 Le persone in questione sono altrettanti Miti della mia giovinezza, tre vere e proprie icone. 

I Re Magi, “The Wise Men”, come direbbero un paio di loro. Con il loro generoso ed immancabile carico di doni. Che elargivano ad ogni partita. Sotto forma di gol, assist e spettacolo.

E che tutti conoscevano, amavano e rispettavano.

Beh, quasi tutti.

Sì, avete capito. Stiamo parlando di loro. Dei tre magnifici giocatori che formarono la Linea delle Meraviglie. E che ovunque siano andati, soli o in compagnia, hanno mietuto gloria, titoli e riconoscimenti. 

Gaetano Orlando, Lucio Topatigh e Bruno Zarrillo. 

Il centro, l’ala destra e quella sinistra. La Linea Perfetta.

“Tre giocatori di hockey - sottolinea Gaetano - che avrebbero potuto giocare insieme anche in NHL. Perché c’è tanta differenza tra essere giocatori di hockey e giocare semplicemente a hockey”.

Come contraddirlo?

L’occasione di una reunion così attesa ed importante, anche per loro stessi - dato che da un paio d’anni non si vedevano di persona -, l’ha offerta su di un piatto d’argento il Centro Upad di Bolzano, che in ossequio ad un ricco calendario di appuntamenti culturali, registrati ed appuntati sul loro account you-tube, hanno dato sfogo a ricordi trentennali. Che per questi tre fenomeni dell’Hockey, non solo italiano, faranno per sempre parte del loro vissuto.

Beppe Mora e Fabio Demattè: moderatori per Upad.

Michele Bolognini e Luca Tommasini: per la stampa locale.

Luca Zanoni ed il sottoscritto: battitori liberi. In rappresentanza del tifo biancorosso.   Bruno e Gates

Bruno e Gates       

E poi, loro tre: The Wise Men. Riuniti sotto lo stesso tetto grazie a Zoom. Una di quelle applicazioni in voga, che ha la forza e la capacità di cingere più persone. Anche quelle sparse in varie parti del mondo. In una sola schermata. 

Il ritrovo è per le 20.30. Io sono già andato in bagno tre volte nella ultima mezz’ora.

L’emozione è una vera canaglia. Per chi ha la vescica alquanto suscettibile.

Mi collego un quarto d’ora prima. Non si sa mai.

Saluto e ringrazio Beppe e Fabio per la grande opportunità concessami.

Luca, l’avvocato Zanoni, riceve la chiamata di Lucio Topatigh.

“È emozionato, non sa come collegarsi”. 

Lui, emozionato? Io cosa dovrei dire, allora?

Lucio compare all’improvviso. Era la sua specialità in fin dei conti.

Se un avversario tergiversava col disco un decimo di secondo più del previsto, in prossimità della balaustra, il Falco di Gallio gli piombava addosso, artigliandolo. Da tergo, di lato, di fronte. Non vi erano grandi differenze. Per sua stessa ammissione.

“Noi tre eravamo così. Ognuno sapeva cosa doveva fare in campo. Gaetano stava in mezzo, Bruno buttava il disco dentro. Ed io mi occupavo del resto”.

Per stemperare l’emozione Topatigh si copre la sua celeberrima testa rasata con un parruccone nero. Come si fa a stare seri con un personaggio del genere?

Mentre Lucio si ricompone, il centro di questa indimenticabile linea d’attacco appare nell’icona corrispondente al suo nome: Gaetano Orlando.

È in ottima forma, una splendida notizia.Zarrillo Orlando Topatigh Minneapolis 5 2019

Sul suo computer, non capisce quale sia il tasto “on” del suo microfono.

Bene, non sono stato l’unico.

Qualche istante dopo, arriva anche l’ala sinistra: Bruno Zarrillo.

Non è cambiato di una virgola. Fisico asciutto e parole soppesate col bilancino di precisione.

I saluti tra i tre tenori del Bolzano e della Nazionale rappresentano un momento che appartiene soltanto a loro. La grande armonia che li lega, a distanza di tre decenni, ci lascia a bocca aperta.

Possiamo solo provare ad intuire il peso specifico del loro legame.

Lucio ammette: “noi tre, prima di ogni altra cosa, eravamo - e siamo tuttora - tre amici veri. E quanto ci siamo divertiti insieme. Quante risate. Ma poi, quando indossavamo la maglia, ovunque e contro chiunque, ci guardavamo e ci dicevamo: “Stasera questi qua ce li mangiamo!”

Bruno e Gaetano non possono che sorridere al ricordo.

Si entra nello specifico della chiacchierata. 

Luca Tommasini solleva la questione degli attuali oriundi, soprattutto quelli che sono stati impiegati dai Foxes Bolzano nella Ebel prima e nella Ice Hockey League poi.

Atleti che vengono regolarmente censurati in Austria, perché di italiano avrebbero poco o nulla.

A partire dalla conoscenza della lingua.

La risposta di Gaetano è emblematica:

“Negli anni ‘90, gli oriundi che arrivarono in Italia erano tutti di prima generazione. Io, ad esempio, parlavo italiano, i miei genitori pure. Ed in famiglia si parlava solo in italiano. Per integrarci nella nuova realtà siamo stati costretti ad imparare l’inglese.

Oggi, gli oriundi che arrivano in Italia sono di seconda generazione. I loro genitori, di italiano hanno mantenuto solo l’origine. Perché in famiglia la lingua parlata oramai è quella inglese. Qualcuno poi non ha neanche pensato di rinnovare i passaporti ai loro figli.

Mi permetto di dire, inoltre, che i giocatori oriundi che vengono ora in Italia non mi sembrano forti, come o più di noi. Ed in certi casi tolgono il posto in squadra a qualche giovane italiano emergente, che meriterebbe di giocare al posto loro.

Nel caso mio e di Bruno, comunque, la lingua non è stata uno svantaggio in un ambiente nuovo, molto diverso. E questo ci ha tanto aiutato all’inizio”.

NapierLa prima volta che il centro e le sue due ali si sono ritrovati in squadra assieme è stato in occasione della stagione ‘89-‘90.

A Bolzano. Sponsorizzato Lancia.

Gaetano: “quell’anno Rudi Hiti, il nostro coach, ha fatto un lavoro stupendo. Ci ha amalgamato benissimo. Eravamo un grande spogliatoio, un grande gruppo. Roberto Romano in porta, Gino, Jimmy Boni, Alex Badiani, Erwin Kostner. Bruno è andato in linea con Mark Napier e Flockhart ed io con Pavlu e Lucio. Eppoi c’erano i ragazzi della terza linea. Trisorio, Melega, Laurati. Che giocavano meno ma erano tanto importanti quanto gli altri, per la squadra. E Ciano Sbironi, che in finale contro l’ Asiago fece fuori Mario Simioni”.

Risata collettiva...

“Simioni se lo ricorda ancora” - sottolinea Michele Bolognini.

Il “Bolo” non può non menzionare i mille rigori nell’ultima partita di quella serie di finale. Rimarcando come lo squadrone diretto da Ron Chipperfield, avesse parecchie frecce appuntite nella sua faretra: Ken Yaremchuk, Cliff Ronning, Santino Pellegrino, lo stesso Simioni...

Eppure ci ha pensato il più smilzo ed inesperto dei biancorossi, proprio Bruno Zarrillo, ad infilare il rigore decisivo che valeva lo scudetto, alle spalle di Mike Zanier, sulla sua sinistra, ed a lasciarlo sdraiato sul ghiaccio, inebetito dalla pesantissima beffa appena subita, mentre Bruno cascava, si rialzava, gettando le braccia al cielo ed urlando ripetutamente... “Yes, yes!” in attesa che i compagni di squadra lo raggiungessero per stringerlo in un unico calorosissimo abbraccio.

“Quella finale - chiosa Michele ai tre - verrà sempre ricordata anche per il fantastico gol di Gino, uno dei più iconici nella storia biancorossa. Quello in cui prese il disco dietro la sua porta. E diede vita ad una danza ubriacante. Grazie alla quale scartò ad uno ad uno gli avversari. Varcò il terzo difensivo asiaghese e si presentò, il disco incollato sulla stecca, al cospetto di Mike Zanier”.

Che Gino conosceva assai bene.

Mike provò a chiudergli lo specchio della gabbia. Al massimo delle sue possibilità.

Ma Gino, il Nostro Immenso Gino, aveva già in memoria le coordinate del palo alla destra del portiere. E proprio lì fiocinò di potenza il disco, a meno di una spanna sotto la traversa.

Un gol da cineteca. Un gol che rimarrà per sempre nella storia biancorossa.

Legato, a doppio nodo, assieme a quello che valse lo scudetto. Il rigore del Falco Nero.

“Yes....”. La carriera di Bruno Zarrillo è esplosa in quel preciso istante.

Lui, che l’anno prima era in serie B nella Latemar, assieme a Ben Paniccia.Flockhart

Aveva imparato tantissimo in quella stagione, giocando al fianco di tre ex NHLers (Napier, Flockhart e lo stesso Orlando) in un gruppo unito ed affiatato, in uno spogliatoio gestito con acutezza. E cementato dal grande Rudi Hiti.

Un istante dopo aver realizzato quel rigore di una sfida infinita, si vide abbracciare dai suoi compagni e idealmente da tutta la città, a cui regalò sette anni di giocate incredibili e spettacolari oltre ad un vagone di gol e di assist.

Un vero beniamino. Ed un grandissimo giocatore.

Faccio presente ai miei tre Miti che le loro carriere - si può ben dirlo ora - sono state formidabili proprio perché loro tre coesistevano in modo perfetto. Il loro stile di gioco, le loro attitudini, l’intuito. Bastava uno sguardo, tra di loro. E nasceva la giocata. Che spesso, anzi spessissimo, si chiudeva con il puck nella gabbia avversaria.

La risposta è di Gaetano.

“È stato Bryan Lefley, quando era il coach della Nazionale italiana, a capire che potevamo essere una grande linea. Nel Bolzano, non giocavamo sempre insieme. Perché Bruno si alternava con Martin Pavlu nella linea di Mark Napier e Ron Flockhart”.

E a proposito dei due ex NHLers, Gaetano ha un bell’aneddoto.

“Nap era molto professionale, solo lavoro, disciplina, rigore nel bere e nel mangiare. Mentre Flocky amava anche divertirsi.

Quando andavamo al New Pub insieme, Nap beveva solo una cosa. E poi, stava lì a ricordarci l’allenamento. E, per questo, non avremmo dovuto esagerare.

Io e Flocky gli ricordavamo sempre che una birra in più non ci avrebbe impedito di lavorare duro quella sera. Infatti, Rudi Hiti, chiudeva spesso l’allenamento con una sfida tra le prime due linee. Erano battaglie, anche molto ruvide, giocate duramente. Nessuno ci stava a perdere!

Gino e Topa

Gino e Lucio

Credo che abbiamo tutti imparato molto da quei confronti. Ci rendevano più forti. E poi, in partita, diventavano molto preziosi. Perché miglioravano tanto anche l’intesa tra di noi”.

Gaetano, parliamo di Lucio?

“Lui era il motore della linea - sottolinea Gaetano -. Non si fermava mai, voleva sempre essere in pista, faceva i cambi dieci secondi prima e usciva venti secondi dopo. Instancabile. Quando non eri al top, o la difesa metteva tanta pressione, veniva sempre a darti una mano. Un compagno fondamentale. Come Bruno del resto, che aveva una intelligenza tattica ed un fiuto del gol fantastici. Se gli lasciavi mezzo metro era letale.

Noi tre giocavamo per la squadra, senza invidie, e non ci interessavano le statistiche personali”.

Lucio interviene...

“Qualsiasi maglia io indossassi (Asiago, Bolzano e Milano sul ghiaccio, Padova inline, nda) era una seconda pelle per me e davo sempre il 200 per cento. C’è da dire anche che in pista non volevo assolutamente essere uno qualunque e molto probabilmente questa cosa influiva sui giocatori ed il pubblico avversari. E anche sugli arbitri”.

Nove stagioni a Bolzano, due a Milano e ben 13 a casa sua, ad Asiago, Lucio Topatigh ha accumulato più di mille partite in serie A.

“Lucio - lo incalzo - a proposito di arbitri, mi sono divertito a contare quanti minuti di penalità hai accumulato in tutta la tua carriera. Sono almeno 2.300. Non si fa Lucio!”.

Tra una risata e l’altra, Gaetano toglie la sicura ad un altro aneddoto spassoso. 

“Ricordo una serata a Varese: Lucio voleva assolutamente portare a casa il titolo di giocatore con più minuti di penalità del campionato. Davanti a lui, in quella classifica, c’era solo Georg Comploi, ma di poco. Ad un certo punto Lucio prese due minuti. Che non gli bastarono ancora per superare Comploi. Allora tornò dentro e ne prese altri 10 per cattiva condotta. Con quelli, superò definitivamente il gardenese. Ed incamerò quel titolo”.

Lucio può vantare una carriera lunghissima, alla quale pose la parola fine solamente nel 2008, a 43 anni. Ma anche Bruno (16 stagioni in Europa) e Gaetano (12) possono ammettere che il Vecchio Continente sia stato per loro come la Terra Promessa per il popolo ebraico.

I novanta minuti, a disposizione di questa indimenticabile call, si stanno velocemente esaurendo.

É giunto il momento di salutare cordialmente i Re Magi per la loro disponibilità.

E l’Upad per l’organizzazione dell’evento.

I tre tenori sono andati al cambio delle linee.

Dopo aver dispensato altre emozioni alla platea.

A loro vada consapevolmente tutta la mia gratitudine!

- Quella serata di aprile, del 2021, fu l’ultima occasione in cui parlai con Michele.

Potrebbe maledirmi se ora facessi l’errore di cadere nel tranello delle malinconie di circostanza.

Mi auguro perciò che questo ricordo ti giunga, carissimo “Bolo”! 
Ovunque tu sia...

   • Il bellissimo collage di immagini ed emozioni curato con tanto cuore da Wolfhang Tschager 

QUI 👉🏼https://www.facebook.com/1149571910/videos/335671681954892/

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