- Assi di Bastoni #10: Il weekend analcolico ed il Bombardiere di Minnedosa (tempo di lettura 12 minuti)
Analcolico. Sì, proprio analcolico.
Per i Foxes Bolzano, il sapore del terzo weekend della Ice ha lo stesso retrogusto delle birre 0,0 che sono state consegnate a Dustin Gazley, dalla Hennenstall am Karerpass. Effimero premio di consolazione, al nostro numero 10, al termine del disastroso Grande Classico.
Difficile valutare le due prestazioni, contro Asiago e Fehérvár, in un unico contesto. Tanto sono state diametralmente opposte.
Una sconfitta abnorme, che ha raccolto una quantità importante di fango, quando è passata dall’abominevole setaccio dei social, ed una vittoria. Pura e luccicante. Come le “clean sheets”, le classiche lenzuola pulite, rubando un termine appartenente al retaggio anglosassone. Che rappresentano, in modo figurativo, le maglie della rete del portiere, uscite immacolate dal match.
Perché abnorme? Perché tutti abbiamo visto cosa è accaduto venerdì scorso. Ad un certo punto, coach Hanlon ha preferito mandare Jonny Vallini sul ghiaccio piuttosto che abbandonare Sam Harvey al suo destino, dopo aver incassato in due parziali il triplo delle reti subite nelle sue quattro partite precedenti. Diventate cinque, nel frattempo. Dopo il match contro i maestri magiari.
48 ore dopo aver clamorosamente raccolto addirittura 6 dischi dalle maglie della rete alle sue spalle, diventati 8 e tutti dedicati dall’Asiago alla memoria di Jason Cirone, Sam Harvey è tornato ad essere l’Uomo della Provvidenza. Quello che protegge i suoi compagni da ogni situazione imbarazzante.
E che totalizza tre shutout in sole cinque gare. Un record per i biancorossi, nei loro 10 anni trascorsi in questa Lega. Stando ai bene informati.
Quello di Sam con l’Asiago vogliamo quindi derubricarlo come un banale, ma pur sempre inusuale, passaggio a vuoto? Cose che càpitano anche ai Migliori? Una débâcle collettiva, sia chiaro. Perché venerdì sera i biancorossi si sono progressivamente sgretolati lungo i 60 minuti di gioco.
Lasciamo quindi da parte ogni tentazione di scadere nella dietrologia.
(foto: Attila Soós)
Il Bolzano non lo dimenticherà di certo. Ma si è lasciato alle spalle in Ungheria il venerdì horribilis del Grande Classico, affidandosi al miracoloso uomo di guardia alla saracinesca ed ai suoi frombolieri delle linee d’attacco.
Come a Vienna, anche al cospetto degli spalti semivuoti dell’Alba Arena di Székesfehérvár, sui quali però vi erano anche otto temerari bolzanini, a noi molto noti, è stato Matt Bradley a sbloccare il match ricevendo un assist al bacio da Gazley e piazzando all’incrocio il suo spettacolare tiro al volo.
Bolzano avanti, anche se nel computo totale dei tiri terminerà sotto di 10 rispetto al Fehérvár, e supremazia consolidata nel terzo tempo da un’altra splendida finalizzazione di Anthony Salinitri, pescato col goniometro da Brad Christoffer. Infine, quasi sul sipario, il secondo assist della serata di Dustin Gazley, indirizzato a Daniel Mantenuto, per il più classico degli empty net goal.
Il ritorno alla vittoria dei biancorossi, condito con il riscatto di un Harvey davvero superlativo, spezza idealmente le odiate matite blu, quelle che servivano ai maestri elementari per sottolineare gli errori gravissimi. Quelle che sono state utilizzate dai leoni da tastiera. Per rimarcare quello che, secondo più di qualcuno, sarebbe stato l’inizio di una inequivocabile crisi per i Foxes Bolzano.
Avrei il prurito di chiedere loro il colore dei fantomatici asini che volano sopra le loro teste. Ma non ne ho il coraggio. E nemmeno il tempo. Perché?
Vi abbiamo preparato una sorpresa. Ecco perché. E siamo lieti di introdurla.
Ci sono ben nove ore di fuso orario di differenza tra l’Italia ed il luogo dove risiede il nuovo graditissimo ospite d’onore della nostra rubrica.
Il superlativo assoluto è un atto dovuto.
Perché il protagonista dell’intervista che leggerete è un uomo che ha contrassegnato la storia di Hockeytown, trasformando il Palazzo del Ghiaccio di via Roma prima e il PalaOnda poi in veri e propri parchi di divertimento. Grazie alle sue prodezze balistiche, indossando la maglia biancorossa. Ed alle sue intuizioni manageriali, ingaggiando stelle di prima grandezza come Jagr, Nilsson, Pavelich, Napier, Vostrikov, Maslennikov, Pasin, Beattie...
Se non avete ancora capito di chi stiamo cominciando a parlare, sappiate che ha compiuto 70 anni lo scorso 28 marzo ed è ancora, immancabilmente, ricordato come il Bombardiere di Minnedosa.
Non solo.
Nel 2016 è stato inserito nella lista dei migliori 50 giocatori della World Hockey Association. Di tutti i tempi. E, un anno dopo, i supporters dei Brandon Wheat Kings, la squadra della città in cui nacque e militò da junior, spargendo record di realizzazioni come fossero coriandoli, lo hanno eletto “miglior centro della seconda linea” della storia. A distanza di quasi 50 anni...
Ronald James Chipperfield, venuto al mondo in un lembo dello stato canadese di Manitoba, riserva di caccia ed immenso abbeveratoio per i mustang cavalcati a pelo dagli indiani Dakota, per noi è stato sempre e soltanto “Chip”.
(Ron con la figlia Ali - courtesy of Perry Bergson of The Brandon Sun)
Affido a Messenger il compito di contattarlo a West Vancouver, il luogo distante nove ore di fuso orario da qui, dove risiede godendosi il relax del giusto ed una famiglia all’interno della quale dialoga rigorosamente in italiano. In nobile ossequio alle origini di Cristina, sua moglie, conosciuta proprio a Bolzano, nel 1985.
La risposta di Chip, più cordiale che mai, giunge quando sulla costa pacifica del Nordamerica la giornata è scandita dalla produttività. In Italia invece sono oramai le una di notte del giorno dopo. Ma le parole di Ron sono puro balsamo per il cuore.
Mi gira la sua mail. Ed io irrompo nei suoi argini con un fiume di domande.
Dopo averle visionate, Ron mi dà appuntamento telefonico alle ore 17 di mercoledì 9 ottobre.
Un giorno già di per sè speciale.
Il centenario della nascita di mio padre Ottorino.
Il trillo del telefono è puntuale come i suoi appuntamenti con il gol. Di oltre 40 anni fa...
“Ciao Andrea, come stai, che piacere!”.
Il primo NHLer della storia biancorossa, il mio Mito Assoluto, l’uomo che ha rivoluzionato le mie teorie sull’hockey, dice a me... “Che piacere!”
La sua voce è squillante e sorprende ancor di più. Riesco a ripetergli una cinquantina di volte che: “il piacere è tutto mio” prima che la nostra intervista possa finalmente decollare.
(Minnedosa Golf &Country Club)
Ron è un brillante settantenne la cui esistenza ora è un piacevole compromesso tra famiglia, campi da golf ed arene dell’hockey di periferia. “A volte lo faccio per visionare i figli dei miei amici. Quelli che non hanno dimenticato il mio istinto nel cogliere il talento in un giocatore”.
La prima domanda è d’obbligo. Le sue origini. Ron inizia a raccontare...
“Ho iniziato sui pattini a cinque anni, nel giardino di casa mia. A Minnedosa. Abitavamo vicino alla pista di pattinaggio. Ci andavo da solo e vedevo altri ragazzini giocare ad hockey. Così ho provato anch’io. Il mio primo coach fu Ross Johnson”.
Il giovanissimo Ronald James brucia letteralmente le tappe iniziali della sua carriera.
“A 14 anni ho provato per tre mesi la Junior B a Brandon, una Lega Under 19. Ma non mi piaceva. L’anno dopo, nel 1969, ho iniziato invece la stagione nei Kings. A Dauphin. Nella Manitoba Junior Hockey League. Un anno fantastico. Durante il quale ho totalizzato 39 gol. L’inizio di tutto”.
Quella stagione si trasforma nel suo personale trampolino di lancio.
“Dopo Dauphin, mi hanno voluto di nuovo a Brandon, nei Wheat Kings questa volta. Uno dei consulenti del coaching staff era Rudy Pilous, vincitore della Stanley Cup con i Chicago Black Hawks nel 1961. Lui è stato il primo a cogliere le mie potenzialità”.
Nelle 4 stagioni vissute con i Wheat Kings, nella Western Junior Hockey League, Chip demolisce record individuali e di squadra, a ripetizione. Lega particolarmente con Rick Blight, formando una devastante coppia di attaccanti. Con 171 reti in tre annate, dal ‘70 al ‘73, alla Manex Arena diventa uno degli idoli per i suoi tifosi.
“A Brandon - confermò in seguito Chip, nel dicembre del 2018, anche in una splendida intervista rilasciata a Perry Bergson, ancora presente nel web - coach Gerry Brisson era entusiasta di allenarmi. La sua idea di hockey era basata su velocità ed abilità. Ma in quella Lega gli avversari picchiavano come fabbri. Per restare in vita dovevi sempre tenere alto il bastone!”.
La stagione ‘73-‘74 è quella della svolta definitiva, per Ronald James Chipperfield, in cui nasce il mito del Bombardiere di Minnedosa.
In 66 partite totalizza 90 gol e 72 assist. Addirittura 12 Hat-Trick. MVP della WCHL ed unico giocatore dei Wheat Kings a vincere per quattro anni consecutivi la classifica dei marcatori. Il secondo assoluto nella storia, con 261 reti.
“Dopo quella stagione incredibile, vengo scelto dai California Golden State nel draft NHL. E dai Vancouver Blazers, in quello concorrenziale della scomparsa World Hockey Association. La mia scelta, invece, non è stata difficile. La squadra californiana era composta da giocatori troppo vecchi. Mentre invece a Vancouver era buonissima, come testimoniato da tante vittorie in amichevole contro franchigie della National Hockey League”.
Cinque stagioni in WHA, condite con 330 punti in 369 partite. Dopo l’anno a Vancouver, ne sono seguiti due a Calgary con i Cowboys e due, assolutamente determinanti per la sua carriera, ad Edmonton. Con gli Oilers.
“Al mio terzo anno con loro, la franchigia entrò nel salotto buono della NHL. La tradizione voleva che fossero i giocatori a scegliere il loro capitano. Quando aprirono le buste con le preferenze, con mia grande sorpresa scoprii di essere io. Penso che sia stata una scelta dettata dal carisma che già mi attribuirono a 25-26 anni. Un grande onore per me. In quella squadra c’erano sei giocatori diventati a loro volta capitani degli Oilers. Tra questi Wayne Gretzky e Mark Messier”.
Il capitolo Gretzky merita una menzione particolare in più.
“Entrò a far parte degli Oilers nel ‘78-‘79. L’ultimo anno in Wha. Intorno a lui, in spogliatoio si scatenarono sciami di gelosia. A 17 anni era già destinato a diventare il Migliore. E per lui non fu facile vivere da debuttante quelle pesanti frizioni. Mi avvicinai a lui e lo aiutai. Diventando il suo personale supporto. Cosa che lui non dimenticò mai. Ancora oggi siamo in ottimi rapporti. Ci sentiamo spesso e ci frequentiamo quando è possibile, anche sui campi da golf”.
(Ron a Edmonton con la "C" e Gretzky")
Il 10 marzo 1980 gli Oilers si privarono del loro capitano. Una scelta sofferta, dettata dalla necessità di ingaggiare un portiere all’altezza della NHL. Chip passava così ai Quebec Nordiques. In cambio del goalie Ron Low, suo compagno di squadra 10 anni prima a Dauphin.
Attenzione, perché qui il destino di Chip ci mette lo zampino. E non finiremo mai di ringraziarlo.
Appena sbarcato in Quebec, Ronald James si rompe una spalla. Ed al suo rientro sul ghiaccio è già stato scavalcato da Peter Stasny e Dale Hunter, nelle priorità del coaching staff.
Chip si ritrova ai margini della squadra. Ha un contratto pluriennale ed accetta una breve parentesi della sua carriera in AHL, a Rochester.
Al suo rientro nei ranghi, ai Quebec Nordiques Ronald James Chipperfield ha già meditato abbastanza sulla svolta da dare alla propria carriera. E soprattutto alla propria vita. Ne parla con il suo agente, Daniel McCann. Che recepisce la volontà del suo assistito di voler cambiare radicalmente ambiente. Ron vuole battere la via che conduce in Europa. In Italia, per sua precisa scelta.
“Avevo ancora due anni di contratto in Quebec. Quando decisi di rescindere il contratto con loro, tentarono di prolungarmelo, per convincermi a restare. Ma, oramai, la decisione era presa. Daniel scandagliò il mercato italiano e la scelta ricadde su Bolzano. Quando sbarcai all’aeroporto di Innsbruck e salii in macchina per raggiungere l’Alto Adige rimasi affascinato a guardare il paesaggio fuori dal finestrino. Ed una volta arrivato in città venni accolto in modo trionfale dal presidente dell’Hockey Club Bolzano, Toni Pichler, che mi mise subito a disposizione ogni comfort”.
Domenica 20 settembre 1981, al Padiglione 1 della Fiera campionaria di Bolzano, Ron Chipperfield, il primo professionista della NHL a sbarcare in Italia, viene ricevuto - come merita una vera star - allo stand della ditta Alderucci, nota per i suoi innovativi arredamenti per interni.
Sui divanetti viene improvvisata una conferenza stampa di presentazione. Alla quale partecipano anche Daniele Magagnin (per il Giornale Alto Adige) ed il sottoscritto, per Radio Bolzano Dolomiti.
“Il primo approccio con la città fu molto positivo. Sapevo che il Padiglione 1 sarebbe diventato il mio nuovo Palazzo del Ghiaccio, la mia nuova seconda casa. Conobbi subito i nuovi compagni, il capitano Hubert Gasser in testa, il coach Jaroslav Pavlu. Girare per Bolzano poi era davvero bellissimo, splendido il centro storico, la gente sempre cordiale. Gli ultimi due campionati erano stati vinti dal Gardena, quindi sapevo quali sarebbero state le responsabilità della mia scelta. A Bolzano volevano tornare a vincere, ad ogni costo. E vincemmo”.
Tre scudetti consecutivi, due con Jaroslav Pavlu ed uno con Toni Waldmann (il tecnico tedesco con esperienze nel campionato spagnolo. Celeberrime sono rimaste alcune sue frasi rivolte in spogliatoio alla squadra: “defecto de portiere de Gardena es el tiro baso” oppure “recuerda: primero pasaccio ala banda”).
Statistiche individuali da paura, nelle tre stagioni biancorosse giocate da Chip: 84 match, 175 gol e 132 assist. Ai quali si aggiungono i punti raccolti nelle 11 gare dei playoff: 14 reti e 16 assist.
Il suo miglior capitolo, quello dell’ ‘82-‘83: 136 punti totali (78 gol, 58 assist) in 32 incontri.
Superato solo da Kenta dai Guanti Bianchi, nell’ ‘87-‘88: 160 totali (74+86), ma in 43 match.
Poi, la doppia sfida internazionale in via Roma tra biancorossi e CSKA Mosca, in Coppa Europa, sia in quella stagione per lui magica, dell’ ‘82-‘83, che in quella seguente.
Ed è proprio nella primavera del 1984 che lui decise di appendere al fatale chiodo i suoi pattini. Piegato dal logorio alla schiena, retto fino a quando non si rivelò insopportabile.
“Quando comunicai la mia decisione al principale dirigente di riferimento, Mario Vinci, ed alla società, in quel momentonacque la mia carriera di coach e di manager. Passai dal ghiaccio alla scrivania. E mi occupai per la prima volta anche del mercato. Scelsi direttamente dalle Junior nordamericane, dai Regina Pats, un campione emergente e giovanissimo come DaleDerkatch. E lo affiancai ad un giocatore d’esperienza e di peso. Che si era fatto le ossa in AHL, a Binghamton, e vantava anche una stagione in NHL con gli Hartford Whalers: Bob Sullivan”.
Quell’anno Chip ebbe più di un grattacapo a gestire quello spogliatoio. Molti giocatori avevano il vizio del fumo, qualcuno rincasava solo all’alba, dopo varie scorribande nei locali notturni. Ma il divario tra i biancorossi e la concorrenza fu talmente netto che nulla e nessuno fermò quel Bolzano lungo la strada che lo portò alla conquista del suo nono scudetto.
(foto Zanoni)
Con Ron la conversazione si fa sempre più piacevole e cordiale. Lui probabilmente se lo aspetta da un po’ ed io finalmente irrompo nell’argomento. La Stagione della Stella: 1987-‘88. Ergo, gli ingaggi di Kent Nilsson, Mark Pavelich, Mike Zanier (il primo portiere straniero nella storia dell’HCB)...
“La stagione prima di venire a Bolzano, Kent Nilsson vinse la Stanley Cup proprio ad Edmonton. Con gli Oilers ho sempre avuto ottimi rapporti. Fatto sta che lo incontrai sui campi da golf. Gli parlai chiedendo quanto margine lui potesse darci per un suo eventuale ingaggio con il Bolzano. Dovetti mediare molto. Sia con Kent che con la società biancorossa. La quale dovette sopportare il peso di un contratto molto oneroso. Ma venne ripagata dai risultati ottenuti sul ghiaccio. Mark Pavelich invece aveva fatto molto bene a New York, l’anno prima con i Rangers. Avviai una trattativa con lui che si concluse anch’essa positivamente. Eppoi Mike Zanier, anche lui nell’orbita Oilers. Per questo, non feci fatica ad avviare e concludere in nostro favore anche una mediazione con Mike”.
I discorsi scivolano inevitabilmente anche su altri giocatori leggendari che hanno indossato la maglia biancorossa. Non possono fare alcuna eccezione sia il Volga Express che l’Immortale JJ, al secolo: Jaromir Jagr.
“A Milano, nei due anni in cui mi chiamò la famiglia Cabassi, proprietaria del Saima, feci il general manager anche sulla attività artistica del Forum (quando Ron, dal ‘90 al ‘92, riuscì a chiudere anche per le esibizioni italiane dei tour mondiali di Frank Sinatra e Madonna, nda). Istruito sulle necessità che aveva il Bolzano di contrastare il dominio delle milanesi, in quell’epoca in Italia, parlai con il secondo allenatore del Saima Milano, Juri Kamonow. Cercando di capire la situazione in cui versava il mercato dell’hockey a Mosca. Juri mi fece capire subito che in quel settore soldi non ne giravano. Che ci sarebbe stata la ghiotta opportunità di giungere a trattative vantaggiose. Andai a Mosca, per visionare alcuni giocatori. Mi focalizzai su Sergej Vostrikov ed Igor Maslennikov. Sfortuna volle che persi l’unica occasione di vederli sul ghiaccio, perché indisponibili. Ricorsi ad alcuni video dei loro precedenti incontri giocati, ed avviai i contatti. Mi chiesero 150 milioni delle vecchie lire. Mi accordai per 30. Tanta era la carenza di liquidi sul mercato, in quel preciso momento epocale”.
Ron Chipperfield riavvolge il nastro dei ricordi, prende fiato e parte con il capitolo riservato a Jagr.
“La serrata NHL coincise nel 1995 con le partite decisive dell’Trofeo 6 Nazioni. L’Hc Bolzano fu molto vigile sul mercato internazionale, in quella circostanza. Cercando di capire se, da quel blocco dell’attività in Nordamerica, si sarebbero potute creare condizioni vantaggiose. Nell’entourage di Jaromir Jagr gravitavano figure che già facevano parte di quello di Wayne Gretzky. Venni a sapere quindi che il Numero 68 aveva fatto ritorno in Cekia. E che sarebbe stato disposto a giocare ‘a gettone’. In attesa degli sviluppi sul fronte della NHL. Fu così che venne al cospetto dell’Hockey Club Bolzano. In quei nove indimenticabili giorni in cui rimase a disposizione di coach Bob Manno”.
5 match, 8 gol ed altrettanti assist. Il Trofeo 6 Nazioni in bacheca ed un ricordo della città e del Palaonda che ancora oggi lo stesso Jaromir Jagr, per ammissione dello stesso Ron, non può e non riesce proprio a dimenticare.
Il tempo vola, al telefono con Ronald James. Non oso pensare al costo di una telefonata intercontinentale, della durata di più di un’ora. Avrei ancora mille domande da porgli. Ma riesco a sintetizzarne soltanto alcune prima che sopraggiunga il limite, imposto dal buon senso.
Un capitolo molto importante nella vita lavorativa di Ron Chipperfield è stato senza dubbio l’avvio di Optima. L’agenzia con la quale, per 20 anni, ha trattato le procure di un’infinità di giocatori.
“Mi è piaciuto molto passare dall’altra parte della scrivania. Una decisione condivisa in toto con mia moglie. Ho sempre avuto fiuto, come dicevo, nel cogliere le possibilità delle consacrazioni dei giocatori. Un istinto che ho sempre sentito di possedere. Adesso che mia figlia Ali è diventata avvocato potrebbe essere lei, l’altro membro della famiglia ad entrare nell’universo delle procure”.
La risata di Ron è davvero contagiosa. Colgo la sensazione che si sia proprio arrivati agli sgoccioli della nostra chiacchierata. Ma una domanda mi sembra d’obbligo...
Ron, segui sempre la Lega in cui gioca il Bolzano? Cosa ne pensi della squadra di quest’anno?
“Certamente, sono sempre in contatto con il dottor Knoll. E conosco molto bene anche Glen Hanlon. Anche lui di Brandon, come me. Quando andai via dai Wheat Kings, l’anno dopo arrivò in spogliatoio proprio lui. So anche che la sua famiglia vive qui a Vancouver. Comunque, adesso la squadra è davvero molto buona. In febbraio o marzo del prossimo anno forse tornerò a Bolzano. E magari riuscirò ad andare anche al Palaonda, dal quale manco da tre anni”.
Ron, prima di salutarti. Oggi vedi in giro qualcuno che ha il tuo stesso stile, in NHL?
“No, è troppo diversa oggi da 40 anni fa. Visto che la mia franchigia preferita resta Edmonton, ammiro Connor McDavid. Non ho mai visto un giocatore che riesca ad esprimere la stessa velocità, con o senza il disco. Un vero fenomeno”.
Siamo arrivati ai secondi finali della nostra interminabile chiamata.
Ma Ron ha una richiesta particolare da fare. Che non posso certamente negargli.
“Andrea, ne approfitto per salutare con grande cordialità il dottor Knoll, Mario Vinci ed Hubert Gasser. Per l’aiuto, la guida e lo spirito di amicizia che ciascuno di loro ha saputo trasmettermi, nelle importanti stagioni della mia carriera, e della mia vita, trascorse a Bolzano”.
Un finale degno di Ronald James Chipperfield, il Bombardiere di Minnedosa...
(foto Zanoni)