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Agli albori dell’hockey su ghiaccio, tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento, il nostro amato sport era lontano anni luce dall’essere regolamentato da Leghe o Associazioni. I pionieri di grandi ed importanti aree anglofone del mondo, Nord America e Regno Unito, si uniformarono in modo spontaneo al rispetto di regole standard, adatte alla pratica del disco sul ghiaccio. Semplici ed inequivocabili. Che vennero accolte quasi con devozione nel resto d’Europa, neanche fossero stati i Dieci Comandamenti.
I ritmi sul ghiaccio erano decisamente diversi, questo perché la qualità del pattinaggio non era di certo eccelsa. Inoltre, i praticanti, non avevano nemmeno potenzialità atletiche importanti. Per sopperire a tutto ciò, allo scopo di coprire in modo opportuno e completo il perimetro di gioco, le regole dell’epoca si orientarono su confronti suddivisi in due soli tempi di gioco. Tra squadre composte non da sei, bensì da sette giocatori.
Rispetto all’hockey che conosciamo oggi, tra la linea dei due difensori e quella composta dai tre attaccanti, galleggiava il sesto uomo di movimento. Con specifiche caratteristiche e precise mansioni. Il cui ruolo prese il nome di “rover” (tradotto letteralmente dall’inglese, in modo inequivocabile: “vagabondo”). Questo perché aveva piena libertà di girovagare come un pellegrino sul ghiaccio. A supportare il reparto maggiormente deficitario, bisognoso del suo operato.
Quando nacquero le leghe e le associazioni nordamericane, invece, le dinamiche di gioco erano lievitate fino a raggiungere ritmi molto più repentini, come quelli di un vecchio disco a 78 giri, poggiato sul grammofono.
Il “rover”, a rischio estinzione, fece la sua ultima apparizione ufficiale ai Giochi Olimpici di Anversa. Quelli del 1920. Dopodiché, nel 1923, sia la Pacific Coast Hockey Association che la Western Canada Hockey League, diedero vita di comune accordo ad un vero e proprio ribaltone regolamentare. Operazione che bandì per sempre il vagabondo, da tutte le piste ghiacciate.
Perché iniziare il nuovo capitolo di questa rubrica con un poema dai risvolti atavici?
Molto semplice. Chi vi scrive è stato percorso dalla suggestione, nelle prime due uscite ufficiali dell’Hockey Club Bolzano, di percepire una superiorità biancorossa netta e tangibile. Da farmi credere che sul ghiaccio ci fosse ancora il bandito fluttuante tra le linee.
Per istituzione, il proverbiale uomo in più, al Palaonda, resta la Curva “Nene e Michi”. Ammirevole, commovente, insostituibile supplemento di energie motivazionali per i nostri beniamini. Ma, in questo inizio di stagione della Ice, la loro supremazia credo sia stata evidente anche a voi.
Come se, tra le linee, ci fosse ancora un “rover”. A supporto.
Andiamo con ordine. L’esordio con Linz.
Il match di venerdì scorso è stato anticipato da una pre-season che aveva alimentato in modo percettibile alcuni banali dubbi sulla composizione della squadra. Nel focus dei tifosi - non di tutti, per carità - è finito sotto osservazione il comparto di difesa. Secondo alcuni, il meno performante. Un po’ leggero, un po’ scarno. E privo di un uomo navigato come Enrico Miglioranzi. Giunto quasi al termine del suo severo percorso riabilitativo.
La realtà ha ribaltato brutalmente quel pessimismo, nemmeno tanto velato.
La programmazione del lavoro svolto dai Foxes durante la preparazione è stata evidentemente calibrata in modo ottimale. Ed ha consegnato alla Lega d’Oltralpe un Bolzano tirato a lucido come non mai. Esplosivo e determinato. Reattivo ed instancabile. Con l’orologio dell’affiatamento a scandire anche il decimo di secondo. A dimostrazione anche dell’armonia che sta regnando nello spogliatoio. Tra i nuovi ed i vecchi inquilini.
Un Bolzano che possiede, per nostra fortuna, un pregio impossibile da mettere in discussione. Un elevato tasso di qualità. Quasi da vertigini. Che ha marcato la netta differenza tra i biancorossi ed i suoi avversari, incontrati lungo il prologo del primo weekend della stagione. Se con il Linz ci siamo stropicciati gli occhi, quasi increduli dal livello d’intensità già raggiunto dalla squadra, nel derby con i pusteresi li abbiamo subito tenuti ben aperti. Per non perdere nemmeno un istante della netta supremazia biancorossa.
Insomma, lo spettacolo della ICE è appena cominciato. Rispetto al passato, quando si è aperto il sipario sulla stagione, abbiamo tutti avuto più o meno la stessa impressione.
Questo Bolzano ci regalerà alti momenti di pura esaltazione.
Anche se è prematuro definire giudizi, le tre linee di difesa hanno quindi fatto emergere, netta, una collettiva impressione di stabilità, forza e affidabilità. A destra, Scott Valentine ha un distinto compagno di linea: Jason Seed. Il treno ha un tender che lo rifornisce di sicurezza e tranquillità. Valentrain può affrontare le due fasi con la consapevolezza di avere le spalle coperte da un signor difensore.
Anche la coppia Bourque-Spornberger è piaciuta per la sua varietà. Simon ha classe superiore rispetto al compagno. Qualcuno rivede in lui le sembianze e lo spirito di un grande del recente passato: Alex Egger. Il capitano che alzò le Ebel del 2014 e del 2018. Peter, invece, ha dalla sua un gran fisico ed un pattinaggio elegante e potente. Deve lavorare su conduzione e trasmissione del disco. E debellare quel filo di nervosismo emotivo che può generare una piazza importante. Credo, però, che abbia inteso di avere facoltà di ottenere miglioramenti, in questi fondamentali.
Felice, e fin qui totalmente azzeccata, l’intuizione di Hanlon di costituire il terzo blocco difensivo, ma solo per le rotazioni, con Dylan Di Perna e Cole Hults. Il primo è oramai navigato come il comandante dell’Hurtigruten. Il battello postale norvegese che, quotidianamente, scorre lungo i fiordi in un dedalo di insidie. Per Dylan i pericoli costituiti dagli attaccanti avversari non rappresentano particolari minacce. Conoscendo i loro prospetti come pochi altri difensori della Lega. Al suo fianco, il difensore che personalmente prediligo: Cole Hults. Per motivi che sono facilmente intuibili. Ha sempre un impatto importante sul match. E questo è il suo miglior pregio.
In avvio di stagione la difesa ha dato perciò un importante contributo. A tracciare quel solco di sostanziali differenze che sono sembrate evidenti tra il Bolzano e le sue avversarie. Non vogliamo dimenticare però in quale stato di grazia Sam Harvey si è ripresentato al Palaonda. Dopo la gravissima perdita del padre Mikel, la figura di riferimento sempre al suo fianco, che più di ogni altra lo ha sostenuto nella sua crescita agonistica, per lui non deve essere stato facile salire su un aereo per far ritorno in Europa. Ma quando si è calato nuovamente nell’armatura del Guardiano del Regno, vorrei credere che l’abbia percepita. L’aura del suo angelo custode. Al quale si è rivolto, con il naso all’insù, proprio allo scadere del match contro Linz.
Alle spalle di Harvey c’è un ragazzo di Bolzano, che sta lavorando per tornare ai livelli che gli sono sempre stati riconosciuti. Il suo nome è Johnny Vallini, figura rilevante all’interno dello spogliatoio. Che sarà fondamentale anche in questa stagione. Quando si alternerà al goalie titolare.
Andiamo ora ad analizzare le quattro linee d’attacco. Forse, non vorrei allargarmi troppo, i quattro blocchi più interessanti che i Foxes abbiano mai avuto in questa competizione.
La prima linea è un delirio di qualità. Il centro, Matt Bradley, è l’indiscussa fucina del gioco. Legge come pochi, e in anticipo, i movimenti dei compagni. Costruendo assist e offrendo succulente sponde ai compagni, per poter finalizzare egli stesso. A destra, Dustin Gazley viaggia come un rookie in rampa di lancio. Ha la stessa energia, la voglia e la fame di ambizione che aveva a 19 anni. Con la differenza che ne ha quasi il doppio. Dustin ha già affinato coi compagni un affiatamento evidente. Il gol del 3-0 contro Linz ne è la riprova. Quello, per capirci, infilato a porta vuota da Adam Helewka dopo una costruzione da brividi e applausi. Io non ho ancora capito come si pronuncia il suo cognome, ma Adam è davvero un grandissimo giocatore. Una debordante forza della natura. Che si è già proposta ai suoi compagni, con enormi risultati, come terminale offensivo della linea delle Meraviglie.
Andiamo di Braden Christoffer, Brad McClure e Michele Marchetti.
Il numero 3, il centro della seconda linea, è uomo che non si risparmia. Dà tutto sé stesso alla causa. Si prodiga al rispetto del dogma: Defense First, imposto da Hanlon. E brucia risorse più del termovalorizzatore posto sotto Castel Firmiano. Si pone sullo stesso livello di Mantenuto e Finoro come “two way forward” ed è meglio non farlo incazzare. La sua presenza libera l’estro e la predilezione che McClure ha per le corsie esterne. In mancanza di meglio, in passato, il suo coach lo sacrificò come centro. Ora Brad vede di nuovo la porta come pochi ed è un eccellente distributore di assist in favore dei compagni. Michele Marchetti invece è l’arma pesante del trio. Il suo tiro è forse il piu potente di tutta la squadra. Non è ancora al top. Quando ci arriverà, raccoglierà le soddisfazioni che merita.
Frigo, Mantenuto e DiGiacinto. Belli, croccanti, appassionati e spietati, all’occorrenza. I primi due oramai hanno esaurito la scorta di aggettivi superlativi che ogni addetto stampa al Palaonda porta sempre dietro con sè. Luca ha colpi straordinari ed intuizioni che solo i grandi hanno. Daniel merita gli stessi elogi che mi sono permesso di attribuire a Christoffer. In fase offensiva, in copertura, negli special team. Sa sempre cosa fare e dove giostrare. Non spreca un disco che sia uno. Ed è un moto perpetuo. Che rappresenta forse la miglior caratteristica del giocatore. A loro hanno affiancato un tipetto a tutta grinta come Cristiano. Il duro del gruppo. Che ha dimostrato però di avere nei polsi un’altra arma da non sottovalutare. Come il girotondo letale eseguito a due passi da Tirronen. Per le sue caratteristiche, prezioso come pochi.
All’appello mancano solo Toni Salinitri, Giordano Finoro, capitan Daniel Frank e Pascal Brunner.
Il primo sta riempiendo il serbatoio di tutta quell’energia che gli servirà quando raggiungerà uno stato di forma ottimale. Ha un grande fiuto per il gol. Lo aspettiamo fiduciosi.
Finoro ha grandi doti. In primis ha questa propensione tutta sua di eletto finalizzatore. Che a mio avviso lo distinguerà per tutta la stagione. Eccellente nelle due fasi, sul podio dei migliori della squadra in questo ruolo. Non insidierà il plus/minus da record di Cole Hults ma sono certo che alla fine della stagione non gli sarà sotto di molto. Daniel, il capitano, cresce di partita in partita. Sappiamo che cosa può dare alla squadra. Quanto importante sia la sua presenza ed il suo peso nello spogliatoio. È diventato l’uomo dei valori importanti. Espressi recentemente attraverso l’inedito canale della lettera ai tifosi. Che hanno risposto dopo il derby alla delicatezza dell’iniziativa con un tributo da brividi sotto la Curva. Pascal, infine, ha la pazienza di chi è consapevole di dover apprendere a fondo le lezioni che tutti gli stanno impartendo. A partire dal coach fino al pacchetto d’esperienza costituito dai suoi compagni più rappresentativi. Aspettiamo anche lui. Sicuri di essere ripagati, prima o poi, dal talento ancora inespresso del ragazzo.
Dulcis in fundo, l’ultimo capoverso sui singoli giocatori lo dedicherei ad uno dei leader della squadra. Mike Halmo. Nessuna squadra, e sottolineo: nessuna, può vantare nel proprio roster un jolly di simile portata. Quando Mike si sentirà pronto e libero di esprimere finalmente sul ghiaccio la sua voglia di hockey, attualmente repressa da condizioni fisiche non ottimali, potrà entrare a suo modo nel sistema di gioco della squadra. Per deliziarci, ancora una volta, con le sue celeberrime giocate.
Riepilogando... il test d’ouverture con il Linz ha posto in evidenza una condizione generale quasi sorprendente. Il dato più importante, che certifica la grande prestazione del Bolzano, è racchiuso nelle sei significative liberazioni vietate delle Black Wings nella frazione centrale.
Il derby, e concludo, non ha fatto altro che confermare la bontà della prestazione precedente. Davanti ad un pubblico importante, mosso dall’evento, il Valpusteria non è riuscito ad evitare di indossare i panni della vittima sacrificale. Il Bolzano, sazio per i cinque gol, si è rilassato solamente a tre minuti dalla fine.
La rivincita, a Brunico, cadrà nel giorno di Ognissanti. Giorno ideale per salire su un pullman. Destinazione Pusteria...