4º appuntamento con Andrea e i suoi “Assi di bastoni”: un incontro dopo 30 anni e più con un amico che ha vestito i colori biancorossi
Mercoledì mattina… accendo il cellulare e trovo un post su Messenger.
“Ciao Andrea. Se hai tempo troviamoci per un caffè. Sarebbe bello“.
La sera prima, sapendo che Jim Boni era tornato a Bolzano (in compagnia di Margarida, la moglie portoghese sposata 21 anni fa), avevo stabilito il contatto proprio con lui, nella speranza di poterlo rivedere, ad oltre 30 anni di distanza.
Quando la sua famiglia fece i bagagli per tornare in Italia, alle origini (Supino, provincia di Frosinone), Alfredo Coletti aveva già messo in tasca a Jim un biglietto di sola andata per Bolzano, accompagnato da raccomandazioni che si rivelarono utilissime.
Jim arrivò qui dal Canada, a soli 16 anni, nel 1979. Lo conobbi davanti scuola, alle “Cesare Battisti“. Credo frequentasse l'istituto per geometri. Aveva i capelli alquanto lunghi, tanto da farlo sembrare uno degli Europe. Ed aveva un sogno: diventare un giocatore professionista.
Indossò per la prima volta i pattini in via Roma, poco più che adolescente. E giocò la sua prima stagione italiana in serie B. Con la Latemar. Esperienza alla quale seguì, nel 1980, il reclutamento all'Hockey Club Bolzano, come quinto difensore. Chiese ed ottenne la maglia numero 4. Con la quale fece il suo esordio, ad appena 17 anni.
Giacinto (il suo vero nome, anche se in gioventù tutti lo chiamavano Jimmy, trasformatosi con gli anni in un più sobrio Jim) bruciò le tappe. Ma il suo talento andava plasmato. In un solo modo. Facendolo giocare. Il più possibile.
Da qui, la scelta di mandarlo altrove. A farsi le ossa. Era il 1981. Varese aveva appena messo le radici in serie A. Ed il roster abbondava di giovani di belle speranze. Jim tra questi. Al Palalbani rimase tre anni. Lungo i quali si guadagnò i galloni di assistente a soli 18 anni e la prima convocazione in Nazionale Senior, grazie a Ron Ivany.
Il Boot Camp dei Mastini fu fondamentale per Jim. Gli servì per acquisire esperienza e maturità. E guadagnarsi la chiamata di Ron Chipperfield quando l'Hockey Club Bolzano lo richiamò a rapporto in vista della stagione '84-'85.
Chip aveva deciso di porre fine ai tormenti che gli procurava la schiena. Accantonò pattini e scolapasta. E diede vita ad una nuova e brillante carriera come manager, partendo dal ruolo di coach dei biancorossi. Jim Corsi, invece, abbandonò via Roma. Lasciando al suo rilievo, Bruno Bertiè, le chiavi della gabbia bolzanina.
Quell'estate, oltre a Jim Boni, arrivarono tre attaccanti affermati. Come Bob Sullivan, Dale Derkatch e Bruno Baseotto. Assieme a loro, un altro giovane di belle speranze: Maurizio Vacca.
Personalmente, avevo appena superato il mio primo anno di collaborazione con il Giornale Alto Adige, frequentavo assiduamente Radio Bolzano 102 (che mi garantì le radiocronache dell’hockey) ed il leggendario Padiglione 1 della Fiera Campionaria.
Quell’anno legai particolarmente proprio con Boni e Vacca. Tanto che accettarono di buon grado anche un invito a cena dai miei, per gustare uno dei migliori piatti che riusciva a mia madre: le mezze maniche piccanti, con gamberi e peperoni.
Mi ritrovai anche a giocare a biliardo con Dale Derkatch all’Auri Bar di via Perathoner, e ad ascoltare a tutto volume “Wild Boys“ dei Duran Duran, quando "Pulcino" - il suo soprannome, per via della capigliatura - era alla guida di una vecchia Opel Kadett, avuta in prestito dal Club.
Quell’anno, non invidiai certamente Ron Chipperfield. Costretto a salti mortali improbabili, nel tentativo di mantenere ordine e disciplina all’interno dei ranghi.
Molti giocatori erano fumatori accaniti. Ed il coach, quando la squadra trovava ristoro al Togiva dopo il ghiaccio, si prodigò per mesi nel farsi consegnare le cicche da tutti i tabagisti, per marcarle ad una ad una, con la penna Bic. Gesti disperati, che non portarono ad alcun risultato.
Sempre quell’anno, però, la concorrenza dell‘Hockey Club Bolzano fu quasi impalpabile. Le milanesi stazionavano nel buio del loro totale oblio. E, durante i playoff, solo Asiago e Varese riuscirono a dare - rispettivamente ai quarti ed in semifinale - qualche grattacapo ai biancorossi.
Grazie anche al rigore ed il rispetto delle regole, pretesi da Chip, l’Hockey Club Bolzano surclassò l‘Alleghe pure in gara3 di finale, vincendo addirittura per 14-3 e portando in via Roma il nono scudetto della sua storia.
Margarida, Jim ed il sottoscritto, comunque, mercoledì mattina si sono gustati il primo caffè insieme. Bevuto al ristorante Forst di piazza Erbe, proprio quello gestito da Thomas Geier (appartenente alla felice dinastia di ristoratori che gestì per decenni il celeberrimo Schwefelbad, in zona San Maurizio, il covo biancorosso di ogni post-partita dell‘epoca).
Caffè al quale è seguita una tranquilla camminata lungo le vie del centro, rimembrando con Jim momenti e protagonisti dei suoi anni d'oro, dal 1999 al 2016, trascorsi come coach ad Ingolstadt, Vienna e Linz, ed anche come c.t. della Nazionale austriaca. Esperienza culminata con uno straordinario filotto di 15 vittorie consecutive. Che a loro valse il ritorno in gruppo A.
Prima di riaccompagnarli alla B&B, ho posto loro la fatidica domanda: “Jim, Margarida… che ne dite venerdì sera di venire al Palaonda? Per vedere il primo match della Summer Classic?“.
Con garbo e cortesia, i coniugi Boni non hanno acconsentito. A causa di inderogabili questioni di famiglia. Mi sono fatto bastare da loro un più che augurale: “Siamo certi che avremo altre occasioni in futuro, Andrea!“, prima di abbracciarli e fare ritorno a casa.