Intervista a Pascal Brunner pubblicata sul quotidiano Alto Adige lunedì 16 settembre. Ringraziamo Paolo Gaiardelli.
Dopo una serie di annate trascorse a cavallo tra Bolzano e Merano, il 23enne figlio d'arte è ora pronto a giocarsi le sue carte con la maglia dei Foxes. «Coach Kleinendorst guarda al processo e sa riconoscere l'impegno dei giocatori In casa si parlava solo di hockey: ho capito in fretta che sarebbe stato il mio futuro. I consigli di papà un aiuto prezioso»

Crescere nella famiglia Brunner significa avere l'hockey nel destino. E Pascal è solo l'ultimo rappresentante di una dinastia segnata dal ghiaccio nel profondo, a partire da nonno Hansjörg, anima e cuore dell'HC Merano e tra i più grandi dirigenti che il movimento "made in Italy" abbia mai conosciuto, per arrivare a papà Markus, campione d'Italia sia con il Bolzano che con le Aquile bianconere. Logico, dunque, addirittura naturale, che oggi la scena sia tutta sua; del 23enne attaccante figlio di "Matchi",
il quale come il babbo porta il numero "77" sulla maglia, e che, attraverso lavoro e perseveranza, si è ritagliato un suo ruolo, ora riconosciuto, all'interno della rosa dei Foxes.
«Ho passato un'estate a faticare per farmi trovare pronto, perché sapevo che mi giocavo tanto. Non voglio fermarmi qui: d'ora in poi continuerò a dare tutto me stesso per meritarmi i minuti che ho conquistato», racconta il giocatore biancorosso.
Dopo alcune annate a scavalco, tra Alps e ICE, sembra essere arrivato il suo momento, sente la pressione della responsabilità?
E' quello che volevo, mi sono impegnato tanto per migliorarmi e avere la mia chance.

Adesso che è arrivata so che dovrò mettermi sotto, forse anche più di prima, ma questo non mi spaventa.
Quanto può aiutarla, in questo processo, un coach come Kleinendorst?
Credo che la sua presenza sia fondamentale.
In che termini?
È un allenatore che ha una visione. Che vuole progredire giorno dopo giorno, accompagnandoti in questa direzione;
sicuramente pretende, e anche tanto, già durante gli allenamenti, ma sa riconoscere l'impegno ed è capace di valorizzare le qualità che ha a disposizione.
A proposito di qualità, quest'estate ne è arrivata tanta in via Galvani...
La squadra è forte, ma la cosa importante è che lo sia anche il gruppo.
E lo è?
Assolutamente. Si è creata grande complicità, già dal ritiro di Corvara, siamo andati sin da subito tutti quanti nella stessa direzione e penso che si sia anche visto in tante delle nostre uscite fin qui. Dal punto di vista personale mi trovo bene con tutti, si ride e si scherza, quando è giusto farlo, e poi si fatica.
Tante cose positive, ma la partenza in ICE non è stata delle migliori. Avete analizzato la sconfitta contro Salisburgo?
Ne abbiamo parlato ed è opinione comune che non siamo riusciti ad esprimerci al massimo, o meglio come è nelle nostre potenzialità. Sicuramente in Champions abbiamo tenuto alto il livello, mentre venerdì scorso siamo andati un po' a intermittenza.

Stiamo parlando della prima gara della stagione regolare, abbiamo tutto il campionato davanti e la possibilità di riscattarci immediatamente. Si riparte dalle cose positive, con l'idea e la volontà di non ripetere quelle negative. Abbiamo fatto tanti passi in avanti in queste prime settimane e un passo indietro non cambia di una virgola quello che è il nostro atteggiamento.
Di vittorie, sconfitte, e quant'altro, ne parta anche con papà?
Sicuramente. Per me lui è di grande aiuto. Non si è mai intromesso nelle mie scelte, mi ha sempre lasciato la libertà di decidere cosa fare o quale strada prendere. Per quello che succede in pista, però, le sue parole sono utili. Parliamo tanto delle partite, mi da dei consigli, mi dice quello che ho fatto bene e quello che ho fatto male, e questo vale parecchio
Ma la passione per l'hockey gliel'ha trasmessa più lui o nonno Hansjörg?
Tutti e due. Poi sai, a casa venivano spesso gli amici di mio padre, loro sapevano che anche io giocavo, mi raccontavano tante cose, e forse è stato in quelle occasioni che ho capito veramente che questo sport avrebbe fatto parte del mio futuro.
Tutti e due. Poi sai, a casa venivano spesso gli amici di mio padre, loro sapevano che anche io giocavo, mi raccontavano tante cose, e forse è stato in quelle occasioni che ho capito veramente che questo sport avrebbe fatto parte del mio futuro.

Guardando al domani, dobbiamo parlare anche di Nazionale. Com'è essere allenati da una leggenda come Jalonen?
Bello, stimolante. Con lui, ma anche con i suoi assistenti, De Bettin e Mair, puoi imparare davvero molto. È un'opportunità importante averlo come allenatore del Blue Team.
Restando in argomento, ci pensa alle Olimpiadi?
Ci pensano tutti, non solo io.
Per ogni giocatore italiano si tratta di un sogno e vediamo se riusciremo a far sì che diventi realtà.
Come ce la può fare?
Concentrandomi sul Bolzano.
Facendo bene con il Bolzano.
Se le cose andranno nel modo giusto in ICE Hockey League, sono certo che ci sarà l'occasione anche di vestire la maglia della Nazionale ai prossimi Giochi.