user_mobilelogo

Condividiamo un altro interessante articolo/intervista di Gerda HeideggerFabio Gobbato, quersta volta al #93 biancorosso, pubblicato sul portale d’informazione e social network altoatesino Salto.bz. "Qui mi sento come a casa"  - "Arrivato qui decisi di specializzarmi nella fase difensiva". 
QUI l'originale: (https://www.salto.bz/it/article/04032023/luomo-che-bloccava-i-dischi). Intervista bilingue al #93 dell'HCB Südtirol Alperia 13.02.2023

 

L’accento piemontese di Luserna San Giovanni, Val Pellice, 50 km a est di Torino, si sente ancora nitidamente. Ma Luca Frigo, 29 anni, alla settima stagione consecutiva con la maglia dell’HC Bolzano, può essere ormai considerato bolzanino d’adozione. “Sto veramente benissimo, qui”, dice. Molto amato dai tifosi, l’attaccante biancorosso qualche giorno fa si è aggiudicato il Premio Combattività - Gino Pasqualotto, assegnato dal portale HCBfans.net, con quasi il 36% dei voti. Ed è il caso di dire "era ora!", perché questo sembra proprio il "suo" premio, come proverà a farci intendere in questa intervista, Luca ad un certo punto della carriera ha capito che per restare ad un alto livello avrebbe dovuto specializzarsi in una fase specifica di gioco. E lui, attaccante, scelse di puntare sul miglioramento delle proprie caratteristiche difensive, fondamentali in uno sport dove si attacca e si difende in cinque. Nell’hockey, intercettare dischi, vincere le le battaglie negli angoli, chiudere le cariche, creare superiorità numeriche, bloccare linee di passaggio è importante tanto quanto indovinare un assist filtrante. Frigo è uno di quei giocatori lì, che si sacrificano per la squadra e sono apprezzatissimi in particolare dai coach. Ma l'attaccante piemontese fa anche parecchi punti: finora ne ha totalizzati ben 27 (14 goal e 13 assist). La specialità della casa è il gol in breakaway, la situazione di contropiede in cui il giocatore si trova a tu per tu con il portiere avversario, ma a differenza di quanto avviene nel calcio, è in realtà complicatissimo trovare poi lo spiraglio giusto.

Premiazione Frigo

Praticamente da “sempre” l’attaccante piemontese fa parte dello “special team” chiamato a “uccidere le penalità” quando la squadra è in inferiorità numerica. In quei due minuti di passione che non finiscono mai, Luca è il giocatore che "sta alto" e deve trasformare il proprio corpo in una sorta di magnete che attira i dischi scagliati dagli avversari. Dopo ogni ingaggio il pubblico del PalaOnda trattiene il fiato fino all’impatto della stecca con il puck e una frazione di secondo dopo, se il disco viene stoppato con il corpo, si sente dapprima il sospiro di sollievo collettivo e subito dopo si vede una moltitudine di sguardi che chiudono empaticamente gli occhi immaginando il dolore lancinante che deve provare il giocatore colpito, magari in una parte del corpo senza protezioni. Il fatto che ci sia chi programmaticamente si immola come un kamikaze è uno di quegli aspetti che fa amare alla follia questo sport. E i “ragazzi” che mostrano questo spirito di sacrificio sono di solito quasi idolatrati dai tifosi. Di qui, dunque il premio “combattività” a Luca Frigo. “Sono orgoglioso di averlo vinto – dice – perché è un premio per il quale votano i tifosi e i giornalisti specializzati. E’ nel mio stile di gioco da ‘guerriero’ bloccare i tiri, lavorare duro e sporco e quindi vincere il Premio Combattività mi rende felice sia per me stesso sia per le persone che mi stanno vicine e mi seguono".

salto.bz: All'età di 18 anni, la sua passione per l'hockey su ghiaccio l'ha portata negli Stati Uniti. Come è nata questa opportunità?

Ho giocato tre stagioni in Serie A con il Valpellice. Uno dei miei compagni di squadra era Trevor Johnson, che ha giocato anche nella Nazionale italiana, nel Ritten e nel Brunico. Mi ha chiesto di provare a fare una stagione negli Stati Uniti e si è offerto di aiutarmi. Ho accettato e ho deciso di provarci. Non c'era nulla da perdere, anzi, era una grande opportunità per me. Così, dopo la stagione in Italia, sono volato per una settimana dalla squadra di Muskegon per un provino. Purtroppo non andò bene. Un anno dopo si è ripresentata la stessa opportunità con una squadra di Omaha. Sono stato lì per due stagioni, che, rivalutandole oggi, si sono rivelate fondamentali per la mia carriera. Non avrei avuto l'opportunità di allacciare tutti quei contatti con persone e situazioni che ho avuto l'occasione di conoscere. Il livello è diverso, si gioca con giocatori molto bravi che hanno la tua stessa età, e questo mi ha aiutato molto all'epoca. Anche se qui in Serie A puoi giocare a 18 anni, la maggior parte dei giocatori è molto più grande di te. Per questo motivo non si gioca tanto e non si può sviluppare quanto si può fare in una Junior League americana. Tuttavia, per me è stato difficile il primo anno. Il mio inglese non era ancora molto buono, non capivo molto e non riuscivo a comunicare bene con i miei compagni di squadra. Per un breve periodo ho anche pensato di tornare a casa. Ma i miei genitori mi hanno sostenuto e incoraggiato. Uno dei miei compagni di squadra mi ha sostenuto molto in questo periodo e mi ha aiutato molto a migliorare il mio inglese. Credo che se non fosse stato per lui, sarei volata a casa.   

Perché sei tornato in Italia dopo i due anni?

Luca Frigo

(foto Salto-.bz) 


Mi sarebbe piaciuto rimanere lì. Dopo il secondo anno ho ottenuto una borsa di studio per la Minnesota State University, dove, per coincidenza, giocava anche Brad McClure. Se mi fossi trasferito in quell'università, avremmo giocato insieme anche allora. Il problema era che venivo pagato durante le mie stagioni al Valpellice. Una volta guadagnati soldi con l'hockey, è possibile giocare a hockey in un'università americana solo a determinate condizioni. Quindi l'unica opzione era quella di non giocare tutte le partite che avevo giocato con il Valpellice e di allenarmi con la squadra. Ma questo avrebbe potuto significare che mi sarei allenato per un massimo di quattro anni e non avrei giocato nemmeno una partita. Questo rischio era troppo alto per me ed è per questo che sono tornato in Europa. 

Quest'anno hai disputato la tua migliore stagione. Quale pensi sia il motivo?

A volte ci sono stagioni in cui le cose vanno meglio di quelle precedenti. Questa è una di quelle e spero che continui. Naturalmente c'è anche molto lavoro dietro. Un lavoro che inizia in estate, molto prima della stagione e fuori dal ghiaccio. Tutti noi volevamo fare meglio dopo la scorsa stagione. Questo ha certamente contribuito molto ai nostri risultati di quest'anno. Il desiderio di fare meglio rispetto alla scorsa stagione, forse anche di pensare ad arrivare in fondo al torneo, ci ha aiutato a ritrovare il mordente necessario. E va anche detto che quest'anno la chimica nella nostra squadra è semplicemente giusta. Andiamo molto d'accordo e il nostro allenatore Glen Hanlon sta facendo un lavoro eccezionale. Riesce a creare un'atmosfera molto piacevole e familiare. Ognuno di noi si diverte ad andare al palazzetto la mattina, agli allenamenti e alle partite. C'è un vero senso di comunità in cui ci si sente a proprio agio, come a casa.

Dopo questi sette anni trascorsi qui, puoi dire che l'HCB è diventata parte di te?

Mi trovo veramente molto bene qui. Quando sono arrivato a Bolzano, non sapevo cosa aspettarmi. In questo periodo ho conosciuto tante persone, anche fuori dallo stadio. Sono molto felice qui. Mi manca la mia famiglia, ovviamente, ma quando abbiamo qualche giorno libero posso sempre tornare a casa che dista solo quattro ore di macchina.

Frigo action

Prima dicevi che quest’anno, anche grazie al lavoro del coach, c’è un clima molto positivo nello spogliatoio. Sembra che tutti i nuovi arrivi siano di alto livello e che ci sia una perfetta integrazione con il gruppo storico degli "italiani". I giocatori stranieri che abbiamo intervistato finora dicono che qui a Bolzano c'è una situazione particolare e che di solito gli stranieri nordamericani fanno gruppo a parte. Qual è il segreto?

Sta funzionando tutto benissimo a partire da quando siamo stati a fare la preparazione a Corvara ad inizio agosto. A parte il fatto che i giocatori arrivati sono davvero di ottimo livello, sono anche ottime persone e questo all'interno di una squadra è fondamentale. Giocare con persone con cui vai d'accordo, che vedi volentieri anche fuori dalla pista ghiacciata, è una delle cose più importanti, secondo me. Sin da quando sono arrivato a Bolzano con gli altri giocatori italiani abbiamo sempre cercato di coinvolgere tutti in tutte le attività. Poi ovviamente c'è lo straniero che è abituato a farsi gli affari suoi e magari è più solitario ma non c'è problema. Però abbiamo sempre cercato di coinvolgere tutti, di far loro conoscere il territorio e le persone e farli sentire un po’ a casa. Come dicevo, io sono stato negli Stati Uniti due anni e i primi due mesi sono stato completamente da solo. So che non è facile integrarsi se non hai qualcuno che ti dia qualche dritta e che ti coinvolga al di fuori dello stadio. Perché allo stadio ci stai tre ore la mattina e poi il resto della giornata devi cercarti qualcosa da fare. I momenti extra hockey fanno in modo che si creino amicizie che poi magari durano nel tempo, o possono finire ad aprile, quello non lo puoi sapere prima. Ma stare insieme è comunque piacevole.

Diventa più facile bloccare un disco con il corpo se lo fai per un collega-amico.

(ride) . Sì, in effetti. Se c’è un buon clima nella squadra in quei sette, otto, nove mesi che può durare la stagione, il tuo compagno è anche un tuo amico, un fratello. Credo che siamo tutti qua per un obiettivo che è quello di arrivare fino alla fine. Poi c'è anche da dire che i giocatori che ci sono quest'anno sono davvero fortissimi.

Per chi conosce un po’ l’hockey l'espressione “bloccare tiri” fa un po' rabbrividire. Quando il disco viene stoppato con il corpo tra tifosi e giocatore scatta automaticamente l’empatia. Che capiti ogni tanto è normale, ma tu sei praticamente votato a questo tipo di situazione di gioco. Vocazione al martirio? Scherzi a parte: quanto fa male?

Sì, io quando sono arrivato a Bolzano sette stagioni fa ero ancora abbastanza giovane. Ero un attaccante ma mi sono detto che per restare in questa squadra importante mi dovevo creare un ruolo, dovevo differenziarmi un po’ dagli altri. E quello in cui sono sempre stato più bravo è proprio il gioco difensivo e, appunto, sacrificare il mio corpo per aiutare la squadra ad evitare di prendere gol. E credo che essermi specializzato in questo tipo di gioco mi abbia effettivamente aiutato a restare qua. L’ho fatto e lo continuerò a fare volentieri. Succede spesso di prendere il disco in parti non protette, e fa effettivamente abbastanza male. Si spera sempre che non sia nulla di grave, e, finora, sono stato fortunato da questo punto di vista”.

Dalhuisen Luca bimbo


(foto: grinta a confronto: Dalhuisen e Luca bambino)

Per un canadese iniziare a giocare a hockey è come per noi iniziare a giocare a calcio. Anche a Bolzano è piuttosto normale. Ma tu vieni da una famiglia veneta-piemontese. Come è andata?

Mio nonno, vicentino, si è trasferito a Torino per lavorare alla FIAT. Mio padre, che è nato a Vicenza, ha iniziato a seguire l’hockey a Torino e poi ci siamo spostati a Luserna San Giovanni che è in val Pellice dove c’è la squadra di Torre Pellice che all'epoca giocava in Serie A. Ho iniziato a pattinare a 4 anni e poi ho fatto l’avviamento all’hockey a 5 e il gioco con il passare degli anni mi è sempre piaciuto di più. Dico gioco perché alla fine rimane sempre un gioco, anche se adesso è un lavoro ed è diventato la mia vita. Da ragazzo ho avuto la testa, le capacità e la fortuna per andare avanti facendo quello che mi appassionava di più. Ho avuto poi la possibilità di giocare in serie A a 16 anni e poi di andare negli States.

L’hockey è uno degli sport più fisici tra quelli di squadra. Posto che rispetto a vent'anni fa è molto meno violento e quindi meno pericoloso per voi giocatori, quanto è contato questo aspetto nel far sbocciare la passione?

E’ un aspetto importante, ma fino a vent'anni fa o 15 anni fa, l'hockey era completamente diverso. Fortunatamente, penso io, il gioco adesso è più tecnico. Ovviamente il contatto fisico c’è, anche duro, ma non si vedono più le steccate e i ganci che volavano una volta. L'aspetto fisico dell'hockey a me piace molto perché magari ci sono momenti della partita in cui sei un po’ frustrato e se hai bisogno di sfogarti, di fare una carica, lo puoi fare. E questo aiuta davvero a liberarti.

Prima ha raccontato della sua esperienza negli States quando aveva 18-20 anni. Tolti gli scandinavi, sono pochi i giocatori europei a riuscire a farsi spazio in Nord America. Lì c’è un numero di praticanti molto alto, ma cosa fa veramente la differenza, secondo lei?

Il sistema è completamente diverso. Stando alla mia esperienza posso dire che quello che ha fatto la differenza per me e mi ha permesso di crescere molto in quei due anni è di aver potuto giocare con ragazzi della mie età. Qui magari arrivi presto in serie A o ad alto livello ma giochi subito con giocatori parecchio più grandi. Per questo è più difficile farsi spazio, e se non giochi tanto è difficile crescere e non maturi dal punto di vista tecnico e tattico.

In Italia l'hockey è uno sport che si gioca quasi solo nel nord Italia. Ci sono delle buone cornici di pubblico ad Asiago, a Brunico, ma non c’è copertura televisiva. Sky, fa vedere a tutte le ore gli sport più improbabili, e da quest’anno qualche partita di NHL. Comunque questo fa sì che gli sportivi che praticano sport più televisivi abbiano stipendi milionari, mentre voi decisamente no. Lei come se la vive questa cosa?

Incide, ovviamente, perché dedichiamo un sacco di anni a questo sport. E’ un lavoro a tempo pieno che non è considerato tale e quindi non ci vengono pagati i contributi e quello ovviamente per la futura pensione inciderà. Diciamo dunque che prevale la passione sull'aspetto economico. Finché ho la possibilità di giocare e mi diverto, lo farò. Ovvio che una copertura televisiva migliore aiuterebbe molto tutto il movimento hockeystico. Il fatto che manchi  è un peccato perché il nostro è uno sport bellissimo. Una volta che una persone viene a vederlo due o tre volte poi di solito se ne innamora. Peccato che la Federazione non sembri così interessata a farlo conoscere in tutta Italia. E' così purtroppoda sempre, non so se cambierà mai.

Luca bambino

Passioni extra hockey?

Con i compagni di squadra andiamo a fare giri in montagna. In estate vado spesso con la mountain bike. L’anno scorso ho fatto invece per la prima volta surf a Fuerte Ventura e mi sa che continuerò, perché mi sono divertito tantissimo. E’ molto più faticoso di quanto sembri.

Prima hai accennato a come ti sei avvicinato all'hockey. Anche sua sorella ha giocato a hockey a livello professionale. Può dire che questo sport è sempre stato molto presente nella tua famiglia?

Sì, sicuramente. Mia sorella ha giocato a hockey fino a qualche anno fa. Poi, purtroppo, ha deciso di prendere un'altra strada. Nell'hockey femminile, soprattutto qui da noi, purtroppo le opportunità sono limitate. Lei ci vedeva poco futuro e quindi ha deciso di dedicarsi ad altro.

I play-off iniziano tra pochi giorni. Come vi state preparando per queste importanti partite?

All'inizio della settimana non ci siamo allenati per due giorni per schiarirci un po' le idee. Gli allenamenti degli ultimi giorni sono stati molto faticosi per tornare in forma. Continuiamo a lavorare sui dettagli e sulla condizione fisica, perché nove giorni senza partite sono tanti, soprattutto prima dei play-off. È particolarmente importante ricaricare le batterie personali dal punto di vista fisico e mentale per essere in forma per la prima partita dei play-off di martedì. E naturalmente dobbiamo rimanere concentrati sull'obiettivo.

Il primo avversario dei playoff è indifferente, a questo punto? (La scelta avverrà stasera, domenica 5 marzo, ndr)

Contano vari fattori. Fehérvár ad esempio è un ottima squadra ma è lontana 10 ore di viaggio. Certo, è ovvio che si cerchi di affrontare una squadra che durante la stagione ha dato meno problemi. Tutte le squadre sono cresciute rispetto agli anni scorsi. Quest'anno abbiamo perso contro il Voralberg, abbiamo perso una partita contro Lubiana, abbiamo perso ad Asiago e quindi non si sa mai.

Salzburg è sicuramente l’avversario da battere. Ma quest’anno avete sofferto tantissimo il Villach.

Loro hanno uno stile di gioco molto offensivo, hanno sempre due giocatori alti, prendono il disco e lo buttano avanti e non so dire perché li abbiamo sofferti così tanto e ci hanno mandati in confusione. In attacco hanno comunque giocatori molto forti e di talento.

Frigo, il compianto giornalista Michele Bolognini adorava il suo stile di gioco e diceva sempre che lei nei playoff si esalta. Si sente in forma playoff?

Sì, mentalmente soprattutto, ho veramente voglia di iniziarli e arrivare alla fine. Voglio alzare di nuovo questa bellissima coppa.

Dove ti vedi dopo la tua carriera di hockey?

È una domanda che mi viene fatta spesso. Non so ancora se mi vedo nel mondo dell'hockey o in un altro campo. Tra qualche anno, quando la mia carriera sarà giunta al termine, spero di poter rispondere meglio a questa domanda.

Frigo ingresso2