lettura 8 minuti I due eserciti stranieri procedono praticamente appaiati.
Sulle aste sorrette dagli alfieri, in testa ai rispettivi battaglioni, sventolano colori ed effigi in contrapposizione.
Da un lato, mossj da una frizzante brezza quasi invernale, garriscono stendardi italici, dagli splendenti colori: il bianco ed il rosso. Dall’altro, lieve ma sostanziale difformità, quelli dei giganti ungarici: il bianco ed il blu.
Le marce dell’Armata Biancorossa e dell’Alba Volán, sul suolo nemico, non sono perfettamente sincronizzate. Ma lasciano margini all’alternanza, nell’andatura.
Questione di incollature. Manciate di centimetri che, per il momento, quando sono trascorse un terzo delle campagne in programma per questa stagione venatoria, creano una differenza quasi insignificante.
Ai margini del loro passaggio, in Stiria piuttosto che in Carinzia, nel Salisburghese piuttosto che in Tirolo, il popolo d’Austria - territorio eletto ad ospitare la tenzone - li vede sfilare, masticando soffusamente l’amaro boccone.
Nonostante in sottofondo si potrebbero percepire le eterne ed inconfondibili note di una melodia così cara a queste latitudini, quelle della Marcia di Radetzky, opera gloriosa di Johann Baptist Strauss, non sono austriaci gli uomini al comando delle operazioni.
Un dettaglio, ma importante. Allo stato attuale delle cose.
“Solo Clemente di Metternich saprebbe come opporsi a queste mire espansionistiche...”.
Non basta evocare il più grande statista austriaco di ogni tempo, capace di soffocare l’ambizione imperialista del giovane Napoleone Bonaparte, con la sola forza della diplomazia.
Al momento, la Lega mitteleuropea sorta da tempo nel Regno dell’Est, nella quale le delegazioni di quattro stati lottano da mesi per la supremazia, è in pugno agli stranieri.
E questa realtà non può essere tollerata a lungo dal board della Ice Hockey League.
Alle spalle delle due lepri in fuga, la muta dei cani al loro inseguimento si sta riorganizzando. Studiando le strategie vincenti. Che potrebbero ribaltare la situazione, quando marzo arriverà.
Dopo il break imposto dalle Nazionali, la ripartenza migliore è stata quella del Linz.
Durante questa pausa Philipp Lukas, leggendario ex giocatore ed ora head coach delle Black Wings, deve aver torchiato per benino le sue Ali Nere. Perché il loro avvio è stato esplosivo. Quattro vittorie consecutive, una più del solito altalenante Graz e due del Salzburgo. Quest’ultimo distratto dal consumo di energie profuse - anche molto bene, direi... - in CHL. Al quale, va comunque il merito di aver fatto suo anche il secondo scontro diretto con i Foxes, prima sconfitta esterna per loro, dopo i primi 60 giorni di Ice. Giusto per quel dovere di cronaca che dovrebbe far riflettere l’emergente popolo degli incommentabili scettici.
A parte questa sconfitta con i salisburghesi, che rimarrà assieme all’altra dello scorso 25 ottobre, nell’ambito della stagione regolare (un altro vivere rispetto ai playoff, voi che tendete a dimenticarvene...), dopo la parentesi azzurra le nostre amate Volpi hanno incamerato sette punti in quattro incontri. Si sono sempre dovuti dannare, per veder maturare gli interessi dall’enorme saldo positivo delle occasioni da rete avuti. Ma non hanno perso di vista i loro obiettivi, il progetto originale messo in cantiere - con grandi aspettative - nello scorso mese di agosto.
Dieci giorni fa, col Villach, è stata una vera e propria battaglia. Il secondo tempo dell’Armata Biancorossa sta diventando il momento del match dove riesce meglio a capitalizzare. Al netto dell’ampia differenza nei tiri in porta (38 a 20), nel confronto coi carinziani sono stati decisivi il fulmineo break imposto da Salinitri ed Helewka, nel periodo centrale, e soprattutto la splendida azione corale partita - a meno di 40 secondi dalla sirena finale - dall’impostazione di Valentine e Bourque, proseguita dal duetto tra Helewka e Gazley, e chiusa - con una perentoria stoccata finale nello slot - dal nuovo sceriffo di via Galvani: Chris DiGiacinto.
Guardatelo, se ancora non l’avete fatto. Perché quel gol racchiude il manuale dell’hockey.
Anche ad Innsbruck, venerdì scorso, la montagna biancorossa ha partorito il topolino.
46 tiri complessivi verso la porta difesa da un commovente Evan Buitenhuis. Gigantesco per 60 minuti effettivi. E piegato solamente dal talento di un giocatore che diventa straordinario, quando si struscia la lampada di Aladino che c’è in lui.
Vi basta esprimere il desiderio giusto. Ci pensa lui ad esaudirlo:
Brad MacClure.
Controllo del disco fuggito al controllo della linea difensiva, giravolta in velocità per inquadrare la porta, scelta dell’angolo da battezzare, gol pesante, anzi pesantissimo. Due secondi di sublime gesto atletico. Per due punti, che servono a mantenere la linea di galleggiamento.
Domenica scorsa, invece, il big match alla Salzburg EisArena è vissuto su momenti diametralmente opposti. Dopo il primo periodo, ammetto di essere stato attratto dal Lato Oscuro, ove si annida il popolo dei Perenni Insoddisfatti. Quelli che riuscirebbero a trovare dei difetti anche in Victoria Kjær Theilvig, la modella danese incoronata Miss Universo qualche giorno fa...
Bolzano troppo brutto ed inconcludente per essere vero. Sotto di tre gol dopo 20 effettivi.
Ma poi capace di sovvertire un destino che sembrava già segnato, con una convincente prova di carattere nel periodo centrale.
Matt Bradley rompe l’incantesimo con il solito gol d’autore. Che questo ragazzo riesce a dispensare, quando serve davvero.
Michele Marchetti potrebbe dare un’ulteriore accelerata alla rimonta.
Ma il suo siluro colpisce in pieno la traversa.
Che la partita sia stata completamente ribaltata, dal giusto atteggiamento sul ghiaccio tenuto dai biancorossi, lo capisce anche il deejay della EisArena.
L’assist al bacio, costruito sull’asse Adam Helewka-Simon Bourque, è splendido come Victoria.
Giordano Finoro lo raccoglie per castigare ancora e magistralmente Atte Tolvanen.
Passano due minuti o poco più ed il ventinovenne portiere di Vihti, bucolica comunità alle porte di Helsinki, si ritrova davanti uno dei suoi giustizieri più temuti: Dustin Gazley.
Il nostro è di Novi, Michigan. Sobborgo di quel che resta della celeberrima Motown, ovvero Detroit, la città fantasma.
Ma gli spettri, sul ghiaccio di Salzburgo, li vede solo il povero Tolvanen, fiocinato da Dustin con un disco che suona come una marcia funebre per tutto il Volksgarten.
Si torna incredibilmente sul risultato di parità, quando in molti avevano già dato il Bolzano per morto.
Il terzo tempo è come la roulette russa del film “Il Cacciatore”.
L’unica pallottola potrebbe essere destinata alle Lattine.
Ma Bradley colpisce la traversa ed è ancora Gazley a seminare il terrore davanti a Tolvanen. Senza cogliere però lo spiraglio giusto per il vantaggio esterno. Che sarebbe stato, di per sé, clamoroso.
Purtroppo, il colpo in canna è per i biancorossi. Messi al tappeto da un altro grandissimo giocatore della Ice: Ryan Murphy.
Sollevarsi dal ghiaccio, per cercare una nuova via verso la redenzione, è l’unica possibilità rimasta al Bolzano. Capace di creare nitide occasioni. Ma incapace, ahinoi!, di finalizzarle.
L’ultimo minuto serve solo per rianimare completamente il pubblico ed il deejay della città di Mozart. Attraverso i due gol a porta vuota che danno un’entità al risultato abbastanza diversa dalla realtà emersa nel match.
Se si potessero scegliere, come dicevamo, le partite intermedie della stagione da lasciare agli avversari, quelle fin qui giocate contro Salzburgo farebbero certamente parte del pacchetto.
I confronti decisivi inizieranno con l’approssimarsi della primavera. Non prima...
Venendo a situazioni più consone all’attualità, non si può non parlare del ritorno al Palaonda dei biancorossi, giusto mercoledì sera.
“Olimpià Olimpià”, come cantano i supporters del Lubiana, si è dimostrata ancora una volta degna di essere considerata squadra da Top Six.
Grandissimo avvio dei Draghi Verdi, privi del loro metronomo ed indimenticato ex Ziga Pance, con lunghi minuti di dominio territoriale, suggellato attraverso l’exploit di Miha Zajc.
Biancorossi invece in affanno, nell’inseguire il bandolo della matassa fatto girare vertiginosamente dagli sloveni, ma che ritrovano gli equilibri necessari quando finalmente riescono a ricomporsi.
Come già accaduto di fronte al guardiano del Fehérvár: Dominik Horvath, ed a quello dell’Innsbruck: Evan Buitenhuis, anche al cospetto di Lukas Horak i biancorossi debbono arrendersi all’evidenza dei fatti. Sulla loro strada spesso incombono portieri baciati da veri e propri stati di grazia.
Ieri sera il ceko “che guarda le spalle alla porta di Lubiana” ha sfoderato la prestazione delle grandi occasioni. È molto probabile, e non sarà certo un caso. Contro il Bolzano la volontà degli avversari pare essere sempre quella di voler uscire a testa alta dal confronto.
Bolzano ha pazienza, nonostante bisticci parecchio con quel maledetto disco. Che proprio non vuole proprio saperne di fermarsi nella rete, alle spalle di Horak.
Ci vogliono ben 34 minuti prima che gli alfieri dell’Armata Biancorossa rialzino i vessilli sopra le loro teste. Ed il merito non è del solito fenomeno in attacco. Ma del giocatore solido, come un convoglio di vagoni blindati: Scott Valentine. Con una sagitta scagliata dalla lunga distanza.
Lubiana è altrettanto solida. E determinata. A riprendersi quei tre punti che i biancorossi andarono a strappar loro una manciata di settimane fa nella Tana del Drago, la Hala Tivoli.
Potrebbe anche riuscirci, se quel vecchio marpione di Sabolic non fallisse l’occasione del secolo.
Gli ultimi secondi del terzo periodo, in superiorità, Bolzano li gioca con determinazione. Ma forse è venuto il momento di farsene una ragione. I biancorossi vivono il paradosso di riuscire a trovare gli spazi laddove se ne troverebbero meno. Ovvero a ranghi completi. In cinque contro cinque.
Lasciamo, per il momento, che gli special team avversari non abbiano difficoltà ad uccidere le loro penalità. Poi vedremo. Se avranno veramente ragione quei pochi detrattori. Oppure no.
Si va ai rigori. E tra eccellenti parate sfoderate da “San” Harvey e Lukas Horak emerge, dopo ben venti tentativi andati a vuoto, il Tocco del Male di Adam Helewka.
Il rigore decisivo del Tredici è molto più di un semplice atto liberatorio. Per i giocatori ed il pubblico. Al quale assiste anche un graditissimo ospite al Palaonda: Bernd Haake. L’uomo che, proprio alla fine del secolo scorso, condusse una squadra imbottita di ragazzini affamati di vittoria, a ledere le certezze che volevano l’Asiago campione d’Italia.
Chi vi scrive ricorda ancora molto bene l’espressione con cui il coach dei campioni mancati, Pat Cortina, lasciò sconfitto il ghiaccio dell’Hockey Club Bolzano. Il capo chino, l’espressione incredula, mascherata dagli occhiali appannati dalla condensa.
La festa si sposta immancabilmente, alla fine, sotto la balaustra dei Figli di Bolzano.
Oramai, anche i giocatori che sono a Bolzano da pochi mesi soltanto, hanno compreso che per festeggiare una vittoria in casa, posto più bello non c’è...