
224 giorni.
L’arco temporale entro il quale Kurt Kleinendorst ha potuto esercitare le funzioni di head-coach in seno all’Hockey Club Bolzano.
Una trentina di settimane, ad onor del vero, realisticamente balbettanti. Alla fine della fiera.
All’iniziale conforto, che aveva salutato l’annuncio ufficiale del suo ingaggio, lo scorso 2 maggio, erano seguiti apprezzabili giorni di tuono mediatico. Lungo i quali, numerosi esperti in rappresentanza di organi d’informazione specializzata misero a soqquadro le copie di sicurezza presenti nei loro hard-disk allo scopo di individuare l’aggettivo più spumeggiante per definire il suo auspicato arrivo ad Hockeytown.
A Corvara, immersa in un’atmosfera di montante aspettativa, il giorno dopo Ferragosto coach Kurt fece uscire dal garage della fase di preparazione un bolide biancorosso che, da subito, fece venire i lustrini agli occhi alle migliaia di appassionati sostenitori.
L’additivo nel sistema “two-ways”, implementato dall’head coach fresco di nomina, costituito da un sorprendente rigore tattico nelle uscite di zona ed una ferrea disciplina nella manovra in zona neutra, sia in possesso che all’inseguimento del disco, ancora non poteva e non sapeva neppure quanta potenza rilasciare nel nuovo motore dei Foxes.
Ma chi aveva buon occhio ed albergava da giorni in Badia, in attesa della prima uscita stagionale, non poté esimersi dallo sdoganare commenti alquanto incoraggianti in proposito.
Il contesto in cui prese vita il netto 5-0 sul Vipiteno, nel giorno del battesimo stagionale sul ghiaccio della sua creatura, diede ulteriore corpo e peso a contemporanee credenze popolari. Basate sulla persuasione di aver trovato in Kleinendorst il tanto atteso traghettatore dell’Armata Biancorossa. Quello in grado, giusto per capirci, di condurla senza troppi timori attraverso i tempestosi mari della Champions Hockey League. Facendola attraccare, a primavera inoltrata, giusto per non voler farsi mancare nulla, sul podio più alto della ICE. Dopo otto lunghi anni d’attesa dall’ultimo trionfo, avvenuto nell’oramai ancestrale Anno Domini 2018.
Aspettative corroborate ulteriormente dalla struttura del fiammante roster messo a disposizione del nuovo venuto. Nel quale, fidelizzati di lusso come Dustin Gazley o Brad McClure si miscelavano alla perfezione con new entry di assoluto spessore come Mark Barberio o Shane Gersich.
Il successo beneaugurale al termine del format estivo denominato Südtirol Summer Classic 2025, quello in cui Daniel Frank e compagni spazzarono dal ghiaccio due realtà consolidate dell’hockey continentale, come Norimberga e Plzen, cementò ulteriormente la convinzione che i biancorossi avrebbero potuto solcare quei mari con l’inedita consapevolezza di poter reggere ogni confronto.
Fu con questi auspici che uno degli Hockey Club Bolzano più sontuosi di sempre, in termini di mercato, affrontò l’esordio di CHL a Göteborg. Durante il quale i “pellerossa” del Frölunda diedero contorni più rotondi alla loro vittoria solo a 10 secondi dal termine, grazie all’empty net gol di Henrik Tommernes. Per un complessivo 3-0, certamente non stratosferico, se osservato attraverso il caleidoscopio delle rispettive qualità espresse sul ghiaccio.
Tenendo conto che pur sempre di hockey estivo si trattasse, la campagna biancorossa nell’Estremo Nord europeo proseguì il 31 agosto 2025.
Giorno che rimarrà negli almanacchi di settore come quello in cui i Foxes abbatterono per la prima volta le barricate nemiche in terra di Finlandia.
Lukko Rauma 3, H.C.B. 4.
Una vittoria di assoluto prestigio.
La rivincita, se vogliamo, di quell’episodio al limite del paradossale in cui ai biancorossi, in epoca di pandemia, venne negata una legittima qualificazione ai quarti di finale della CHL, siglata solamente sul tavolo dei burocrati. Non certamente su quello stesso ghiaccio, nel desolante silenzio metropolitano di Rauma.
In quella circostanza, l’aura che avvolse simbolicamente i contorni di Kurt Kleinendorst, divenne più luminosa che mai agli occhi di Hockeytown.
Il coach di Grand Rapids - Minnesota - assunse a sé ulteriore credito quando, al rientro al Palaonda per la terza giornata di CHL, il Bolzano riuscì a superare all’overtime anche i cecki del Kometa Brno, campioni in carica nel loro Paese.
Ad un certo punto, la qualificazione agli ottavi di finale di Champions sembrò effettivamente molto più concreta di una semplice utopia.
A metà settembre, poco più di tre mesi fa, il calendario ha cominciato a proporre impegni sempre più ravvicinati.
A causa del concomitante inizio della stagione di ICE Hockey League.
Nonostante tutto, sul ghiaccio del PalaOnda, leggenda metropolitana tenderebbe a far credere che il coach Kurt ed il suo staff alzassero e mantenessero costante il livello della tensione, anche nelle sedute di scarico. Sottoponendo la squadra ad una mole di lavoro ben più che importante.
Cosa che avrebbe dato vita ai primi presunti malumori all’interno dello spogliatoio.
Effettivamente, pur perdendo di netto due match consecutivi, sempre al Palaonda (sia contro Mountfield in CHL che all’esordio di ICE proprio contro i campioni in carica salisburghesi), a Feldkirch, lo scorso 19 settembre, il Bolzano è letteralmente esploso. Strapazzando per 6-0 il Vorarlberg e dando vita ad una felice serie di sei affermazioni consecutive, come quella casalinga su Lubiana, proseguita su ghiacci difficili come Klagenfurt, Linz e la stessa Salisburgo.
L’8 di ottobre, nell’ultima uscita casalinga di Champions contro Ingolstadt, in via Galvani il Bolzano è tornato sulla terra, incassando una sconfitta di misura (2-3).
Che, di fatto, ha estromesso il Bolzano dal prestigioso circuito continentale.
Un inevitabile periodo di offuscamento, a causa delle energie profuse in lungo ed in largo in Europa, ha cominciato a segnare negativamente la stagione biancorossa. Problema che, a ragione veduta, ha condizionato altre franchigie coinvolte sia in CHL che in ICE (vedi Salisburgo e Klagenfurt).
Il processo di crescita del team, elaborato da Kurt Kleinendorst, senza mai perdere di vista valori come: condotta, disponibilità, lavoro, abnegazione, costanza e - soprattutto - disciplina, ha subìto un primo pesante contraccolpo al termine del primo “imperdibile” derby della stagione, giocato a Brunico. E perso dall’head coach molto più nettamente del reale 5-3 finale.
Risultato, al termine del quale sono cominciate a filtrare le prime severe perplessità sul suo operato. Anche tra gli abituali supporters residenti sul territorio.

“Non si può giocare un derby senza combattere!”.
“Il coach non ha più la squadra in pugno!”.
“Alcune stelle tra i giocatori si stanno dimenticando di brillare!”.
Luoghi comuni, rimbalzati un po’ ovunque - anche sui social - e raccolti a random da coloro che, non avendone idea, li ritrasmettevano nel conciliabolo, giusto per buttarsi nella gazzarra dialettale.
Un fondo di verità, sussurrata a denti stretti, c’è e ci sarà sempre.
Anche nell’occhio di un ciclone.
Ed è cominciata così a circolare, quando anche gli addetti ai lavori più vicini alla società biancorossa - notoriamente schivi a rilasciare dichiarazioni sia a titolo personale che raccolte tra i corridoi del Palaonda - non sono stati più in grado di negare l’evidenza dei fatti, cospargendo di veridicità alcune delle molte chiacchiere circolate ad Hockeytown.
Nella stessa credenza popolare invocata poc’anzi, Kurt Kleinendorst non è stato più visto solido, al comando dello spogliatoio biancorosso. Bensì alla deriva, assieme al progetto tecnico, in un minuscolo guscio di noce. In balia di gigantesche onde. Di quegli stessi mari perigliosi di cui sopra.
L’ottima prestazione complessiva del Bolzano a Luleå, nell’ultimo impegno di Champions Hockey League, quello che verrà ricordato come la trasferta più settentrionale della sua storia, aveva parzialmente mitigato la plumbea atmosfera compressa attorno al coach statunitense.
Tanto è vero che il successivo rientro nei ranghi della ICE era stato accompagnato da tre successi consecutivi (Fehérvár, Innsbruck e Ferencvaros)
Il senso di crescente solitudine, sempre più netta e poco sopportabile, a fine ottobre si è ripresentato paradossalmente nell’animo di Kleinendorst dopo il clamoroso 9-1 con cui l’Armata Biancorossa aveva annichilito i Puschtra, nel trionfale derby numero 2 della stagione.
“Sono sicuro che se lo ricorderanno a lungo!”, aveva sentenziato il Dottore, con insolita eloquenza.
Non immaginando l’imminente blackout in arrivo. Che ha lasciato praticamente al buio i biancorossi per tutta la durata del mese di novembre. Durante il quale, nello staff tecnico sono emersi tutti assieme, impietosamente, limiti ed incertezze sempre più profondi nella conduzione della prestazione.
Sei sconfitte su undici incontri, “two ways” oramai di facile lettura per i tecnici avversari, una costante ma improduttiva superiorità nei tiri in porta (inequivocabile prova delle difficoltà avute in fase offensiva).
Ai quali si sono sommate le assenze per infortunio di uomini fondamentali (anche per il progetto tecnico).
Primi, fra tutti, quelli di Mark Barberio e Matt Bradley.
Dopo la sconfitta a Graz dello scorso 23 novembre, sul ghiaccio dei redivivi 99ers, si è registrata una settimana di tregua apparente, certificata con tre successi di fila (Linz, Innsbruck e Vienna).
Ma i titoli di coda, della sua breve esperienza a Bolzano, Kurt Kleinendorst li ha solo allontanati provvisoriamente.
Fino a quando, sotto per 3-1 a Villach a pochi minuti dalla sirena finale, le telecamere poste come avvoltoi all’interno della Stadthalle non hanno colto il fattaccio durante l’ultimo disperato timeout chiamato dal pancone biancorosso.
Quello che è costato definitivamente i gradi al comandante Kleinendorst.
Il velocissimo passaggio di mano, tra il coach e Matt Bradley, della lavagnetta magnetica.
Come a lasciar intendere: “Dai qua, ci pensiamo noi!”.
Un atto di conclamata sfiducia nei confronti del tecnico che, a quel punto, il board biancorosso non ha più potuto ignorare.
Il cerchio delle valutazioni, condotte dal Dottor Key e spese alla ricerca di un nuovo condottiero, si è stretto sempre più attorno al profilo di un uomo di provata esperienza. Di cristallina affidabilità.
Quello di Doug Shedden.
Dopo 224 giorni, 21 vittorie, 14 sconfitte, il crescente senso di solitudine e quella maledetta lavagnetta, lo scorso 12 dicembre Dieter Knoll ha posto fine all’odissea di Kurt Kleinendorst.
Mai lontanamente paragonabile a quella vissuta realmente da José Alvarenga, l’uomo che nel novembre del 2012 naufragò al largo delle coste del Messico, riuscendo a sopravvivere all’Oceano Pacifico per 438 giorni, prima di essere recuperato in prossimità delle Isole Marshall.
Subito dopo la vittoria in trasferta a Budapest, che ha officiato la fine anticipata del suo rapporto con l’Hockey Club Bolzano, il coach del Minnesota è tornato negli USA con la moglie. In tempo per assistere al matrimonio del figlio.
Ma il legame che, oggi come non mai, coinvolge direttamente ogni singola anima di Hockeytown è quello appena siglato tra una vecchia conoscenza del nostro hockey e la prima città europea presente nel suo curriculum vitae.
Ovvero tra Doug ed il suo primo amore nel Vecchio Continente: Bolzano.
Da giocatore, Douglas Arthur Shedden - nato in Ontario, a Wallaceburg, il 29 aprile 1961, centro dal profondo senso della posizione e del gol, esploso nella stagione ‘80-‘81 a Sault St. Marie, nei mitologici Soo Greyhounds, il club dove più che in altre onorabili metropoli del panorama nordamericano si respira quotidianamente l’hockey a 360 gradi -, ha saputo scalare gerarchie accessibili solo ai più grandi. Come il predestinato, il leggendario Great One, ovvero Wayne Gretzky. Che salì sulla giostra NHL dopo una stagione da favola, proprio a Sault St. Marie.
Shedden, sbarcato a Pittsburgh
dopo essere stato draftato dai Penguins al quinto round (93esimo assoluto) nel 1980, cominciò a percorrere i tunnel dei santuari della National Hockey League con lo spirito del guerriero. E quella sua naturale propensione alla lotta. Peculiarità che fecero di lui uno dei più temuti “sniper” della NHL, come testimoniano ancora oggi i 325 punti raccolti tra Pittsburgh, Detroit,
Quebec City e Toronto, in 416 incontri spesi per il bene di Penguins, Red Wings, Nordiques e Maple Leafs.
Dopo 10 anni esatti dal primo ingaggio ufficiale in NHL, Douglas Arthur fece le prime profonde riflessioni sulla sua carriera, dopo aver percepito che il suo fisico (un ginocchio, in particolare) non avrebbe retto a lungo sul palcoscenico del più grande spettacolo hockeistico del mondo.
Decise di cambiare aria. E scelse proprio Bolzano, mentre dentro di sè stava emergendo sempre più nitida la volontà di intraprendere la seconda carriera della sua vita: quella di allenatore.
Nel 1991-‘92, Bolzano era ancora ospite nel Palazzo di via Roma. C’erano Mike Rosati, Gino Pasqualotto, Bob Oberrauch, Bruno Zarrillo, Scott Young, Martin Pavlu...
Shedden diede il suo contributo alla causa biancorossa nel corso dell’Alpenliga del 1991 e della seguente stagione di serie A.

30 complessivi match, 23 gol e 20 assist. Numeri che non si collezionano per caso.
In quegli anni i Devils Mediolanum fecero incetta di trofei, compresi quelli di questa stagione.
Ma quello spicchio di carriera, speso ad Hockeytown, prima di concedersi una breve parentesi a Davos ed anticipare il rientro in patria per prendersi cura del suo malandato ginocchio, consentì a Doug di lasciare un segno pressoché indelebile nel cuore dei tifosi.
Gli stessi, un pelo avanti negli anni, che oggi benedicono il momento in cui Dieter Knoll, per il “dopo-Kleinendorst”, ha fatto cadere la sua scelta proprio sul suo profilo.
Dopo oltre trent’anni trascorsi sulla cresta dell’onda - tra tantissima Finlandia, Svizzera e Germania - il Doug Shedden head coach ha un bagaglio tecnico ed un’esperienza talmente importanti da poter già restituire ai bolzanini, ed ai biancorossi, quella fiducia e quegli auspici di vittoria svaniti negli ultimi due mesi di gestione Kleinendorst.
Shedden è accompagnato da una fama dai precisi lineamenti.
Uomo dalla personalità forte e decisa, tecnico che potrà apparire fin troppo duro e determinato al cospetto dello spogliatoio, il nuovo Messia del pacchetto tecnico dell’Hockey Club Bolzano ha fatto tesoro dell’intensità e del clima pugnace respirati da giocatore d’élite, creando dentro di sé la convinzione che quegli stessi valori siano perfettamente declinabili anche nel corso della seconda carriera della sua vita.
Le sue squadre hanno sempre lavorato duro, sia durante la normale practice settimanale che nei match ufficiali, giocando un hockey altamente aggressivo, spiccatamente offensivo, che rappresenterà un drastico cambio d’abito tecnico-tattico rispetto all’elaborato “two ways” proposto da Kleinendorst.
Il Bolzano, dunque, tornerà a rivestire lo storico ruolo della squadra costantemente proiettata verso la vittoria. Quello che tutti i tifosi hanno sempre conosciuto come l’unica vera priorità del team.
Tornerà a battere forte quindi il celeberrimo “Cuore Biancorosso”, almeno nei sogni e negli auspici di Hockeytown tutta. E la maglia tornerà ad essere onorata come in passato.
Prima di lanciare i suoi uomini all’attacco, per Shedden sarà imperativo avere lo spogliatoio dalla sua parte, facendo leva sulla tradizionale schiettezza (e la leale trasparenza) che hanno sempre contraddistinto il suo rapporto con i giocatori.
Chi non risponderà a dovere al suo stile di guida, a prescindere da chi esso sia, potrebbe seriamente rischiare di raccogliere le schegge sul pancone, o addirittura di languire in turnover, andando a sedersi sull’ultimo anello del Palaonda.
A far compagnia agli infortunati.
A proposito di quest’ultimi, apriamo il capitolo inerente alla ripresa della ICE proprio da coloro che sono costretti malauguratamente ai box.
Mark Barberio è ancora alle prese con noie muscolari non banali e dovrà pazientare qualche settimana prima di pianificare il suo rientro sul ghiaccio.
Gianluca Vallini, accasciatosi sul ghiaccio di Budapest a causa di un problema all’inguine, dovrebbe rientrare nei ranghi non prima di tre settimane. Un inconveniente non da poco. In considerazione agli straordinari che attenderanno al varco Sam Harvey prima che Jonny possa essere considerato nuovamente idoneo a ritornare all’hockey attivo.
In questo periodo, il ruolo di backup verrà ricoperto da Laurin Foppa,
giovanissimo goalie degli Unterland Cavaliers. Anche se non sono da escludere altre opzioni a riguardo.
Matt Bradley, infine, è l’unica nota positiva fuoriuscita nelle ultime ore dall’infermeria biancorossa.
Il virtuoso numero 67 è pienamente recuperato e farà il suo ritorno sul ghiaccio già da questa sera.
Il calendario della ICE proporrà i Black Wings Linz (ore 19.45) come primo capitolo della nuova gestione tecnica, firmata da Doug Shedden. Il quale dovrebbe essere sbarcato appena qualche ora fa a Bolzano.
Le “Ali Nere” di Philipp Lukas sono state invece costrette a surrogare la grave perdita per infortunio di Ryan MacKinnon, vera e propria colonna difensiva in questo primo scorcio di campionato, con Yohann Auvitu, 36enne francese, nel giro della sua Nazionale, con esperienze in NHL con New Jersey Devils ed Edmonton Oilers, diversi annate spese sia in Liiga che in KHL e le ultime tre stagioni trascorse a Vitkovice in Cekia.
Il Bolzano ha vinto i due precedenti confronti con il Linz (3-2 al Palaonda, 6-3 nella tana delle “Ali Nere”). Entrambe, viste le rispettive posizioni in classifica, avranno la necessità di riprendere il cammino in ICE con un prezioso bonus di punti.
Quello che conterà realmente, in casa biancorossa, sarà rendere più snello ed agevole possibile il secondo capitolo della “saga Shedden” al neo allenatore dell’Hockey Club Bolzano.
Dopo 224 giorni fatidici, è tempo di ripartire, caro vecchio Bolzano...