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Questione di cuore.

La storia dell’Hockey Club Bolzano è permeata da prospetti unici ed irripetibili.

Che non verranno mai dimenticati.

Uomini che seppero indossare la maglia biancorossa con genuino orgoglio. Con impareggiabile stile ed abnegazione. Onorandola in un solo modo: Dando il massimo. Sempre. 

 

Fino all’ultima sirena. All’ultima stilla di sudore.

Atleti di cuore, generosi ed altruisti, capaci di allenare ogni giorno anche l’istinto di andare in soccorso dei propri compagni. In ogni circostanza.

Giocatori che abbiamo rimpianto come non mai, quando decisero di proseguire altrove la loro carriera. Amati ed odiati in pari misura. Ma sempre rispettati.

Anche per quel loro insito rifiuto di non voler mai cedere alle lusinghe delle individualità e del narcisismo. Ma sempre concentrati.

Nel voler perseguire il solo ed unico “bene della squadra”. Quello collettivo.

Oggi, vorremmo concedere adeguato spazio della nostra rubrica, parlando di uno di loro.

Per tentare di capire la profondità ed il senso di un emblematico concetto.

Ovvero, il saper “giocare con il cuore”.

Similitudine che vorremmo accompagnasse sempre le prestazioni di chiunque indossi la “pesantissima” maglia biancorossa.

Restiamo nel solco tracciato nella puntata precedente, quella dedicata a Gino Pasqualotto ed al suo impareggiabile cuore, volgendo lo sguardo ed il nostro interesse su un eterno ragazzo. I cui segni particolari della carta d’identità agonistica sono i seguenti.maglie dedica

1091 partite ufficiali, 654 reti e 790 assist, 1444 punti complessivi, raccolti dal 1984 fino al fatidico 19 febbraio 2008, giorno della sua ultima apparizione ufficiale, sul ghiaccio di Pontebba.

Sette scudetti, due Coppa Italia ed una Supercoppa italiana. Miglior marcatore della serie A in due circostanze. Ai quali, si aggiunge un inesauribile inverno, trascorso indossando la maglia della Nazionale (244 presenze, 54 reti e 77 assist: record assoluto). Conclusosi solamente il 21 febbraio 2006, a 40 anni passati, durante le Olimpiadi invernali di Torino. Dopo un combattutissimo 3-3 contro la Svizzera.

Stiamo parlando del “Falco di Gallio”. Al secolo: Lucio Topatigh.

Dinamico, potente, inesauribile, con la sua classica andatura “a pendolo” - spalle basse ed inconfondibile compasso della pattinata, ampio e tambureggiante - per Lucio l’hockey è stato amore al primo sguardo. Un vero e proprio atto di fede. Che lo ha portato ad interpretare il ruolo dell’attaccante in modo unico, distante anni luce dagli abituali parametri della sua epoca.

Più il match cresceva d’intensità, più Lucio aumentava i giri del proprio motore.

Sollecitando ancor più i suoi muscoli. E, soprattutto, il suo cuore.

E più il confronto si faceva duro, al limite della sostenibilità, più lui si sentiva a suo agio.

Il suo furore agonistico e la sua concentrazione erano tali da non lasciare alcun dubbio in merito.

Quando serviva il suo inconfondibile apporto, per spostare un match in favore del suo team (non vi era alcuna differenza se fosse l’Asiago, il Bolzano, i Devils o la Nazionale), sul ghiaccio Lucio andava a caccia del disco come uno spietato predatore.

Nessun altro giocatore di scuola italiana, e moltissimi suoi colleghi europei o nordamericani, hanno avuto lo stesso impeto - e soprattutto, lo stesso coraggio - nel fiondarsi negli angoli per la contesa del puck. Cosa che per Lucio Topatigh era invece di normale amministrazione.

Simioni Topatigh

 

Mario Simioni e Lucio (1985)

Un carattere marmoreo ed uno stile inimitabile.

Già da quando, nell’estate del 1984, il suo cartellino venne rilevato dall’Asiago, lesto nel non farsi soffiare un talento del genere da qualche affamato team cittadino.

Bastò la stagione del suo esordio in serie A (1984-‘85) per presentarsi, con tutti gli onori, alla platea composta da critici di settore ed appassionati.

In quella stagione l’Hockey Club Bolzano dominò la concorrenza grazie alla qualità dei suoi imports (Dale Derkatch, Bob Sullivan e Bruno Baseotto). Unita al fiuto manageriale di una figura rilevante come Ron Chipperfield. Il quale, non potè non accorgersi di quella indemoniata maglia stellata numero 27, che sbuffava e combatteva sul ghiaccio.

Come se non ci fosse stato un domani.

Lucio Topatigh, il Falco di Gallio, arrivò in Nazionale già a vent’anni. Debuttando a Berlino contro la Germania Est il 21 dicembre 1985. E segnando la prima rete in azzurro proprio durante la replica del giorno dopo, tra le stesse Nazionali.

La primavera successiva, Lucio si battè per la conquista del suo primo titolo tricolore assieme ai suoi compagni asiaghesi.

Sull’altro lato dell’arena ghiacciata: il Merano Lancia.ITA vs USA

Quello poco meno che stratosferico (Marco Capone, Bob Manno, Dave Tomassoni, John Bellio, Grant Goegan, Tom Milani, Mark Morrison, Frank Nigro...), guidato da un brillante - e compianto - head coach: Bryan Lefley. 

Che, in semifinale, liquidò di misura (5-4) il Bolzano in via Roma, grazie al malefico rovescino senza pretese di John Bellio, quello che oltrepassò un’incredibile selva di gambe prima di sorprendere a fil di palo un incredulo Giorgio Tigliani.

Merano poi chiuse in via Mainardo la pratica coi cugini, in un match senza storia (6-3), che spianò una corsia preferenziale verso una finale per soli cuori indomiti. Ad alto tasso agonistico.

Habitat naturale di un atleta dall’istinto predatorio come Lucio Topatigh.

Un epilogo che arrise però al Merano ed a Mark Morrison (miglior marcatore della stagione) e rispecchiò il loro incontrastato dominio nella fase di qualificazione.

Hockey Club Merano 1985 86

 

HC Merano 1985/86

Con lo spirito di un veterano, il già celebrato numero 27 dell’Asiago tentò in tutti i modi di fare lo scalpo anche alle stelle meranesi. Trascinando i compagni verso il netto 5-2 casalingo di gara 2. Che pareggiò il 7-3 del Merano in avvio della serie “best of three”.

Nell’ultima e decisiva gara 3, Lucio si scatenò nel secondo tempo. Riaccendendo una contesa già segnata. Al 14’ del periodo centrale Topatigh bucò Marco Capone per il 4-2 interno e qualche istante dopo andò vicinissimo a realizzare il 4-3.

Quel Merano, però, fu un team supportato dalle innumerevoli soluzioni offensive.

Morrison e Nigro ripresero in pugno la situazione (Merano chiuse sul 10-6) permettendo al loro team di lanciare una comoda volata verso il suo primo agognato scudetto.

La prima fase della maturità agonistica, il Falco di Gallio la spese a Bolzano. Dove arrivò subito dopo lo scudetto sfumato a Merano. 

A 22 anni Lucio fu uno dei principali protagonisti dello Scudetto della Stella, quello maturato nella stagione ‘87-‘88.HCB 87 88

Kent Nilsson, Mark Pavelich, Mike Zanier, Bruno Baseotto, Martin Pavlu, Norbert Gasser, l’Immenso Gino...

Ma, in un contesto del genere, Topatigh riuscì comunque ad emergere. Ed a lasciare una traccia molto più che tangibile in quel campionato. Al termine del quale mise nell’armadietto il primo dei suoi sette scudetti. E cementò quell’amicizia, che ancora oggi ha sia un senso che un valore. Quella proverbiale, che legò indissolubilmente Lucio a Gino “Crazy Horse” Pasqualotto.

Uomini d’incomparabile cuore. Sul ghiaccio, come nella vita.

Un esempio su tutti.

Stagione del Giubileo: 1999-‘00: il “Falco di Gallio” è tornato definitivamente ad Asiago.

Nonostante i molti titoli conquistati, la gloria e gli onori raccolti ovunque, Lucio torna ad indossare la maglia giallorossa con un preciso scopo. Vincere l’ultimo titolo della sua folgorante carriera, dove tutto ebbe inizio. A casa sua.

rossa 27La drammatica crisi economica, nella quale sono sprofondate la maggior parte delle franchigie della serie A, costringe l’organo federale ad “accomodare” di conseguenza il regolamento.

Un solo giocatore straniero a referto, nessuna eccezione.

In questo modo, i roster vengono imbottiti con la meglio gioventù sul panorama nazionale.

In un clima di opprimente austerity, l’Asiago di Pat Cortina domina letteralmente sia la regular season che la seconda fase, vincendo la bellezza di 35 incontri su 36.

Lucio Topatigh ed il centro bielorusso Alexander Galtcheniouk fanno sfracelli.

Sembra che non vi sia scampo per il resto delle concorrenti.

Ma ai playoff, accade qualcosa al limite dell’illogico.

Asiago regola per 3-0 sia il Valpellice ai quarti che il Fassa in semifinale. E si accomoda davanti al caminetto, in attesa di conoscere quale sarà la sua avversaria nella finalissima.

Mentre gli stellati si crogiolano al caldo, nell’altra semifinale Alleghe e Bolzano danno vita ad un gelido duello mozzafiato.

Nella serie, gli agordini si portano addirittura sul 2-0, al termine di due gare ad altissimo contenuto emotivo. In gara 1 si impongo al Palaonda per 5-4 all’overtime, replicando per 2-1 in casa.

Bolzano ha le spalle schiacciate contro il fatidico muro. E non può più sbagliare.LucioBN

Ed è proprio in quell’istante che emerge il celeberrimo Cuore Biancorosso.

Brian Loney, soprannominato “Baby Face” per i suoi lineamenti alquanto giovanili, trascina letteralmente il Bolzano alla riscossa. Sostenuto specialmente da Daniele Giacomin, Stefan Zisser, Christian Alderucci, Armando Chelodi, Mario Nobili e Kiki Timpone.

Gara 3 è senza storia. Il Bolzano passa al PalaOnda vincendo per 7-1, riaprendo la serie.

Ad Alleghe gara 4 è una sorta di demoniaca partita a scacchi. La posta in palio è altissima per entrambe. Il dilemma sulla strategia da adottare non viene sciolto nei tempi regolamentari. E nemmeno all’overtime. Il risultato resta ancorato sullo 0-0 iniziale. E solo la drammatica lotteria dei rigori concederà al Bolzano di tornare a casa con il fondamentale punto della parità.

Il 30 marzo 2000, al Palaonda i biancorossi fanno saltare il banco della semifinale. Respingendo al mittente le ambizioni dell’Alleghe. Sconfitto nettamente per 10-3.

Un’occasione irripetibile di vedere due squadre venete contendersi lo scudetto, gettata all’aria dalla resilienza e dalla determinazione del grande Cuore Biancorosso.

A Lucio viene servita la finale perfetta.

Quella che avrà di fronte sarà proprio la squadra che lo ha definitivamente svezzato. Proiettandolo in un’orbita dove solo i più grandi hanno ragione di esistere.

Ma il buon “Topa” non può lontanamente immaginare quello che gli riserverà l’immediato futuro.

La pressione di chi sa di dover vincere a tutti i costi, a quel punto dilania le certezze dell’Asiago.

Lucio falco 27Nemmeno l’immensa generosità spesa costantemente sul ghiaccio dal mitologico “numero 27” viene in soccorso agli uomini dell’Altopiano.

Che, nella serie di finale, al meglio delle cinque partite, vanno subito sotto 2-0.

Bolzano passa all’Odegar per 2-1. Poi, in gara 2, ci pensa Kiki Timpone a far esplodere di gioia il Palaonda, nei minuti elettrizzanti dell’overtime.

Bernd Haake, il tecnico di Bielefeld sul pancone dei “cavallini” biancorossi, tiene sotto scacco la regina giallorossa. La quale, beneficia di una noia fisica capitata al goalie dell’Hockey Club Bolzano, Günther Hell, per incasellare il punto della speranza nella griglia della finalissima.

Enrico Turetta, il giovanissimo backup che prende momentaneamente il suo posto, viene bombardato con pura frustrazione da Lucio e Compagnia.

Il Bolzano sa benissimo che il 10-0 che è costretto ad incassare è frutto delle circostanze.

Due giorni dopo, infatti, regolerà i conti al Palaonda (5-2), aggiudicandosi clamorosamente lo Scudetto del Millennio. Senza poter contare su Daniele Giacomin e Christian Alderucci, fermi ai box, facendo leva solo sul fuoco dell’agonismo che arde nel cuore di giocatori come lo stesso Kiki Timpone, l’immancabile topscorer Brian Loney e l’Uomo Ovunque: Armando Chelodi.

Lucio Topatigh e tutta Asiago sono sotto shock.

Smaltita nei mesi estivi la grande delusione, per uno scudetto letteralmente gettato nell’umido, gli “stellati” riprendono il cammino in serie A. Dove lo avevano bruscamente interrotto.

Altro dominio incontrastato, sia in regular season che nei playoff. Un percorso netto che catapulta l’Asiago in finalissima. Dove Lucio troverà un’altra piazza a lui cara. Ovvero la rediviva Milano. Non gli amati Devils, oramai in disarmo, ma i Vipers. Veri e propri outsider della stagione.

Questa volta il “Topa” non può e non vuole fallire. Lo deve al team che lo ha cresciuto. Alla sua gente. Costi quel che costi.

La finalissima è equilibrata, molto più della precedente. Lo dimostrano i risultati delle singole sfide, particolarmente stringati. L’Asiago spinge subito la serie sul 2-0 in proprio favore. Ma i vicentini sprecano ai rigori il match-point all’Odegar.

Gara 4 rimarrà invece nel personale curriculum vitae di Lucio Topatigh, come la soddisfazione più grande della propria carriera, raccolta in una notte che poteva severamente rimettere ogni scudettato discorso in discussione.

Accade tutto al 7’ del primo tempo.

Nel pieno del consueto furore agonistico che lo pervade, Lucio subisce un paio di pesanti cariche. Un’intensa ed improvvisa fitta di dolore gli scuote un ginocchio ma, come se niente fosse, Topatigh ci pattina sopra, deciso a non farsi minimamente condizionare dall’accaduto.

Il legamento crociato è andato. Il medico ed il massaggiatore fanno del loro meglio per lenire le conseguenze del grave infortunio. Ed il “Falco” tira dritto per la sua strada. Focalizzando nella sua testa unicamente l’obiettivo che lo spinse tempo addietro nel ripercorrere la strada verso casa.

Lucio stringe i denti. Il match si conclude sull’1-1, che rimane tale anche al termine dei supplementari. Saranno i tiri di rigore a decidere Gara 4.

giornale AsiagoNella sua carriera Lucio Topatigh, il “Falco di Gallio”, l’uomo tutto muscoli e cuore riconosciuto dagli esperti come il giocatore italiano più forte di tutti i tempi, entrato di diritto nel dicembre del 2014 nell’Olimpo della Hall of Fame, premiato nell’aprile 2021 dal CONI con la medaglia d’oro per meriti sportivi, che ha visto salire fin sul tetto dell’Odegar la sua “27” ritirata dalla società, si è sempre preso la sua quota parte di responsabilità “per il bene collettivo”. E, anche in questa circostanza, non vuole smentirsi.

Indica al suo head-coach, Benoit Laporte, l’Uomo di Montreal che ha indissolubilmente legato il suo nome alla storia del club asiaghese, la disponibilità ad occuparsi del primo rigore.

Scende sul ghiaccio e trafigge Fabrice Lhenry.

La giostra prosegue, ma i Vipers commettono due errori fatali con Bob Lachance e Maurizio Bortolussi. Sarà quindi Alexander Galtcheniouk a non fallire il rigore decisivo. Dando  il fuoco alle polveri, ad una festa attesa fin troppo a lungo.

Bill Meltzer, website writer accostato anche ai Philadelphia Flyers, firma autorevole e profondo conoscitore degli usi e dei costumi, come delle franchigie e dei suoi appartenenti, sia dell’inavvicinabile galassia NHL come dell’hockey internazionale, con una definizione semplice ma illuminante delineò alla perfezione il profilo di Lucio Topatigh: “Se fosse stato un calciatore, in Italia la sua carriera venticinquennale sarebbe stata leggendaria”.

Al Bolzano attuale, salito su una sorta di ottovolante prestazionale dopo la magica notte del derby di Halloween, provocando una leggera nausea sia all’interno della società che negli ambienti legati ad Hockeytown, servirebbe come il pane un additivo motivazionale come il Lucio Nazionale.

 

E magari anche uno “sceriffo” come Gino.

Per sistemare a modo i reparti. 

Scuotere d’entusiasmo e vitalità il sacro fuoco dello spogliatoio.

E, in ultima battuta, mettere le cose in chiaro con il resto della concorrenza.

Mai accaduto, prima di questa stagione, che la classifica esprimesse in modo lampante lo sviluppo delle operazioni.

Nessuna particolare egemonia. Ma un gruppo che si muove compatto all’interno dell’area riservata alla Top Six. Segno di un profondo livellamento, verso l’alto, dei valori gettati sul ghiaccio.

Si può osservare, senza sollevare scandalo alcuno, che siano cinque le franchigie che stanno gettando le proprie ambizioni sul panno verde della Lega. In seguito, ci penserà il macinino del format finale, quello dei tradizionali playoff, a tritare per benino la compattezza del gruppo di testa.

In vista dell’imminente giro di boa della regular season, gli equipaggi di Val Pusteria, Graz, Lubiana, Klagenfurt e Bolzano stanno manovrando per acquisire l’ordine di priorità della virata.

I biancorossi hanno recuperato nell’ultima settimana molti dei punti scialati malamente nel loro mese di novembre in chiaroscuro.

Il Graz, giusto per fare qualche esempio, è riuscito a superare indenne per due volte le trappole tattiche volute dall’head-coach Kurt Kurt.

Passando ai rigori al Palaonda e molto più nettamente sul ghiaccio di casa, al Merkur Eisstadion.

Nella doppia trasferta “on the way”, quelle degli scorsi 12 e 14 novembre contro Fehérvár e Lubiana, il Bolzano ha raccolto solo un punto in Ungheria.

Poi, nella casella biancorossa, sono entrati in classifica quattro balsamici successi (Vorarlberg, Linz, Innsbruck e Vienna). Che non hanno del tutto dissolto in via Galvani qualche persistente nuvolone nero, specialmente lungo il corridoio degli spogliatoi.

Ai piani alti della Sparkasse Arena, l’insipido novembre, in termini di prestazioni, non è passato inosservato. E, al centro del mirino, era parzialmente finita anche la sagoma dell’head-coach.

 Dieter Knoll, al pari dei suoi omologhi d’Oltrebrennero, è costantemente vigile sul mercato. Alla ricerca di valide alternative anche nel malaugurato caso che l’infermeria bolzanina fagocitasse definitivamente qualche sfortunato protagonista.

Stando alle scarne indiscrezioni filtrate dai media nelle ultime settimane, il perdurare della degenza di Dylan Di Perna e Mark Barberio aveva consigliato lo staff del Dottor Key di prevedere eventuali contromisure nel caso di loro sostituzioni in corso d’opera.

Una consumata e generalizzata prassi del sistema, nulla di più.

Il rientro nei ranghi del numero 45 è stato certificato domenica scorsa. In occasione del Family Day contro Vienna. La stessa società biancorossa, attraverso il proprio addetto stampa, Luca Tommasini, ha ipotizzato anche per Dylan Di Perna un imminente ritorno all’hockey attivo.

Un dato, comunque, è certo.

Anche nelle ultime uscite in ICE Hockey League, il team ha mantenuto invariato un importante parametro. Quello relativo al computo dei tiri in porta.

DDopo il saldo negativo raccolto lo scorso 14 ottobre in CHL a Luleå, nelle 14 successive uscite di ICE il Bolzano si è sempre dimostrato superiore all’avversario.

Peccato che, in questo momento della stagione, la precisione nelle conclusioni a rete non sia eccelsa. Come accaduto nell’uscita di mercoledì sera alla Stadthalle di Villach. 

Un match lasciato nelle mani dei carinziani, a causa di un improvviso blackout biancorosso nel secondo periodo. Nel corso del quale i padroni di casa sono andati a rete tre volte in soli due minuti effettivi.

Sconfitte come queste non contribuiscono certo a migliorare il grado di autostima nel gruppo. E non aiutano certamente a dissolvere i dubbi su qualche elemento del roster. 

Il Bolzano proseguirà oggi a Vienna il suo frenetico tour europeo (tre match in soli cinque giorni), che si concluderà domenica pomeriggio a Budapest, contro i padroni di casa del Ferencvaros. 

Per mantenere l’attuale quota periscopio i biancorossi devono necessariamente tornare a vincere. E trovare un’accettabile continuità della loro velocità di crociera.

La fase regolare ha quasi esaurito metà del suo percorso.

Coach Kleinendorst ha ancora tempo a disposizione per apportare correttivi che a questo punto sembrano imprescindibili. Ma le lancette del suo orologio stanno viaggiando inesorabilmente...