Andrea ci guida attraverso le sensazioni che turbinano attorno al mondo dell'hockey con l'avvicinarsi dei playoff. Si combatterà, senza esclusione di colpi, per guadagnarsi un posto al turno successivo e prolungare eccitazione ed emozioni, se possibile, fino alle gare di finale.
Is this the real life? Is this just fantasy?
Il guardiano del tempio è alle prese con il suo classico giro di perlustrazione prima di far ritorno ai suoi appartamenti.
Dietro di sé non ha lasciato nulla al caso.
Come ogni notte, abbaini, finestre e lucernari di quell’Olimpo dal tetto ondulato sono stati scrupolosamente controllati.
Quell’uomo, dall’immarcescibile aspetto, sta applicando lo stesso protocollo anche nei sotterranei, a pelo della pista ghiacciata. Tutte le porte, anche quelle antincendio, che portano all’esterno, sono già state rigorosamente ispezionate.
Quando manca all’appello solo il lato corto corrispondente alle uscite anteriori, la vibrazione del cellulare ha il malaugurato effetto di deconcentrare il sorvegliante.
Solo per un paio di secondi.
In fondo si trattava soltanto di dire alla moglie che sarebbe rientrato da lì a qualche minuto.
Una banale fatalità.
Ma sufficiente perché non si accorgesse di aver tralasciato al suo controllo proprio l’ultima porticina del settore ospiti. Lasciata oramai alle proprie spalle... leggermente socchiusa.
Quando si ritrova al cospetto della propria autovettura, l’uomo ha il pensiero fisso sul tepore che troverà ad attenderlo, una volta superato l’uscio di casa. Senza lontanamente immaginare ciò che accadrà nelle ore successive. A causa della sua ineluttabile dimenticanza.
Davanti a quell’occultata porticina di servizio, pronta a cogliere l’occasione di spiccare il volo oltre l’impercettibile lembo d’aria libera tra sè ed il suo stipite, c’è una lunga fila invisibile. Composta da elementi emozionali, non da persone. Pronti a scattare verso l’esterno della leggendaria struttura.
Pensieri e ricordi, sussurri e grida, gioie e preoccupazioni, certezze e perplessità.
Senza riuscire a contrapporre un’attendibile spiegazione scientifica allo scetticismo, fin dal tempo oramai remoto in cui il Padiglione 1 della Fiera Campionaria di Bolzano funse da palaghiaccio della città, qualcuno aveva magistralmente dato corpo ad una storia alquanto inverosimile.
Ovvero che, superata la soglia tollerabile della loro quantità in un determinato spazio e ad una determinata temperatura, le emozioni rilasciate dagli umani attraverso i propri lobi temporali divenissero improvvisamente percettibili.
In quella notte di fine febbraio stava accadendo proprio questo.
In uno spazio non propriamente banale, la cui temperatura veniva costantemente stabilizzata da un moderno impianto di raffreddamento.
Quello spazio altro non era se non il palazzo del ghiaccio di via Galvani...
Una lunga fila di emozioni, accalcate in prossimità di quella piccola ma significativa via d’uscita verso la libertà, era pronta a far crollare miti e certezze, a dare finalmente spessore a moltissime voci di corridoio come a molteplici sospetti, fin tanto anche a qualche maliziosa diceria.
Sarebbe bastato attendere l’indomani, quando ignari cittadini avrebbero percepito involontariamente quel volume emozionale così importante.
Una pazzia, si potrebbe pensare.
Ma come cantavano i Queen, nella loro immortale Bohemian Rhapsody, a volte è più suggestivo credere alle favole piuttosto che alla vita reale.
Come quella volta, al celeberrimo bar Margherita di via Roma, proprio davanti al palaghiaccio e più o meno alla fine anni Ottanta, quando un avventore abituale residente in una palazzina affacciata su via Novacella attirò parecchie attenzioni su di sè. Sostenendo che, nelle notti di fine inverno, il Padiglione 1 si animasse improvvisamente.
Dal nulla, sbucando da una nube di condensa più decisa del solito, due squadre di hockeisti facevano la loro comparsa sul ghiaccio. I loro contorni non erano netti, ma mossi da una lieve dissolvenza.
“Saranno mica stati fantasmi?”, sentenziò qualcuno.
A quella domanda l’avventore non rispose mai. Lasciando che fosse il suo silenzio assenso a dar corpo alle proprie fantasie. Ed a fare presa sugli altri.
Capitò quindi che, altre persone - alla ricerca di risposte concrete a quella che a tutti gli effetti fu sempre e soltanto una semplice chiacchiera da bar, alimentata pure da qualche superalcolico - si appostassero intorno all’area espositiva della Fiera di Bolzano. In cerca di semplici indizi.
Qualcuno si mise anche nei guai. Perché sorpreso, in una notte di luna piena, in un’area sorvegliata. Da qualche metronotte a bordo della propria bicicletta.
Restò il fatto che nessun’altro vide o sentì qualcosa di totalmente anomalo. Ma intanto la leggenda metropolitana si generò. E resse nel tempo. Come il Mostro di Loch Ness.
Gli spettrali hockeisti di via Roma, comunque, non erano nulla in confronto a ciò che sarebbe accaduto a causa di una semplice porta socchiusa.
Il giorno dopo, senza un apparente motivo, moltissime persone abbandonarono il proprio posto di lavoro, saltarono l’appuntamento dal medico di famiglia o dal proprio assicuratore, non passarono al supermarket del proprio quartiere per approvvigionarsi.
Attirati misteriosamente. Da tutti quegli elementi emozionali che da ore stavano serpeggiando ovunque. In città ed altrove. E che li avevano fatti confluire in massa. Proprio davanti al grande murales della Sparkasse Arena. Dedicato all’Immenso Gino.
Un distinto imprenditore di Viterbo, lo sguardo un po’ abbacinato dal sole e la postura inequivocabile di chi stesse chiedendosi: “Ma io, cosa ci faccio qua?”, stava ottenendo risposte all’apparenza importanti da una giovane donna. Che aveva appena abbandonato il proprio cane dal veterinario. Ed ora, stava cercando di avere conferme alla voce che da ore le stava ronzando nella testa. Relativamente alla sorprendente presenza di Tom Pokel in tribuna, lo scorso 6 febbraio. In occasione degli allenamenti biancorossi durante l’ultima sosta della regular season.
“Secondo me - sentenziò la ragazza - è stato il solito colpo di maestro del Dottore. Il suo staff ha sempre smentito categoricamente che DK fosse alquanto perplesso dello sviluppo che aveva preso la stagione. E che fosse pesantemente contrariato dalle prestazioni altalenanti di qualcuno delle sue prime donne. Ma la voce che mi sta tempestando l’amigdala mi sta confermando tutt’altro. Dieter Knoll è molto legato al coach che gli consegnò la Ebel nel 2014. Si sentono molto spesso, specialmente quando il board biancorosso è focalizzato sul mercato estivo. Tom ha i suoi canali. Ricchi di preziose informazioni. Da condividere solo con gli amici fidati. Knoll tra questi. Vuoi vedere che si sono accordati per scuotere a modo loro l’ambiente?
Una cosa tipo: “Vieni a trovarmi a Bolzano, Tom. E, con un qualsiasi pretesto, affacciati in tribuna. Per vedere l’effetto che fa?”.
I Foxes erano reduci dalla brutta prestazione di Salzburgo. Quel 0-6 dopo due periodi non era stato proprio digerito dal Dottore.
In altre circostanze, per gli stessi motivi, capitò in passato - idealmente - di veder ruzzolare giù dagli scalini del Palaonda la testa di qualche coach appena sollevato dal proprio incarico.
Due vecchi abbonati del settore C, invece, erano intenti a scambiarsi informazioni su una chiacchiera infantile, circolata senza controllo, come sempre accade, dopo l’ultima trasferta in Ungheria.
“Ma, allora, stai sentendo anche tu quello che sto sentendo anch’io?” - sbottò uno nei confronti dell’altro.
Dopo quell’importante vittoria a Fehérvár, pare - il condizionale è assolutamente d’obbligo - che coach Glen sia stato costretto a mettere le briglie a qualcuno dei suoi cavalli migliori. Rei di essere usciti dalle scuderie, con l’intento di andare a pascolare altrove. Dove l’erba è più giovane ed accattivante al palato.
Ammesso e non concesso che ci sia stata realmente una banale fuitina di qualche ora, la ragazzata rimane tale. Ma andava stigmatizzata. Nel rispetto del resto del gruppo.
Il quale, non certo immune dall’ondata percettibile di sussurri e grida che stavano circolando liberamente in città, stava confluendo alla chetichella all’interno dello spogliatoio. In attesa di avere qualche ragguaglio dal team manager o dall’ assistant coach sul comportamento da tenere in una situazione talmente paradossale come quella che stavano un po’ tutti vivendo.
L’unico che sembrava realmente impermeabile a tutta la situazione, e stava ancora viaggiando alcuni metri sopra il cielo, era Cristiano Digiacinto. Fresco vincitore della nona edizione dell’ambito Premio Combattività “Gino Pasqualotto”, istituito da HCBfans.net, attribuito al giocatore che durante la stagione regolare si sia distinto per le proprie caratteristiche e le proprie attitudini di vero e proprio highlander dei ghiacci.
“Ragazzi - urlò una delle maschere del Palaonda, anch’esso confluito istintivamente al cospetto del Tempio -, ho appena percepito che in via Roma, al Togiva, ci sarebbero Sergej Vostrikov ed Igor Maslennikov. Stanno aspettando Martine Pavlu. Per andare a pranzo in città!”
La voce, come tutte le altre, ebbe l’effetto di agitare per qualche minuto quell’irrequieto formicaio biancorosso.
A decine saltarono sulla propria automobile, facendo salire a bordo - senza un apparente motivo - tre o quattro perfetti sconosciuti. Per raggiungere insieme il mitologico locale le cui mura trasudano ancora oggi di quei milioni di aneddoti relativi a fatti e personaggi, realmente accaduti ed esistiti, del nostro ineguagliabile hockey.
Una vigilessa, che stava piantonando il solito trafficatissimo semaforo in prossimità della Sparkasse Arena, trovò il coraggio di confidare al suo superiore - di pattuglia assieme a lei - di essere tormentata da qualche ora da un sussurro inverosimile. Secondo il quale, all’alba di quella stessa mattina, il grande Jaromir Jagr si fosse girato dall’altra parte del suo letto, nello stesso istante in cui gli giunse all’orecchio ciò che stava accadendo nella sua mai dimenticata Bolzano.
Cose da non credere, come avrete tutti avuto modo di capire.
Due mondi. Che stavano viaggiando perfettamente paralleli.
Uno dei quali, totalmente surreale.
Scossa da questo imprevedibile terremoto emozionale, la nostra comunità legata all’hockey su ghiaccio perse completamente di vista gli ultimi recenti sviluppi della Ice Hockey League.
Anche clamorosi, se vogliamo.
Come il collasso sportivo patito proprio dal Fehérvár . Per lunghi tratti della regular season in testa alla classifica, nel duetto dell’alternanza con l’Armata Biancorossa, prima di essere risucchiata in un orrido e gigantesco buco nero prestazionale, che l’ha proiettata nelle retrovie dei pre-playoff a causa di ben 10 sconfitte su 19 incontri disputati nel 2025.
Gli ungheresi sono riusciti in extremis a strappare il pass per i quarti di finale. Ed a salvare, così, la faccia e l’obiettivo minimo della loro stagione.
Adesso, però, sono stati scelti come vittima sacrificale proprio dai campioni in carica. Servirà molto più di un semplice ramo secco sul ciglio del precipizio, trovato all’ultimo con Vienna, per evitare le cariche letali dei tori rossi ed una conseguente eliminazione.
Lo stesso dicasi per l’Olimpja Lubiana, come confidò Ziga Pance nella nostra rubrica, proprio ad inizio stagione.
Draghi Verdi con l’acceleratore dell’entusiasmo a fondo scala, grazie alle operazioni di mercato messe a segno grazie alle ambizioni della nuova proprietà e dei denari confluiti da sponsor rinvigoriti dall’operazione. Ma ritrovatisi troppo presto a dover mettere in discussione il coach partente ed il proprio ruolo nel campionato, prima della disperata svolta impressa alla sua stagione a fine 2024, che altro non ha portato se non la prematura chiusura dell’Hala Tivoli per fine attività.
I bene informati, quelli che non avevano bisogno di sussurri o grida nelle orecchie per sputare le proprie sentenze, avevano già dato sfogo alle proprie previsioni.
E guardavano tutti gli altri, sotto la gigantesca riproduzione di Crazy Horse, al secolo Gino Pasqualotto - per chi aveva ancora i denti da latte quando lui già furoreggiava in via Roma -, con la supponenza di chi la griglia dei quarti di finale l’aveva stampata in testa ben prima dell’evasione di massa emozionale dalle mura del Palaonda.
Klagenfurt - Val Pusteria, Salisburgo - Fehérvár, Linz - Graz e Foxes Bolzano - Villach.
“Sto sentendo ora - sbottò uno dei veterani dei Figli di Bolzano, uscendo dal chiosco con il solito cabaret colmo di pinte di birra - che il Dottor Key avrebbe preferito un infuocato derby coi Puschtra nel quarto di finale di sua pertinenza. Ne avrebbero guadagnato sia i rispettivi cassieri che lo spettacolo. Ma, per Diana!, che figuraccia sarebbe uscire per mano di Eddie Pasquale?”.
I fatti hanno dimostrato che le Giubbe Rosse carinziane, a loro volta, hanno scientificamente voluto evitare il rischiosissimo incrocio fratricida con i vicini di casa del Villach. La franchigia con il powerplay più spietato ed efficace di tutta la Lega. Evento che sarebbe costato troppo in termini di energie fisiche e nervose.
Salzburgo è andata sul sicuro, riciclando la pressoché tramontata Alba Volàn.
E Graz sarebbe stata per i biancorossi, ed il Dottore, una scelta decisamente troppo avventata per un quarto di finale.
“L’Armata Biancorossa - disse qualcuno dello staff, che preferì non farsi riconoscere nella calca - ha lavorato bene sul ghiaccio dopo l’ultimo match di regular season. Il coach avrà anche i suoi difetti ma ce ne sono davvero pochi come lui in questa Lega. E non dimentichiamoci quanto è andato vicino alla conquista della coppa due anni fa e come è stato eliminato in semifinale lo scorso aprile”.
I Foxes, se vogliamo aprire una doverosa parentesi analitica nel fantastico - e fantasioso - marasma che vi abbiamo testé descritto, devono calarsi velocemente nello spirito della competizione più aspra ed affascinante che esista nel mondo di ogni sport: i playoff.
Che sono molto più di un campionato a parte. Perché sono il limpido estratto di tutto ciò che di competitivo esista nell’Agonismo. Non a caso, con la A maiuscola.
Per 48 sere prima di marzo, le otto finaliste della Ice hanno dato vita a pura sperimentazione. Ed in ciascuna di quelle sere lo staff tecnico è stato accalcato tutt’attorno al banco di prova. Per ricavare la miglior performance possibile dalla loro squadra.
La fase di studio ora è finita. Ed il Bolzano, nonostante quei limiti che la stagione ha lasciato emergere, è uno di quei team che sa perfettamente come arrivare al Karl Nedwed Trophy. Ci vorrà l’abnegazione e lo spirito del gruppo, la forza collettiva per limitare le conclamate qualità di nobili avversari, il coraggio delle scelte e delle strategie del condottiero. Servirà anche la sorte. Che nelle ultime due stagioni consecutive si è accasata altrove.
Ci vorrà un grande Bolzano. Sorretto dal suo leggendario Cuore Biancorosso. Con il quale ha sempre detto la sua, nei momenti che contano davvero.
Il Villach può far molto male. Con i suoi 8, 16 e 72. Che non è la tabellina dell’otto. Bensì i numeri della sua linea più pericolosa. Composta da Max Rebernig, Kevin Hancock e John Hughes.Quest’ultimo eletto MVP nella regular season.
Ma, ai playoff, i biancorossi restano il peggior avversario che le austriache vorrebbero incontrare lungo il loro percorso ad ostacoli. Anche perché, avere contro anche le settemila anime del Palaonda non è esattamente un gioco da ragazzi.
Che le sfide abbiano inizio, dunque.
Is this the real life? Is this just fantasy?, avrebbe intonato Freddie Mercury.
È la March Madness, baby.
Il mese della follia. E delle suggestioni
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