Assi di bastoni #33 non poteva che essere riservato/dedicato a chi quel numero ha indossato e onorato a lungo con la maglia biancorossa. I 70 anni dalla nascita di Gino sono celebrati da Andrea Scolfaro nelle righe che seguono. Buona lettura.

IIn una notte di novilunio il cielo, terso e puntato di stelle, è in attesa dell’alba.
Bolzano è deserta.
Solo un’anima solitaria, a piedi, sta risalendo i quartieri della sua città.
Approfittando di quella pace, e quel silenzio.
Abituato al costante ed affettuoso contatto con la sua gente, a quell’uomo non par vero di giungere, senza interferenze, a ridosso della cattedrale di Santa Maria Assunta.
Il Duomo di Bolzano.
Il cui inconfondibile profilo si staglia da oltre due secoli sulla piazza principale del capoluogo.
Quella edificata nel 1808, su di un vigneto di proprietà di Re Massimiliano di Baviera, ed abbellita con la statua di Walther von der Vogelweide, celebre poeta e cantore tedesco del XIII secolo.
I primi bagliori del giorno hanno l’effetto di delineare il contorno della cattedrale.
Ancora intorpidita nella sua anomala evanescenza notturna.
La stessa che - curiosamente - investe anche l’involucro di quel lupo solitario.
Sulla soglia dell’edificio in stile gotico, egli rivolge lo sguardo verso l’alto.
Scorgendo elementi decorativi a lui cari.
Il bianco ed il rosso, i colori della tradizione. Conferiti alla località dal duca Leopoldo III d’Austria.
E la Stella Maris. Dorata ed a sei punte. Quella che identifica la Santa patrona.
“I colori ed il simbolo sul cuore, presenti nella prima maglia dell’Hockey Club Bolzano, del 1933...”.
L’uomo si concede questa riflessione, mentre si espone alla piazza. Assumendo una postura meditativa ai margini del basamento, ove sorge la scultura raffigurante il cantastorie.
È l’istante in cui, alle spalle di quell’uomo, arriva una voce.
“Ciao Gino, un po’ presto per essere in giro?”
I medium affermano, senza indugio, che determinate presenze siano captate soprattutto da fragili ed emarginati. Preferibilmente i bambini, nel primo caso. Specialmente i senzatetto, nel secondo.
E che esse si manifestino sovente a loro.
Discorsi che potrebbero risultare irricevibili. Frutto soltanto di un discreto disordine mentale.
Ma che troverebbero un netto fondamento, in questa peculiare teoria medianica.
“Ehi Hans - fu la risposta rivolta a quel mendicante -, non è mai troppo presto per rivolgere la solita domanda a quel menestrello di marmo: “Cosa avrei fatto di meno importante rispetto a lui?”.
Solo Dio onnipotente è a conoscenza di quanto sarebbe consolatorio veder apparire - anche solamente in sogno - le persone che sono venute a mancare. Quelle a noi più care.
Genitori, parenti, amici e... Leggende.
Come Gino, l’Immenso Gino.
Che oggi, lunedì 10 novembre 2025, avrebbe compiuto la bellezza di 70 anni.
Se il leggendario numero 33 dell’Hockey Club Bolzano ci apparisse in sogno, sarebbe probabilmente intento a rivolgersi le stesse domande. “Cosa avrebbe fatto più di me Walther von der Vogelweide per meritarsi un monumento nella piazza principale della mia città?”.
Gino Pasqualotto, nome proprio e di famiglia diventati oramai iconici nell’immaginario collettivo di Hockeytown. E non solo.
Il suo 33, così identificativo, lo stesso di inarrivabili mostri sacri.
Del basket, come Larry Bird e Kareem Abdul Jabbar.
Dello stesso hockey, come il portiere dei Canadiens, Patrick Roy. O del pluri-campione della F1, Max Verstappen.
L’unico numero - dopo quasi un secolo di vita dell’Hockey Club Bolzano - ad essere stato ritirato, il 24 febbraio 2019, quattro mesi prima della scomparsa di chi lo indossò, con incomparabile carisma. Perché fosse esposto, il più in alto possibile, all’interno del Palaonda.
In quella circostanza Gino, travolto dall’emozione, seppe rivolgere al suo pubblico solamente un più che sentito “Grazie!”. Per poi sussurrare: “Che regalo! Una parte di me rimarrà per sempre al palazzo”.
Nel riavvolgere il nastro della sua esistenza, ci viene a sostegno Giorgio Gajer,
ex presidente del Soccorso Alpino dell’Alto Adige nonché ex vicedirettore e direttore tecnico dell’Ente Fiera, figlio del noto pittore Guido nonché cugino di colui che verrà per sempre riconosciuto come vera e propria Leggenda dei biancorossi.
“Quando eravamo piccoli - ricorda -, Gino pareva un indemoniato. Davvero irrefrenabile. Avevamo solo un anno di differenza ma l’accentuata vivacità fu sempre una delle sue prerogative”.
Qualche aneddoto?
“Un giorno - prosegue Gajer - andammo a salutare una zia ad Este, nel Padovano, assieme alle nostre famiglie (papà Guido era fratello di Luisa, mamma di Gino, nda) -, avremo avuto più o meno cinque e sei anni.
Ad un certo punto, assieme alla mia gemella Adriana
, andammo a giocare in campagna. Gino iniziò a correre. A perdifiato. All’improvviso, scomparve. Inghiottito dalla corrente di un canale d’irrigazione. Sentimmo le sue grida ed urlammo a più non posso verso la strada. Per nostra fortuna, un ciclista si precipitò e si mise a cavalcioni tra le due sponde. A pochi metri da una tubatura sotterranea, prese Gino per il bavero, salvandogli la vita”.
Una vivacità fuori dal normale, quasi fatale...
“Un salvataggio - replica accorato Giorgio Gajer - che gli permise di restarci accanto. E, per tutti noi, di goderci per molto tempo le gesta di un grande atleta e d’un uomo dal puro e straordinario altruismo”.
Una vivacità, che spinse papà Danilo e mamma Luisa, lui veneto e lei lombarda, ad incoraggiare Gino perché la sfogasse praticando sport. Ciclismo, calcio, tuffi...
Fu lo stesso Gino, in una lunga intervista rilasciata nel 2012 - e contenuta nel libro “Quando pattinavamo in via Roma”, a cura di Sergio Camin -, a fornire i dettagli del suo battesimo sui pattini.
“La prima volta che misi piede all’interno del Palazzo del ghiaccio di via Roma
- rammentò - fu insieme ai miei compagni di scuola. Avevo 11 anni. Non mi trovai subito a mio agio. La mia vera passione erano i tuffi. Così felice di praticarli da iscrivermi alla società bolzanina che si allenava alla piscina olimpionica del Lido di Bolzano. Amavo tuffarmi e lo facevo accanto a due figure leggendarie, come Giorgio Cagnotto e Klaus Dibiasi.”
Il primo paio di pattini gli venne comunque regalato da papà Danilo. Acquistati alla vecchia compravendita di via Vicenza. Di due misure più grandi, visto che il ragazzino cresceva a vista d’occhio.
“Molti miei amici andavano spesso a pattinare al PalaFiera - continua Pasqualotto -, così mi aggregai volentieri a loro. Molto tempo dopo, mi notò Gino Camin (all’epoca, una delle più note figure di riferimento dell’Hockey Club Bolzano, nda). Parlò con mio padre e mi tesserò. Tre allenamenti alla settimana più la partita. Accantonai i tuffi ed il mio allenatore, il mitico Jarda Pavlu, cominciò a trasmettermi tutti i segreti del buon giocatore di hockey su ghiaccio. A patto, che io mi impegnassi con la stessa intensità anche a scuola”.
Nella stagione ‘70-‘71 Gino Pasqualotto esordì in serie B con la maglia della Latemar.
Ed a diciassette anni ancora da compiere, dopo abbondanti rassicurazioni di Jaroslav Pavlu (attaccante HCB dal ‘69 all’80), Gino venne aggregato da Camin nelle linee d’attacco della prima squadra. E che squadra!

Capitan Vattai, Robert Gamper e Romeo Tigliani, Thomas Mair, Rolly e Giancarlo Benvenuti, Hubert ed Hans Gasser, Raimondo Refatti, Herbert Strohmaier, il funambolico Gerry Morin, Jaroslav Pavlu e Franco Gallo.
A dirigere l’orchestra sul pancone: lo stesso Gino Camin, coadiuvato sul ghiaccio da Morin, il grande campione canadese.
Era il 1972, stagione che si chiuse in modo trionfale per i biancorossi. Vincitori del secondo titolo italiano della loro storia, dopo aver sconfitto il Cortina Doria nello spettacolare spareggio di Ortisei, il 9 marzo 1973. Un match dai contorni drammatici, con uno sviluppo assolutamente imprevedibile.
È lo stesso Gino a raccontarcelo, in un estratto di quell’intervista, pubblicata nel 2012.
“Per due tempi il Cortina fece la partita - fu la testimonianza di “Crazy Horse” -. E chiuse in vantaggio per 4-1 il secondo periodo. Nei due spogliatoi gli umori erano diametralmente opposti. Nel bel mezzo delle urla di gioia dei cortinesi, Gerry Morin rimescolò le linee. E con poche sentite parole, prima del terzo tempo, diede la carica al gruppo”.
In otto minuti il Bolzano ribaltò letteralmente il Cortina.
“Appena tornammo sul ghiaccio - è il ricordo del leggendario “33” - Hubert Gasser segnò immediatamente il 4-2. E subito dopo fui io ad infilare il 4-3. I nostri attacchi si fecero ancor più intensi tanto che Raimondo Refatti ripristinò la nuova parità al quarto minuto. E Rolly Benvenuti ci portò in vantaggio all’ottavo”.
I cortinesi vennero letteralmente annichiliti da quella rabbiosa reazione del loro storico avversario. Tentarono disperatamente di riprendere in pugno la finale, schierando negli ultimi 10 minuti solo i giocatori più rappresentativi. Ma non ci fu nulla da fare.
Leggenda metropolitana volle che Alberto Da Rin, la stella più luminosa degli ampezzani, preso dallo sconforto riempì velocemente il borsone, affidandolo all’attrezzista. E senza dire una parola, lontano dagli sguardi dei compagni, si diresse a piedi lungo la strada che lo avrebbe riportato a casa. Solo dopo parecchi minuti, venne intercettato dal torpedone della squadra e ricondotto a Cortina d’Ampezzo. 
“Vincere lo scudetto all’esordio in serie A - disse Gino con grande emozione - fu meraviglioso. Il mio ricordo più bello. Anche se di scudetti ne ho poi vinti addirittura una decina!”.
Dieci scudetti, come Gigi Buffon. Due Leggende a confronto.
Nella personale bacheca ufficiale di Gino Pasqualotto resteranno per sempre i 14 gol ed i 12 assist in 22 match nell’anno dell’esordio in serie A, 21 stagioni e mezzo complessive al servizio dei biancorossi, 2 nella Latemar, una e mezzo nell’Ev Bozer 84 ed una nel Pool Fiemme.
Inoltre, 13 anni in maglia azzurra ed appuntamenti prestigiosi come l’Olimpiade di Sarajevo del 1984 e ben otto campionati del mondo (uno di “gruppo A” in Finlandia nel 1982, cinque di “B” e due di “C”).
“Leggendari” traguardi volanti, di una luminosa carriera venticinquennale.
Scaturita nel 1970, nelle giovanili della gloriosa Latemar, e chiusa nel 1995 all’Ev Bozen 84 (nato dall’accorpamento tra Sv Gries, Hc Rencio, Hc Jugendclub ed Hc Micky Maus) dove ritrovò cari amici, pronti a riabbracciarlo: il presidente Ander Amonn ed il coordinatore tecnico Jarda Pavlu.
Una carriera inimitabile, tutelata anche dal nostro staff di “HCBfans”, che istituì dieci anni fa l’ambito Trofeo Combattività. Attribuito al giocatore biancorosso che si distingue maggiormente durante la stagione regolare. Per grinta, abnegazione ed attaccamento ai colori sociali.
Intitolato, dopo la sua scomparsa e non a caso, proprio a Gino Pasqualotto.
“Il Duro” oppure “The Crazy Horse”...
Sono un paio degli appellativi raccolti lungo la carriera dalla Leggenda biancorossa.
Il primo risale agli anni ‘70 (recuperato da un block-notes conservato gelosamente da papà Danilo, nel celeberrimo negozio di confezioni e tessuti di via Druso).
Il secondo, più attuale, appiccicatogli addosso da “The Voice”, al secolo Oskar Dalvit, lo speaker più noto e benvoluto dell’epopea biancorossa. La cui voce finì anche su un 45 giri, finanziato dallo sponsor Dival, alla fine degli anni Ottanta.
“Il Duro” - Gino venne osannato con questo soprannome nella primavera del 1976, in occasione di un caldissimo confronto al PalaFiera tra Hockey Club Bolzano e Gardena.
Proprio nei minuti finali del match decisivo per il titolo, con il Gardena nettamente in vantaggio, Pasqualotto si levò qualche sassolino dai calzari dei pattini.
Avendo un conto in sospeso con Fabrizio “Biz” Kasslatter, giocatore gardenese di talento e nel giro della Nazionale, Gino attese l’ultimo minuto di gioco per sistemare le cose con lui.
Lo prese di mira proprio sotto le poltroncine rosse, la Vip Room dell’epoca, e lo incrociò pesantemente, scatenando una rissa che ben presto diventò collettiva.
Kasslatter uscì davvero malconcio dalla pista ghiacciata. E fu costretto a saltare la cerimonia di premiazione perché i medici potessero medicare le tumefazioni sul suo volto.
Fu il tempo in cui la platea del Padiglione numero 1 della Fiera Campionaria di Bolzano coniò il celeberrimo “Gino, Gino! Punisci l’assassino!”.
Seppur giovanissimo, Gino “Il Duro” diventò un idolo assoluto per gli appassionati di casa.
Memorabili le fiammate improvvise contro Jim Corsi, uno dei goalie più scorbutici ed attaccabrighe nella storia del campionato italiano. O i confronti “face to face” con Bob Manno, detto il Lupo di Niagara Falls.
Ma Gino era molto apprezzato anche per i suoi gesti tecnici, tanto spettacolari quanto efficaci. Sfruttando le sue doti offensive, peculiarità che lo fecero emergere rapidamente, quando si presentava l’occasione giusta “Crazy Horse” partiva dal suo terzo difensivo, con il disco incollato sul modello 221 della “Koho”, il suo fidato bastone.
In zona neutra sfruttava sia la velocità che la stazza per affrontare gli avversari, attestati sulla linea blu, e puntare verso la porta. Al massimo della dinamicità.
Se ne ricorderà sicuramente anche Mike Zanier, il primo portiere straniero ingaggiato dall’Hockey Club Bolzano.
Quando rinunciò al biancorosso, per la montagna di dobloni offertagli dall’Asiago, destino volle che i veneti - il 20 febbraio 1990 - aprirono la serie scudetto (quella “dei mille rigori”, in gara 3) proprio contro il Bolzano.
In quella circostanza, Gino Pasqualotto segnò in via Roma il gol più bello ed importante della sua carriera.
Con uno spettacolare “coast to coast”, all’11’08” del terzo periodo di gara 1, l’Immenso Gino riportò i biancorossi in vantaggio sul 5-4, con una prodezza assoluta. Che vanificò, assieme alle reti di Martin Pavlu e Bruno Zarrillo, il provvisorio 2-4 a 13 minuti dall’ultima sirena. Sul quale gli asiaghesi stavano già cantando vittoria.
Gates Orlando siglò poi il definitivo 6-4 a 6’ dal termine. Ma l’ovazione finale, dopo un match di straordinaria intensità, fu rivolta completamente all’indimenticabile numero 33.
E di Gino si ricorderà certamente anche Primo Fontanive,
attaccante di ottima qualità, che fece la fortuna dell’Alleghe soprattutto negli anni Settanta.
L’uomo che rischiò di essere spedito sulla Luna, a causa di un terrificante “ponte”, altro gesto tecnico abituale operato da Pasqualotto, estremamente efficace in copertura, che spedì Fontanive tre metri sopra la pista, prima che si schiantasse pesantemente sul ghiaccio.
Tornando alla serie mozzafiato del 1990, dopo quello scudetto conquistato anche grazie alla sua meravigliosa rete contro l’Asiago in gara 1, “Crazy Horse” fu costretto ad abbandonare l’Hockey Club Bolzano.
“Scelta tecnica!”, sentenziò il tecnico scudettato Rudi Hiti.
Gino dovette accettare a malincuore la decisione. Ma non dimenticò ciò che a tutti gli effetti fu un vero e proprio sgarbo nei suoi confronti. Proprio a lui, considerato da buona parte dell’immaginario collettivo come il giocatore più rappresentativo.
Per dimostrare di non essere assolutamente un giocatore finito, come qualcuno voleva far credere, accettò l’offerta sostanziosa del Pool Fiemme e si presentò a Cavalese, tirato come un calzino.
Per lui fu una stagione in “chiaro scuro”, trascorsa però dall’alto di una condotta esemplare.
Dopo una fase regolare un po’ travagliata, i fiemmesi si salvarono tranquillamente nel gruppo retrocessione. E Gino, in particolare, vide compiersi il suo personale riscatto nei confronti dei biancorossi.
11 ottobre 1990: il Pool Fiemme si presenta in via Roma e, contro ogni pronostico, espugna in modo clamoroso il PalaFiera, battendo l’Armata Biancorossa per 5-1. Risultato che aprì preoccupanti crepe nell’armonia e nella serenità dello spogliatoio biancorosso. Al punto che, a stagione in corso, Rudi Hiti fu sollevato dall’incarico di head-coach venendo sostituito da Bernie Johnstone. E la stagione successiva - orgogliosamente - “Crazy Horse” fece il suo ritorno nei ranghi dell’Hockey Club Bolzano, indossando nuovamente la sua “33” biancorossa.
L’anno 1990 diventò memorabile per Gino Pasqualotto quando, il 19 ottobre, la sua Patty mise al mondo Alex, il loro primo ed unico figlio.
Proprio nel giorno del 25° compleanno di... Lucio Topatigh.
Che Gino considerò sempre come un vero e proprio fratello minore.
Un po’ come Robert Oberrauch (“Il cucciolo”) e Moreno Trisorio (“Il geometra”).
“Lucio visse l’attesa della mia nascita proprio come un qualsiasi membro della famiglia - ci rivela Alex Pasqualotto -. Mia madre si ricorda ancora bene tutte le volte che la implorò di farmi nascere nello stesso giorno del suo compleanno. Con la ferma volontà di cementare ancor più il legame tra di noi. Ogni anno, immancabilmente, il 19 ottobre ci facciamo gli auguri. Con lo stesso affetto che avevano lui e mio padre”.
Le vigilie degli incontri casalinghi erano vissute sempre allo stesso modo in casa Pasqualotto. Tenendo fede ad un rituale scaramantico, mamma Patty metteva in tavola per Lucio e Gino la classica pasta e fagioli o le penne alla vodka. Alle quali, seguivano alcune ore di relax totale. Alle 5 del pomeriggio un buon caffè ed il successivo trasferimento in via Roma.
Solo in un’occasione, prima di un match contro il Varese, dalla cucina uscì un trasgressivo risotto ai frutti di mare. Morale: penalità
partita sia per “Crazy Horse” che per il “Falco di Gallio”!
Il 26 aprile 2021, nel corso di una cerimonia ufficiale, Lucio Topatigh è stato insignito dal Coni con la medaglia d’oro per meriti sportivi. Alla presenza dell’allora presidente Giovanni Malagò ed al presidente Fisg, Andrea Gios.
Lucio, gestendo a stento la commozione, dedicò proprio a Gino quel premio alla carriera così significativo.
Anche Alex, tornando a lui, ha indossato l’equipaggiamento da hockey, fermandosi all’Under 16.
“Sulla scelta di non proseguire a giocare - ci rivela - incise all’epoca anche il peso di un cognome simile. L’hockey rimane uno sport meraviglioso. Non perdo una partita in casa e se un giorno il club biancorosso si presentasse con una qualsiasi proposta, la valuterei senza problemi”.
Che rapporto avevate tu e papà?
“Come cane e gatto! - ammette Alex -. Perché entrambi orgogliosi”
Qualche aneddoto che puoi raccontarci?
Fetisov, Alex e Gino
Ce ne sarebbero moltissimi. Uno che ricordo volentieri è legato alle nostre vacanze al mare. Lui odiava la sabbia. Ed io aspettavo che si mettesse la crema solare per buttargliela addosso. In acqua non entrava nemmeno. Con la sola eccezione di qualche giro in barca. A parte tutto, posso dire che papà è stato un uomo molto premuroso, anche nei confronti degli altri. Un gigante buono”.
Domenica prossima, a partire dalle ore 17.00 è in programma all’Eventspace H1 della Fiera campionaria di Bolzano, una vera e propria festa dedicata ai 70 anni di tuo padre. Il titolo ha un ché di romantico: “Gino Pasqualotto, 70 anni di leggenda, cuore e ghiaccio”.
Puoi anticipare qualcosa a riguardo?
“Da tanto desideravo che mio padre venisse ricordato con una bella festa. Sarebbe piaciuto molto anche a lui. Ci siamo riusciti. Interverranno molti amici, tanti compagni e colleghi, ci sarà anche la proiezione di filmati inviati da chi ora è molto lontano da Bolzano, molte testimonianze. E naturalmente, visto che si tratta anche di una festa di compleanno, si starà insieme a bere e mangiare. Alla sua salute...”.
Quello di domenica prossima sarà il momento ottimale per togliere ufficialmente il velo sull’associazione “Nene e Miki ODV”, un’organizzazione che riprende la ragione sociale della curva biancorossa e si occuperà di promuovere attività civiche, solidaristiche e di utilità sociale, senza alcun scopo di lucro. Unirà i molti tifosi e simpatizzanti dell’Hockey Club Bolzano, stabilirà e consoliderà relazioni importanti nell’ambito biancorosso e si occuperà di organizzare eventi culturali, evidenziare tematiche da sottoporre all’attenzione del Club, collaborare con le istituzioni e salvaguardare, in ultima battuta, la storia e la tradizione dei colori biancorossi.
Alex, papà Gino ne sarebbe orgoglioso...
“Pensando al suo altruismo, credo proprio di sì. Visto che buon sangue non mente, collaborerò come consigliere all’attività della struttura. Al pari di Mirco Nicolli. L’associazione sarà presieduta da Massimo Mescalchin ed avrà Fabrizio Tonina come vice. Segretario sarà Marco Benetello”.
Chiudiamo il numero #33 della nostra rubrica, dedicato inevitabilmente alla figura ed alla memoria di Gino “Crazy Horse” Pasqualotto, nel giorno del suo 70° compleanno, con un tributo che ci è pervenuto dall’avvocato Luca Zanoni.
Colui che, specialmente nel suo ultimo anno di vita, si adoperò perchè la società ritirasse ufficialmente il leggendario numero 33 dal suo roster. E fu il legale che seppe gestire le delicate fasi della malattia, a tutela della famiglia e dello stesso Gino.
“Parlare di Gino Pasqualotto è veramente difficile. Non si sa mai dove finisca la realtà e cominci la Leggenda. Ha vinto dieci scudetti, praticamente una stella. Una persona che ha unito tante generazioni con il suo “33”, per la sua spontaneità e per quel suo voler dare tutto per la maglia. Che ha indossato per la sua città. Per la sua gente.
Ricordando Gino è giusto ricordare l’attaccamento che ebbe soprattutto a difesa dei compagni più giovani. Cosa che gli costò addirittura il posto in squadra.
Questo era il nostro amico, il nostro lottatore, che entrava nelle risse a difesa dei compagni in difficoltà. Colui che venne sempre osannato. Come se non avesse mai smesso di giocare. Perché Gino è della gente, Gino è del suo popolo, l’amico di tutti. Gino è Bolzano”.
Poco dopo la sua scomparsa, il 20 giugno 2019, apparve una scritta ad Hockeytown.
“Le Leggende, come i Supereroi, non muoiono mai!”
Buon Compleanno, Immenso Gino!